pudenda

sabato 10 dicembre 2005

IL DECALOGO MANGIAMERDISTA


Manoscritto seicentesco di tal Sergio Sarsone, ritrovato e trascritto da Andrea Masotti, Michele Barbolini, Carlo Pigozzi


La punta: sense

O anime morte, o spenti simulacri vacillanti all’incerto confine tra il non essere e l’essere stati, o noi, sacchi di merda e pensiero, guardiamoci nello sguardo: basta. È ora di finirla. È ora di ricominciare.
Qui è il tremito che scuote la terra e munge i peri di infruttuoso marciume, qui è il titanico mareggiare che annega le cantine del nostro esistere, rovinando i salami, ora è il fastidioso trillo che sveglia, che ci alza la testa dal libro e al libro ci ritorna, con occhi nuovi, di chi riscopre per la prima volta le cose, occhi di clown, di bambino: qui, ora.
Ma se è vero -persecuzione, catartica mania- che un sistema si pone a decidere a monte un codice segnico fuori dal quale non si può uscire per dire le cose, anche nella più aspra protesta, noi su questo sistema possiamo soffiare il nostro vento, quello che fa parlare le foglie e solletica la spina dorsale, dobbiamo avanzare adesso la nostra epidermica destabilizzazione, in un ambiente dove impera il politicamente corretto vogliamo rompere i coglioni, vogliamo aprire i cuori.
Non si ravvisi alcun intento distruttivo. Non siamo contro i docenti o contro le lezioni: la voglia che ci muove è anzi ri-costruttiva, quello che si tenta è una riedificazione dell’io e di quel territorio dove l’io si spande. Vogliamo passare una bella mano di colore.
Convinti di intaccare anche la sostanza delle cose, il nostro lavoro punta a tutta prima sulle forme: chiunque può accorgersi, con virtuosa esibizione di banalità, che esistono molti modi di dire le cose, diversi linguaggi. Con questo decalogo ne proponiamo uno non nuovo -in sapore di dadaismo- ma abilmente dimenticato dalla nostra pulita benpensante scienza della comunicazione. Perché imprevedibile, difficilmente categorizzabile, non controllabile: l’atto mangiamerdista non è un articolo, non è un’improvvisazione teatrale, non è vandalismo, non è un gelato allo zabaione, forse.
Forse, queste azioni non sono che una sorta di minuto cuneo sociale fattivo, una riconquista del diritto di trans-gredire, un cambio di direzione che ci è altrimenti precluso da binari imposti dalla consuetudine. E tutto ciò su un piano per lo più simbolico: non recano queste azioni reale danno a nessuno e ciò nonostante sanno cambiare -per la durata del loro esistere: è questo, volutamente, il raggio della loro influenza- la situazione concreta delle cose. Noi si va avanti a pane e vino, non a metafisica. Forse.
Forse sono una vera e propria espressione artistica: poetiche nel senso più vero queste nostre azioni che, prodotte dalla crisi, sono per contrasto espressione di una prepotente rinascita, di una primavera che non si ferma al giardino antistante alla mensa ma che entra anche nelle aule, non solo sotto forme di generose scollature muliebri, ma anche come brezza giovanile, come fustigazione esistenziale, come squillo di tromba. Forse.
Forse tutto ciò e tutt’altro, forse, e pure senz’altro manifesto previo, siccome assorbenti esausti, non ci resta che arrendere ai fatti queste note di traduzione, forse, non aggiungere controindicazioni a quelle che già detterà il nostro buon senso e lasciare quindi a noi, o anime impavide, la pratica del decalogo mangiamerdista.


Il decalogo mangiamerdista

1. l'aquirente

Un uomo con indosso un grembiule e un sacchetto entra in un'aula durante una lezione e urla (meglio se con accento napoletano o toscano): -Un panino al crudo e una coca light-. Il complice seduto tra gli studenti si alza e dice: -Sono per me-. Si avvicina all'uomo-grembiule lo paga prende il sacchetto ed entrambi se ne vanno per vie diverse e traverse.

2. il supergiovine

Il supergiovine entra con la moto da cross in un'aula (possibilmente la t4 passando dal prato) prima che inizi la lezione. Quando il prof arriva il supergiovine accende la moto, dando violente accellerate ogni qualvolta il prof manifesti l'intenzione di parlare, sovrastando così la voce di quest'ultimo col suono più supergiovine che ci sia: il rombo assordante di una moto da cross! Il supergiovine continua nella sua azione fino alla fine della lezione, andandosene poi impennando.

3. la torcia umana

In aula un soggetto si dà fuoco al braccio (ovviamente adeguatamente protetto, o anche no) e inizia a correre avanti e indietro urlando: "Aiuto! Aiuto! Sono la torcia umana!" oppure: "Brucerete tutti a coppie di tre!". Finale in cenere.

4. nostalgie inizio secolo

In costumi da bagno anni '30 comprensivi di: canottiere rigate orizzontalmente, pantalone semi lungo, reggicalze a caviglia, calzino, scarpa e baffo; passeggiare nei meandri dell'ateneica struttura, soffermarsi di fronte ad una finestra ed esclamare indignati: "non esistono più le mezze stagioni!"

5. 175 minuti

Uno entra a lezione e si blocca in piedi proprio davanti alla cattedra o proprio in qualsiasi altro posto, postura a piacere, e lìvi rimane immobile come di sale per 175 minuti. Vibratore anale.

6. il duello

Due soggetti vestiti da nobili inglesi si raffrontano in uno dei corridoi dell'università. La tensione sale (possono contribuire altri complici fino a formare un assembramento di curiosi con tanto di scommesse e venditore di bibite). Giunge infine mezzogiorno e al battere del dodicesimo rintocco delle campane (qui sta il problema, a Giurisprudenza so che si sentono le campane, a Lingue non so) i nobili inglesi estraggono e sparano.
Le possibili armi:
-pistole finte
-pistole vere
-pistole vere cariche
-pomodori verdi fritti
-tovaglioli
-fette di mortadella
Concluso il duello un paio di persone portano via il cadavere (vero o finto a seconda dell'arma) del nobile inglese perdente, mentre il vincente se ne va al bar a bersi una spuma.

7. felicità

Lezione di filosofia. Si entra in gruppo, 5,6,7 non importa. Dopo qualche minuto dall'inizio della lezione si iniziano a dare i primi segni di impazienza e sconforto. Ci si accascia sul banco, si portano le mani alla testa, si sbuffa, si getta a terra un guanto con stizza, un paio si alzano e se ne vanno visibilmente delusi. Un complice inizia a singhiozzare. Al culmine dell'insoddisfazione uno si alza e dice: "No ragazzi, così alla felicità non ci arriviamo!" e insieme ai restanti complici si alza e se ne va sconsolatissimo.

8. non possiamo non dirci americani

Ignudi, non sporchi, controllare le condizioni del tempo sopra il giardino. Proclamare con timbro baritonale: "non possiamo non dirci americani". Quindi uscire. E con amore, in numero uguale o maggiore a due, accoppiarsi sopra il giardino e sotto il tempo che sia, usando tutte le dovizie per godere e far godere, senza trascurare nessuna concavità o convessità proprie e altrui.
Ah, l'amour! Ah, l'america!

9. te la sei cercata

Si entra in numero da 5 a 42, con spranghe e catene, e si pesta a morte il primo che capita a tiro. Proprio fino alla morte.

10. Leccatemi la fava

Durante una lezione uno invecchia fino al punto di perdere tutti i denti. Poi si alza, si fa la cacca addosso, e nello sconcerto generale biascica qualcosa, come:
- giovinastri senza vergogna, vergognatevi.
- mi sono fatto la cacca a dosso.
- aiuto. Ho le rughe. Leccatemi la fava.
- l'ho visto, è scappato in quella direzione.
- cosa devo dire?
Poi si denuda, e spicca il suo fallo dal corpo come un mango maturo.



Il tacco: non sense


E invece no. Non tanto il danno l’occhio pedante e critico vede, non tanto il danno la schiena pavida e inane teme, non tanto il danno. Ben prima, ben prima, non si vede e non si teme. Più facile eludere, sdrammatizzare, ben più facile ridicolizzare e minimizzare: inutili questi spasmi creativi, infantili e privi di senso. È questo che il vostro cervelletto non accetta, è questo che vi fa tremare, miseri omuncoli.
Non attacca. Non ci entro più in questo paludoso lago di retorica, troppa gente, fra il piscio dei mocciosi marmocchi grufolano greggi di bagnanti sudati e io no, io non mi voglio bagnare ancora. Eludo, ridicolizzo, nuoto via.
In questo porcileo sguazzare leggo un affanno tipico di voi umani: la ricerca esasperata, ansiosa del perché terrestre. Com’è ozioso tutto questo, quanto è vecchio.
Riscoprire il sottile gusto del non-sense, la libertà dalla gabbia dell’intenzione dichiarata, convincersi che il significato sta sempre altrove, mai univoco. Sentire che le cose sanno nutrirsi di sé e bastare a sé stesse pure senza ratio umana a dettare la traduzione e assegnare il valore, a determinarne dignità d’esistenza.
Questa la rinnovata forma mentis che vuole creare il nostro decalogo, grappolo di succulenti attimi il cui senso -il cui sapore- non si esaurisce in quello che si può spiegare a parole.
Perché il senso di questi attimi d’uva, distillato, è molto meno forte del loro contingente accadere.
Dovete andare, anime belle, dovete fare: interi vigneti ci aspettano, e per ridare vita alla vita non c’è che mangiarsela, a bocca aperta, acino per acino. Adesso.

ASSEGNISTA SEI IL PRIMO DELLA LISTA

intervista a Paolo Scattolin, assegnista di lingua e letteratura greca
le interiora redazionali tutte

Con questa riforma, che peraltro si pone in continuità con quella precedente, viene a nostro parere gravemente danneggiata la condizione di tutte le componenti universitarie, dagli studenti ai professori.
In particolare, in quanto assegnista, quanto pesa questa riforma sulla tua professione, sulle tue prospettive?


Premetto che per i professori non cambia quasi nulla. La novità più simpatica è il raddoppio dei canali per il reclutamento: invece dei concorsi locali finti avremo una idoneità nazionale e poi un concorso locale finto.
Per i precari a vario titolo (dottorandi, borsisti post-doc, assegnisti, cococo, anzi kokoko col kappa che fa più rivoluzionario) non cambia nulla sul momento e quasi tutto in prospettiva: continueranno ad esistere le attuali forme di precariato con in più il ricercatore a tempo determinato per anni 3+3 senza che il passaggio a un ruolo a tempo indeterminato sia profilato in alcun modo. È vero che i ricercatori strutturati come li conosciamo oggi andranno a esaurimento dal 2013, ma non c'è nessun obbligo per la facoltà di bandire questi posti e non piuttosto quelli precari.
D'altra parte la riforma è a costo zero, dunque immaginate un po' voi cosa faranno le facoltà alle prese con un budget limitato. A VR si scannano sul costo delle ore extra che gli strutturati fanno per coprire le necessità didattiche, figurati se hanno in mente una politica a lungo termine di apertura ai giovani. Termino con una chicca: contro il contratto nazionale che non prevede la didattica se non pagata a parte, a VR i neo-ricercatori strutturati hanno obbligo di didattica non pagata per 60 ore.

Com'è andata a Ferrara al 1° Convegno Nazionale sul Precariato nell'Università e nella Ricerca ?

Il sito è www.unipre.net, tra poco saranno disponibili i documenti ufficiali.
Difficile riassumere. È emerso, dati alla mano, lo squilibrio fortissimo tra la base e il vertice della 'piramide' universitaria: dal 1997 al 2003 gli ordinari sono aumentati del 34%, gli associati del 15%, i ricercatori dell'1,8%.
Pare che partirà una anagrafe dei precari promossa dalla stessa CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ma anche noi precari dovremo darci una mossa. L'anagrafe è la base per promuovere forme di sindacalizzazione (al momento solo la CGIL ci sta a sentire). Altre proposte: valorizzazione della ricerca presso impresa e pubbliche amministrazioni; una nuova legislazione sul lavoro che limiti il tempo determinato e, ovviamente, i kokoko, e dia a tutti eguali diritti (maternità, malattia etc.). Si tratta di vedere se l'Unione ascolterà e saprà interpretare queste esigenze.

Come rispondi alle provocazioni lanciateti da più parti: "perchè sei così brutto?"

Forse perché alla bruttezza esteriore corrisponde una fulgida interiorità, come mi suggerisce l'ultimo Bacio Perugina che ho scartato. A proposito, "perché" va con l'accento acuto.

Il tuo giudizio sulla mobilitazione studentesca di questi giorni in tutti gli Atenei d'Italia, in particolare a Verona. Cosa pensi dell' immobilità dell'istituzione universitaria veronese nei confronti di tali iniziative?


Il giudizio è positivo: per VR è stata una novità. Naturalmente ci sono state delle ingenuità, però voi siete riusciti a porre dei quesiti e avete preteso uno spazio non virtuale dove poterne discutere. Purtroppo molti, troppi universitari non pensano neppure che l'Università è anche loro e che in questi anni ci si gioca una buona fetta dell'avvenire, e che dunque riflettere sul sistema di istruzione è fondamentale. Trovo sconcertante che alcuni rappresentanti degli studenti si siano addirittura opposti a questo movimento spontaneo, senza peraltro proporre nulla di alternativo.

Preferisci la carta igienica liscia o quella ruvida?

Fui, un tempo, ruvido. Ora scopro in me un'anima gentile.

Tu, come tutti, morirai.

Il mio avvocato mi rassicura del contrario: riusciremo a cambiare la legge di natura in tempo. Inoltre ho buoni ascendenti familiari: una volta un mio zio completamente imbriaco mi ha confidato "mi son come un dio"!

MEZZOBICCHIERE (carne)

di Andrea Masotti e Michele Barbolini

Il punto: per una mitizzazione dello studente in rivolta (il bicchiere mezzo pieno)

Si è mossa molta carne in questi giorni, siamo sgomenti.
Ma cos’è accaduto perdiana, è accaduto tutto senza precauzioni, con foga animale, presi tra il capo e il collo passanti occasionali morivano di crepacuore ad ogni angolo di strada, malcapitati avventori si bloccavano guardinghi col pelo ritto sulla schiena, cos’è accaduto, cos’è accaduto, è accaduto che l’istinto del giorno, un raggio, ha rivelato corpi dove si credeva notturna desertità, dove alpiù mandrie di vacche nere, tutte sopite, tutte uguali, ma cos’è successo, cos’è successo perbacco, è successo che masse di gomiti e bulbi oculari hanno cominciato a stiracchiarsi con l’impeccabile stile dell’elefante nella cristalleria, è successo che un fiume di capelli biondi neri bordò madreperla ha inondato le stente aule, è successa la vita.
E perché mai? Ma cosa mai?
Neanche fosse domenica, neanche fosse paesello, neanche fosse campana, che lingua rintocca contro dente e palato e ci è toccato svegliarci tutti, siamo sinceramente sgomenti.
Abbiamo visto cose inaudite. Abbiamo visto ascelle arrabbiate spezzare il sole del pomeriggio ottobrino, natiche poderose conquistare il giardino dell’università, abbiamo sentito autorevoli petti parlare dalle impervità di un palchetto di legno, carne fresca e indignata: eroiche mani, stretto il nostro presente universitario in sicuro pugno, mani adulte e mani giovani, di qua e di là della cattedra, hanno cominciato a pugnare.
Inarrestabile corrente di carne fresca e indignata passa non si arresta ci porta via, sradica rettorato e istituzioni, contagia di rabbia studenti professori bidelli fumatori camminatori solitari, passa e porta tutti via, porta tutti giù, a solleticare la spina appenninica fino a esplodere in vorace cascata a Roma, laggiù, nella capitale arroccata in intoccabile empireo, in quirinale, arroccata a governare senza senno, a riformare.
Siamo sgomenti.
E intanto qua, intanto anche qua, pure qua, cos’è accaduto mai, secolari dormienti in asburgica culla ha rovesciato nella coscienza questa prepotente mareggiata di scapole e cosce, nasi chini al dogma della lezione come soldati silenti in tristi camerate questa onda di fieri zigomi ha risvegliato.
Ma che hanno fatto, chi sono, da dove sono venuti?
Polsi disperati, dita ribelli, cos’hanno fatto mai, hanno cominciato a impastare come pasta la forma mentale del nostro studente bambino, a massaggiargli le spalle del pensiero, mai Verona aveva visto tanto, cose inaudite, abbiamo visto aule magne riempirsi di muscoli e sangue come otri, abbiamo visto aule studio cambiare il vestito e traboccare di nuova vita, abbiamo visto.
Chi insegna, e chi di cultura si nutre, abbiamo visto insieme, pance incazzate, labbra credule, fronti appassionate: e non si fermano, e noi sgomenti, e non si fermano qui.
Pergiove.

La croce: per uno smadonnamento dello studente rivoltato (il bicchiere mezzo vuoto)


Sgomento sì, l’altosilente parola invoca sbigottimento e perplessità melliflua, da modellare a piene mani a mo’ di pongo equestre. Abbiamo visto ingenuità signorinostri, l’ingenuità del bimbo appena desto che cerca la tetta ad occhi chiusi, sbatte sull’addome e si fracassa prepotente lo zigomo sinistro. Abbiamo visto l’angelica creatura universitiera con candore primaverile parlarci di buona educazione e formalità burocratiche, abbiamo udito facezie sul bon ton e i permessi che verbigrazia van dimandati con colletti inamidati che spaccano il respiro nella strozza. E abbiamo visto e udito con sgomento sulfureo il venir meno al richiamo della terra, alle tradizioni del bifolco ma pur sempre saggio popolano, del contado che raccomandava a noi veneti di darci alla vigna e suggere il frutto fermentato di uve grappoliformi di cogliere quel nettare struggente quando che stilla dal frutto altorecato. “Giammai” udimmo inveire incontro a noi, “giammai il nutricamento peccaminoso avrà luogo finchè vivrò ed avrò sacra protestate in esto loco”. Ciò, sodali, ci fu detto, e detto fatto mutammo il nettare in fruttifero succo proibizionista e ruscelli di pompelmo ed albicocca si riversarono in bicchieri di fortuna per meglio sciogliere nel palato torte caserecce e salamelle di stagione.
Ingenuità s’è detto, ma anche macchinamenti arditi. Noi che fummo ala giacobina già nella Parigi robespierrica fummo oggetto di obbrobriose accuse. “Riformisti!” ci fu detto a destra e a manca, per lo vero più a sinistra, a sinistra e a manca, a manica. Ci fu da prender posizione, ci sdraiammo, non andava, si provò a gambe incrociate ma s’informicolavano, si provò quella dell’orso. Ci furon da sventare giullarate poco accorte, malintesi funambolici, assalti filosofici, dibatti ermeneutica, e concistori esorbitanti.
Per noi che abbiamo visto coi nostri sette occhi il grido s’alza unanime e cogente, come il corvo di Allan Poe : mai più. Mai più demagogismi, mai più politicismi isterici, mai più occupazionismi aprioritari, mai più ribaltoni mediatici e fuga dei microfoni. Mai più pescinfaccismo.

E certo è che s’è stato quel ch’è stato chi ha avuto ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato e ha dato ma il passato docet non si scorda, e il solco è men confuso si fa nitido, la strada di molte s’è fatta una, mai più deviazionismi e curve a gomito, mai più ruote fra i pali e bastoni in ogni dove. Noi s’è imparato e noi s’è molti la contrada è larga la tavola imbandita, di merda ce n’è per tutti.

la riforma presa da dietro

di Riccardo Artoni


Se la politica del governo Berlusconi può essere descritta approssimativamente dalla definizione “curare gli interessi di sè e dei propri amici”, non è così chiaro quali siano, in questo caso, gli amici. E pare a chi scrive che questa nebulositа caratterizzi un po’ tutta la politica di questo governo in materia di istruzione.

Di fronte alla totale avversione del mondo accademico, chi vuole questo DDL? Probabilmente una sua radice profonda sta nella necessitа di adeguare l’universitа italiana ai tempi, e nella necessitа di ridefinire ruoli e competenze in una realtа un po’ in decadenza. Necessitа avvertita da piè parti del mondo accademico stesso. Baronati eccetera non sono, per così dire, proprietа di un “bel tempo antico”, ma nuclei di potere che distorcono a loro modo gli indirizzi della libera e aggiornata ricerca e della didattica di qualitа.
Si dice che il Ministro abbia bisogno di almeno una leggina per dimostrare agli elettori milanesi di aver prodotto qualche cosa nel corso del suo Ministero (e a questo si dovrebbe l’accanimento verso l’approvazione).
Ma tutto ciò resta fuori dal nucleo principale della nostra (presuntuoso/a) domanda, riguardante le qualitа intrinseche del DDL: ovvero la politica del taglio alla spesa delle universitа pubbliche, la precarizzazione delle risorse di docenza, la riduzione della possibilitа di ricerca pura e libera, l’ingresso con forza delle aziende nel mondo accademico..

Su questo punto, negli ultimi tempi, l’ANDU (associazione nazionale docenti universitari) tira in ballo spesso il tema del complotto. Ed un nome che si sente pronunciare è quello della famigerata Associazione (o Fondazione) Treelle. Secondo alcune tesi chiaramente non ufficiali, tale Fondazione, il cui nome sta per LLL ( Long Life Learning - per una societа dell’apprenidimento continuo) e che da statuto dichiara di voler svolgere attivitа di lobby trasparente, per consigliare alle istituzioni politiche in materia di education (sic), sarebbe la vera fonte di tutti i provvedimenti degli ultimi tempi, così duramente criticati da tutta l’opinione pubblica.
Per il momento, basti chiarire che questa associazione, fondata da Umberto Agnelli, vanta tra i suoi membri nientemeno che Umberto Eco, Tullio De Mauro (ex ministro dell’istruzione), Piero Tosi (presidente della conferenza dei rettori CRUI), Giuliano Ferrara, il (forse) senatore di AN Valditara (relatore del DDL), e altri piè o meno noti.
Una lobby trasversale, dunque.
Le accuse mosse contro Treelle sono di voler favorire poche scuole di eccellenza private o pubbliche molto finanziate (e controllate da alcuni suoi membri, come U. Eco)…
Un altro nome mormorato ad alta voce è quello della fondazione Magna Carta, di cui al momento non so dire molto.
In relazione a ciò, da parte del mondo accademico la protesta va anche contro la trasversalitа delle opinioni riguardanti la riforma del sistema universitario italiano. Per avere una prova di come certe opinioni siano sparse per tutto l’asse politico, basta dare un occhio al documento scritto dal Forum per l’Universitа e la Ricerca promosso dai DS, documento datato 19 ottobre, che vuole dare le linee per la politica in materia di istruzione della prossima legislatura, e vale come traccia per il programma elettorale.
Parole d’ordine critiche, in mezzo ad alcune buone quanto stantie proposte, di questo programma sono: gestione aziendale dell’Universitа, piè finanziamenti per le scuole d’eccellenza, contratti a tempo determinato, localizzazione degli atenei con particolare attenzione alla realtà economica del territorio. Fate vobis.

Angolo apotropaico

di Marta Menditti

L’angolo apotropaico propone una tondatortaall’Elio perché entri nei polmoni chimicità di minor peso specifico e il cervello inizi a fluttuare sbadigliare boccheggiare e infine librare volare oltre ogni psichedelica.
Bè per ogni tondatorta che si rispetti necessitano pirofile assai levigate e geometrizzate, naturalmente la rotondità è inscritta in ogni parallelepipedo che si rispetti, così prima di tutto recuperate fondi recipienti e zavorre pesanti poi si nuoterà… nell’aria…
Vale, ahora se puede empezar!
Cercate nelle vostre credenze piccoli chiodi di sogni, possibilmente essiccati durante la luna calante dopo il solstizio d’estate. Raccogliete verso le idi di marzo tracce di tuberi simili alle comunissime genzianelle minori e cipollotti di cascata per il loro sapore agrodolce.
Lasciate poi i raccolti alla loro naturale detumescenza finché non raggiungono il caratteristico color violaceo tipico del loro avvizzimento.
Cospargete genzianelle e cipollotti con polveri pesanti e fini nitrati di bosco. I migliori si trovano lunghe le colline del Brennero, infine farcirteli dei chiodi trovati e se sono piuttosto carnosi, appassiteli a fuoco vivo facendo rilasciare il loro succo.
Una volta completato l’assemblaggio sfoderate pirofila e compasso e tentate l’inscrizione. Se dovesse risultare difficoltosa le mani possono essere un utile strumento di lavoro.
Finita anche questa operazione infornate il tutto e attendete l’ascesa. I fuochi fatui del vostro forno cardiaco potrebbero portare a notevoli evoluzioni fino alla sperata ascensione.
E se poco di questo vi riesce e la fame vi resta…
Eccove la ricetta della mia nonna che lei ne sa una più della Germana

La Tiella pugliese per 5 sani divoratori

Ingredienti
1 kg e mezzo di cozze spagnole( sono quelle più grandi)
8-9 patate di media dimensione
riso circa 1 bicchiere a persona
pomodorini
aglio
prezzemolo


Pelate le patate e tagliatele a pezzetti non troppo grandi per avere una cottura omogenea con il riso. Dopo aver tritato aglio e prezzemolo cospargete le patate con questi e salatele.
Pulite le cozze, se non lo ha fatto chi ve le ha vendute, togliendo le incrostazioni più grosse sui gusci e quel filo che esce dai gusci e le tiene unite quando sono allevate. Per aprirle, prendete una pentola e versatele dentro. Una volta messa sul fuoco vivace copritele e dopo pochi minuti le cozze si apriranno. Abbiate fiducia. Metà apritele tenendo il mezzo guscio a cui è attaccato il mollusco, l’altra metà sgusciatela completamente.
Prendete una pirofila e a strati mettete patate, cozze con gusci e senza, riso e i pomodorini tagliati a metà.
Coprite la composizione random, con acqua leggermente salata e con quella che hanno messo fuori le cozze, filtrandola con un tovagliolo di stoffa. L’acqua non deve essere eccessiva sopra il composto, deve appena coprirlo. Prima di infornare coprite la teglia con la carta stagnola.
Ficcate in forno a 200 gradi per circa 1 ora e mezza , e 10 minuti prima della fine togliete la stagnola e lasciate che si formi una crosta dorata. Poi estraete e maggnate!!

consiglio degli (agli) studenti

io comunque mi dissocio
di Riccardo Costi


L'assoluta mancanza di idee che dall'alto di un baobab, abbronzata mi osserva, influenza e destabilizza con uno sguardo la materia grigio-beige che risiede nella parte alta del corpo, come il calore di una padella bucherellata arrostisce le castagne sapientemente preparate applicandovi un taglio deciso al centro per non farle esplodere.
Bistecca senza contorno servita in un vassoio di fortuna, arriva il traghetto mangiamerda, e sulla desolata savana di inutile vacuità che circonda la questione antimorattiana stende una buona impolverata di toner, e nella carne che forma i corpi han preso vita i punti e le croci di un movimento. Movimento delle fronde al passaggio di una brezza possente ma comunque fugace.
Dando ordine alle menti le cui idee sono situate nel magma sparso, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 e 10 suggerite azioni hanno preso forma insinuandosi tra le maglie incrociate della carta per giungere a voi, e lo sguardo di 12 attonite donnole presenzia la messa in onda di questo spettacolo della vita dove i luoghi vengono presi, smontati, rimontati e poi lasciati andare in un fragore di urla e risa estasiche accompagnanti gesti e movenze di un perduto modo di convivere la realtà.
Attività cerebrale, attività: si pensava alla morte ricordando la capretta tagliata a metà sul sottofondo di liriche ciuchine; si pensava alla morte riguardando quella corsa eternamente statica di colei che d'estate destata rifugge gli impegni impostasi; un attimo di attenzione: il secondo è servito! Come tavole imbandite, le menti attente, da troppo tempo aspettano la continuazione di questo desinare; ed ora, che i piatti fondi sono già stati lavati, forchette e coltelli alle mani preparatevi ad assaggiare ciò che è stato preparato. non sarà merda, di quella andiam ghiotti, una semplice bistecca senza contorno è ciò che vi offriamo ingannando l'attesa del ricco “dopo” abitato da speciali contenuti.
Se fame non è avvertita, almeno la curiosità di soddisfare un perchè affiora, dando modo all'eterea forma dell'operato di apparire non solo sotto le mentite spoglie di frasi e parole ma anche di segni, simboli e movimenti della matita animati da quello spirito comune che è proprio di queste pagine.
Procedendo verso la fine non vi è alcuna resistenza al normale svolgimento dell'esistenza, mangiar si deve; ma quando un palato non riesce a goder del bovin alimento, suggerimenti culinari in forma di pugliesi pietanze vi aspettano al varco.
Utilità, non solo traghetticità, ma quando riusciremo ad istituire l'angolo del muscolo vitale capiremo che la vita ha fatto il suo corso, il corso ha fatto la vita e appendendo tastiere, scalpelli e calamai ai chiodi, il vapore cesserà di uscire dal natante.

Ma ora ce n'è ancora tanta di merda da mangiare e senza alcuna esitazione chiedovi: quando c'è la diarrea è giusto continuare l'allattamento al seno?

mercoledì 10 agosto 2005

speciale - REFERENDUM ABROGATIVO

di Anna Fabbri


Cominciamo dalla data. 12 Giugno 2005. E’ stata definita una data marittima, questa scelta per il referendum abrogativo sulla legge 40, legge che limita il ricorso alla fecondazione assistita. I cattolici, che hanno invitato anch’essi a non recarsi alle urne, sapranno annettersi con eleganza anche il trenta per cento di astensione endemica, che salirà al quaranta per cento, se sarà una giornata di sole. Andate al mare, che tanto non siete neanche in grado di capirli, i quesiti, cari elettori.
Io andrò a votare, e voterò sì a tutti e quattro i quesiti.
Sulle questioni fondamentali della bioetica sono confusa. Diciamo che come studentessa della medicina apprezzo soprattutto questo: l’etica, in campo medico, non trascende mai l’individuo. Non è la malattia, ma il malato. Questo malato. Mi è sempre più difficile trascendere dall’individuo. Non sono più così convinta che esista una legge che vada bene uguale per tutti. Non so se abortirei, non so se come ginecologo praticherei aborti. Ma sono d’accordo sul fatto che l’aborto è un diritto. Non posso che essere in questo, figlia di Antigone. Contraddittoria, se volete, ma contraddittoria perché adesa all’umano.

Non è dal punto di vista etico che attacco la legge quaranta. L’attacco perché è un esercizio di cerchiobottismo, perché è illogica e antiscientifica (“è una legge ingiusta, inumana, antiscientifica” Umberto Veronesi). Penso che quando si avvicina ai misteri, all’inizio della vita, alla sua fine, alla genitorialità, lo stato dovrebbe essere assolutamente non invasivo. Il diritto, su queste questioni, dovrebbe farsi impalpabile, invisibile, solo un ossatura che sostiene la libertà del singolo. Perché, chiamati a fare una scelta su queste questioni (e non lo auguro a nessuno), noi siamo soli, soli perché dobbiamo uscire dalla collettività e decidere come individui. E per di più individui di una società multiculturale. Questa legge invece è prepotentemente invasiva e nel tentativo di ingraziarsi i grandi elettori calpesta proprio quei deboli che si impegna a proteggere: la Donna e l’Embrione.

Se me lo permettete, vi riassumo di seguito i quesiti referendari e tento, per ciò che posso, di spiegarli e commentarli.

1. Si chiede di cancellare i divieti che puntano a ridurre la dispersione di embrioni e che limitano le possibilità di successo costringendo la donna ad esporsi a molti più cicli riproduttivi. La legge 40 permette di creare non più di tre embrioni per volta e obbliga ad impiantarli tutti, senza scartare eventuali embrioni malati. Si chiede di abrogare anche il divieto di conservare gli embrioni con il congelamento.
2. Chiede di cancellare il divieto di ricorrere a spermatozoi o ovuli di donatori esterni alla coppia.
3. Chiede l’eliminazione degli articoli che impediscono sia l’utilizzo che la creazione di embrioni a puri fini di ricerca.
4. Chiede di abrogare quelle parti degli articoli che mettono sullo stesso piano i diritti dell’embrione e quelli dei genitori.

Il primo quesito lo si potrebbe anche intitolare “il corpo della donna come campo di battaglia”.
Campo di battaglia sul quale diverse ideologie si battono sanguinosamente. Molti, donne e uomini, sono convinti che il corpo alle donne andrebbe espropriato per legge: la donna è vista come eterna bambina, incapace di gestire questo corpo così potente e misterioso. Lo stato, la chiesa, gli uomini, la collettività, l’embrione, i padri: bisogna che qualcuno gestisca questa fisicità così imbarazzante, bisogna sollevare le donne-bambine da questa gravosa responsabilità.. Tutto l’impianto della legge, che pure sbandiera il suo intento di proteggere la donna, tende principalmente a rendere la fecondazione assistita molto, molto più difficile in un’ottica quasi punitiva nei confronti della donna. Forse sarebbe più onesto proibirla definitivamente, invece che renderla nociva per chi la sceglie. Visto che di sangue e carne parliamo addentriamoci nei particolari tecnici della questione. Per ottenere embrioni in vitro i passi sono i seguenti:

1. La donna deve iperovulare. Ogni mese una donna produce un ovulo pronto per la fecondazione. Esponendola però a una dose massiccia di ormoni si può ottenere la produzione di più ovuli. Ora, gli ormoni sono potentissimi segnali intercellulari, secreti in dosi bassissime naturalmente hanno un funzionamento sistemico: ciò vuol dire che funzionano a cascata e stimolano risposte diverse in molteplici organi e tessuti diversi (estrogeni e testosterone, per esempio sono attivi persino sul cervello ). E’ indubbio che gli ormoni sono sostanze da usare con grande cautela, anche perché sono sospettati di favorire l’insorgenza di tumori se usati scriteriatamente (vedi terapia ormonale sostitutiva, accusata di favorire il tumore al seno).
2. Gli ovuli devono essere prelevati chirurgicamente dall’addome della donna ed esposti in provetta al seme che li feconda, per poi essere impiantati nell’utero artificialmente.
Le limitazioni previste dalla legge sono sul numero degli embrioni prodotti (mai più di tre) e sulla loro utilizzazione: tutti e tre contemporaneamente e obbligatoriamente, anche perché non li si può conservare. Tutto questo, all’atto pratico, significa per la donna in termini di rischi:
1. Nelle giovani in particolare il rischio di gravidanza trigemellare è alto. Ricordo che raramente le gravidanze plurigemellari vengono portate a termine positivamente: il rischio di parto prematuro e di insufficiente accrescimento dei tre feti è alto. Non è chiaro poi cosa si intende per obbligo di impianto. Il ginecologo, davanti ad una donna che non vuole che le siano impiantati i tre embrioni contemporaneamente deve chiamare le forze dell’ordine? Deve narcotizzarla e agire a forza?
2. Se la prima gravidanza fallisce bisognerà ricorrere ad una nuova iperovoluazione e ad un nuovo intervento chirurgico per tentarne un'altra, invece di ricorrere a embrioni già pronti precedentemente congelati.
Scartare gli embrioni non sani significa diagnosi preimpianto, non eugenetica. Non si tratta di permettere ad una coppia di decidere il sesso del loro bambino o il colore dei suoi occhi ma di permettere a coppie che hanno il 25% di probabilità di avere un figlio malato (talassemia, fibrosi cistica…) di escludere certamente questa possibilità con un’analisi del genoma dell’embrione prima dell’impianto. Trovo coraggioso che una coppia che magari ha visto morire il proprio bambino di una malattia genetica altamente invalidante voglia avere un altro figlio. Trovo inumano non permettergli di sapere se il bambino che stanno concependo sarà sano o malato. La conoscenza non implica necessariamente una scelta, né in senso positivo né in senso negativo. Ma potremo parlare a lungo della genitorialità come accettazione incondizionata, se non fosse che comunque in Italia esiste il diritto all’aborto e l’istituzione dell’aborto terapeutico, quindi, o questa legge è un primo passo per rimettere in discussione l’aborto oppure è semplicemente illogica.

Gli embrioni crioconservati sono una questione molto delicata: solo in Italia 30 000 embrioni si stanno lentamente spegnendo in bare di azoto liquido a temperature bassissime. Ora, sulla produzione di embrioni ai fini della ricerca sono piuttosto perplessa. Però non capisco perché gli embrioni già prodotti non possano essere usati a questo fine, visto che l’alternativa è bruciarli o lasciarli spegnere lentamente nel freddo. A parte la ricerca pura i campi di applicazione sono molteplici. Le cellule embrionali sono staminali totipotenti, ciò vuol dire che potenzialmente possono differenziarsi in qualsiasi tessuto dell’organismo: messe in coltura con neuroni diverranno neuroni, messe in coltura con epatociti diverranno epatociti. Credo che possiate immaginare cosa significa questo per malati di malattie degenerative che coinvolgono organi come il cuore ed il cervello, tessuti che praticamente non si autorigenerano se offesi. Una soluzione al problema, proposta sia da scienziati favorevoli alla legge che da scienziati contrari potrebbe essere quella di stabilire il momento esatto nel quale il decadimento dell’embrione criocongelato è tale da renderlo incompatibile con l’impianto e, da quel momento in poi, considerarlo clinicamente morto e quindi usabile senza ricadute etiche per la ricerca. La legge 40 è invece categorica: niente embrioni per la ricerca.

Quando l’embrione riceve l’anima, si chiedono i cattolici?
A questa domanda sicuramente non può rispondere la biologia. Io credo che equiparare l’embrione ai suoi genitori non sia una manifestazione del rispetto per la vita umana. L’embrione è sicuramente vivo come individuo, se per vita si intende ciò che i greci intendevano con la parola bios. Ma credo che alla vita umana sia necessario dare un valore diverso rispetto alla definizione di vita in senso biologico. Noi consideriamo qualcuno clinicamente morto non quando il suo cuore non batte più, non quando cessa il respiro, ma quando non vi è più pensiero cosciente, sentimento, capacità di espressione. Io credo che si nasca un poco alla volta, che nasciamo anche nel primo sorriso, nella prima parola. Io credo che un uomo lentamente e faticosamente diventi tale. Io credo che gli uomini si guadagnino un anima. All’embrione è necessario portare rispetto come progettualità di vita, non come uomo a tutti gli effetti. E poi credo che il problema di questa legge sia la fondamentale mancanza di rispetto per la donna ed il suo corpo, prima di tutto: tra i diritti dell’embrione ci deve essere anche quello di essere allevato da una madre che non ha subito pratiche inutilmente invasive per diventare tale.
Spero che il 12 Giugno 2005 non andrete al mare.

- pubblicato in allegato al numero unoemmezzo

PREMIO SERGEJ ŠARŠUN

le interiora redazionali tutte per: Andrea Confalonieri


Squittìo di trombe, fiato ai duodeni.
Il Traghetto Mangiamerda proclama il vincitore della prima edizione del concorso di poesia inutile “Premio Sergej Šaršun”.


La redazione ha esaminato i molti testi arrivati, dopo guerre intestine, colpi sotto la cintola e distrazioni strategicheè giunto il verdetto.
Tappeto rosso per Andrea Confalonieri, milanese, che col suo testo privo di titolo sbaraglia la concorrenza getta nel fango (nella merda) gli avversari e si piazza qui, sul gradino più alto, a pochi centimetri dal suolo.

Rispettate le regole ferree del bando, lunghezza massima di tredici versi e mezzo, tre parole obbligatorie: spremilimone, fondocranici e velodromo. Il buon Confalonieri va ben oltre, sperimenta ardite soluzioni metrico-sintattiche, insegue l’analogia sonora, chiari i rimandi al post-platonismo rivisitato in chiave esistenzialista. Pane e baritonesi. Sfiora continuamente la sineddoche, ma appena vi giunge si ritrae per rifugiarsi nel nido della retrogradazione a croce. Non teme la rima facile, insomma un brao butèl.

Prima di deliziarvi con la poesia del trionfatore, un grazie a tutti i partecipanti. Brave tutti. Brave bene. Bene bis. Nel sito ci trovate omni i testi che hanno partecipato.
Ciccate qui. Proprio qui. Proprio. Qui.


Veleggiavo, sotto di me una piccola asse di fronte a me una piccola vela
quattro rotelle in tutto nel mio personal velodromo
e intorno a me
Capre macellate e Macellai incaprettati
Carne andata a male, da quanto il Male si e' fatto carne
Spremitori di limoni spremevano limoni con spremilimoni
Qualcosa di strano?
io lo faccio ogni mattina
e spremo limoni
negliocchinelleferitenellepiaghenellaboccasuperilnaso
E lascio depositare un sottile strato di succo acido sul fondocranico

così da non sentire le urla dei Maiali


siate fondocranici o fonopratici o fonografici o cronografici o mondotraffici
io mi alzo singhiozzo cinque volte e poi vomito.

CINQUINA MANGIAMERDISTA

Posologia: eleganza di rigore, massima serietà
di Carlo Michele Pigozzi, Michele Barbolini, Andrea Masotti

"Parla la follia: e come quando il sole mostra alla terra il suo volto splendido ed aureo, o dopo un inverno rigido la giovane primavera spira con mite zefiro, ed ogni cosa improvvisamente acquista un nuovo aspetto, rivestendosi di freschi colori e tornando giovane, così voi pure, vedendomi, avete cambiato faccia."
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia



1. "Ariete Pigoz": bussare ripetutamente e a cadenza regolare alla porta di un'aula in cui si sta svolgendo una lezione. Quando qualcuno viene ad aprire deve trovarsi di fronte la seguente scena: tre di voi stanno sollevando un quarto complice che indossa un casco da moto e lo tengono orizzontalmente puntandolo verso la porta a mo' di ariete, come se invece di bussare avessero ripetutamente tentato di sfondare la porta.

2. "Ombrello serramanico": in un'aula in cui si sta facendo lezione, a turno vi affacciate alla porta guardandovi intorno con l'aria di chi cerca qualcosa e restate lì per una ventina di secondi almeno. Dopo cinque o sei di queste comparsate ci si affaccia tutti insieme, guardando in tutte le direzioni, dal gruppo spunta l'ultimo complice e apre sopra le teste degli altri un ombrello a scatto, rigorosamente nero.

3. "Giocattolini a molla": in un'aula in cui si sta svolgendo una lezione questa è un pò più complessa forse è meglio quella dei rumori forse.

4. "Quella dei rumori": aula. Lezione in corso. Seduti 5 o 6 sparsi un pò in giro. A turno ognuno emette un suono diverso in successione continua e ritmata. Colpo di tosse. Strappare un foglio. Pugno sul banco. Rumorio di penna. Altre a piacere. Gran finale facendo cadere pioggia di monete per terra o cascata di starnuti.

5. "Insalata non ce n'è più": due di voi sono già in aula, vicini. Entra un terzo in mise da cameriere, con tovagliolo sul braccio e menù. Arriva dai due, dà il menù. I due dicono: "un'insalata grazie." Lui esce, rientra e dice: "sono desolato." I due lanciano improperi e berretti ed escono.

EMET

di Riccardo Artoni


La verità scese come colata di metallo sulle nostre vite in una purpurea giornata di ottobre dell’ anno xxxx , mentre noi tutti si era presi a vivere; venne come un potente emetico a spazzare le visceralità recondite nella dottrina morale che fino ad allora si era accettata per universale e stabile , seppur per via empirica.


La sveglia dal barbaro sonno empirico venne , come per costante scherzo del destino,
da quanto di più intestinale si possa trovare sul suolo mondano , ovvero dal moto di addio al reale del profondo di un futuro cadavere in via di exitus violento , prodotto di decomposizione di urla mentali e budellari , in uno strazio disperato quanto simile all’ ultimo grugnire del porco.
“Emet- gridò raggelante , pressappoco.. chiamando forse qualcuno o qualcosa non si sa se con rabbia o con rimpianto- emet , [….] a vista morente , un personaggio qualunque , forse un po’ più alto della media, in una qualunque piazza di una microscopica città prospiciente ad un bar. Dove più persone prese a sorseggiare il primo bicchiere della luminosa giornata lì davanti rimasero forse un po’ stupite , come per un esplodere improvviso d’ orchestra sinfonica.
Una rosa di sangue pronto a coagularsi si dipinse sul selciato in breve tempo .
In breve, in preda ad un furore dettato dal momento, la vita fece da simmetrico controcanto a quell’ urlo; un’ estetica dell’ ordine, equivalente ad un’etica dell’ assoluto, si prestò agli atti eroici del quotidiano.(Senonchè il reale era dietro l’angolo, a lasciare profonde, incondensabili tracce.).Peraltro, dopo la sbandata successiva al colpo, la macchina si riportò in strada, continuando la sua prestabilita corsa.
Nel frattempo, l’uomo rimaneva bocconi, probabilmente morto, inutili i soccorsi, assurdità.
Ma la morte- tutti identicamente e subitamente pensarono nel fermo immagine successivo- la morte, è naturale; altro può essere o sembrare assurdo, il decedere è così naturale..
E la vibrazione dovuta al fermo-immagine, com’è naturale, non tardò a dare il suo effetto, emetico appunto: scene altrettanto pietose si susseguirono,di vomiti tra i più coloriti.

Nel frattempo, l’ insana rosa rosso sangue cresceva, in quel letto di gioia cremisi.

PROVA COSTUME

di Michele Barbolini

Guardatemi bene!
Sono un idiota, sono un buffone, sono un mistificatore!
Guardatemi bene!
Sono brutto, ho un viso inespressivo, sono piccolo.
Sono come tutti voi!
[Tristan Tzara]

Lallallà.
Pepperepeeeeeeeeeee!
Pepperepeeeeeeeeeee!
Mangia la merda prima che lei mangi te.

Ancora qua. Nuemero mezzo, mezzonumero a mo’ di mezzobusto e contro la mezzadria intellettuale. Non si va un tanto a chilo. Nonnonnò.

Mezzonumero leggero per l’estate. Mezzonumero per darvi un po’ fastidio e anche dirvi grazie, voi giovani incoscenti che un po’ ci avete creduto, che con le vostre offerte ci avete sostenuto facendoci arrivare fino qua.
Sìssì, famiglia sempre più larga, saltimbanchi mimi e istrioni si sono uniti nella tenda del traghetto, tenda un po’ circense e un poco ospedaliera, casamatta nella pianura dell’indifferenza.
Mezzonumero a guisa di congedo, l’arrivederci classico rivisitato, per dire che a settembre ci saremo, risciacquati dalle abluzioni estive, con il secondo numero e un monografico che già teniamo nel cassetto.

Per ora qualche consiglio attivo per iniziare al meglio l’anno nuovo, un po’ di spirito mangiamerdista, qualche suggerimento per togliere la belletta alle lectiones monolitiche.
E un grazie a tutti e tutte per la partecipazione numerosa al concorso intitolato a Sergej Šaršun, molti i testi arrivati, imbarazzante la scelta ma il vincitor s’è imposto e lo trovate qui sue queste pagine, in attesa della gloriosa passerella settembrina, con tanto di paiette e nastri rossi, mazzi di fiori, champagne e letame fumante.

Il mondo se ne sta bello fermo, anche con l’adsl e le fibre ottiche, la summer card il digitale terrestre. La verità che è non si muove, incastrato nelle stesse guerre da vent’anni, nello stesso linguaggio farneticante. Noi ci siamo messi in moto, se non vi spostate vi veniamo addosso, non vi scansiamo mica, nonnonnò, muovete il culo pure voi, la merda non aspetta.

Traghettatevi in capo al mondo in questi mesi, camminate lontano, guardate le cose dall’alto se riuscite, via dai fumi della pianura. La merda vi aspetta sulla soglia, al vostro ritorno. Noi saremo lì, immersi fino al collo.

Kippe koppe fefè!
Kippe koppe fefè!
KIPPE KOPPE FEFÈ!
Balù balù balù!

sabato 14 maggio 2005

Concorso di poesia inutile Sergej Šaršun




IL VINCITORE


Veleggiavo

di Andrea Confalonieri

veleggiavo, sotto di me una piccola asse di fronte a me una piccola vela
quattro rotelle in tutto nel mio personal velodromo
e intorno a me
Capre macellate e Macellai incaprettati
Carne andata a male, da quanto il Male si e' fatto carne
Spremitori di limoni spremevano limoni con spremilimoni
Qualcosa di strano?
io lo faccio ogni mattina
e spremo limoni
negliocchinelleferitenellepiaghenellaboccasuperilnaso
E lascio depositare un sottile strato di succo acido sul fondocranico
così da non sentire le urla dei Maiali


siate fondocranici o fonopratici o fonografici o cronografici o mondotraffici
io mi alzo singhiozzo cinque volte e poi vomito.



GLI ALTRI:



La poesia di Felice Mandela

di Riccardo Artoni

La versione del Monti:

Del tempo che passato vuol tornare
Ricordo sol uno spremilimone:
Lo vedo sм volare nel velodromo
Quale ciclista d'incerta nazione
E sbattere la fronte alla parete
Ignaro dell'errata costruzione.
Velodromo dei sogni è questa vita
Turrita d'episodi fondocranici
Che pur ritornano agli stessi passi:
Il povero limon d'esempio è grato.




Gettonai ai gendarmi che saranno state le cinque meno venti

di Bob

Gettonai ai gendarmi che saranno state le cinque meno venti
e scribacchiai con la biro che saranno state le cinque meno venti

Tintinnai l'avvertenza che saranno state le cinque meno venti
e usufruii dello spremilimone che saranno state le cinque meno venti

Mi nutrii del pomo granato che saranno state le cinque meno venti
e fui partecipe della ciclocamperstre che saranno state le cinque meno venti

Proiettai qua e lа lo stabbio che saranno state le cinque meno venti
e dischiusi l'apparato difensivo che saranno state le cinque meno venti

Mi situai i calzerotti che saranno state le cinque meno venti
e spennacchiai il casuario che saranno state le cinque meno venti

Traslai al velodromo che saranno state le cinque meno venti
e azionai la macchina dei calcoli che saranno state le cinque meno venti

Ma te lo sai a che ora diedi principio a questi brusii fondocranici?
Alle quattro e un quarto, mi sa.




L'asfaltagatti

di Ivan Favalezza

Occorre la questione delicata mia…
Posso ammansire io Velo, gatto matto della zia?
Spremo-meningi marroni, spremo sperma color canarino,
pomi d’ottone e spremilimone: che spirali d’uso! Ho trovato!
Scippo i nervetti fondocranici della bestiola che vitale tuttora miagola…
Velo, Velo dico! Velodromo a replicare!
Lobo-stecchito, gatto ammansito!

Ma la questione si fa intricata!
Ammansito si! Ma soffre e fa miao!
Che spappolamento ‘sto smiagolamento!
Ecco gli ingredienti per farli ciao, ciao!
Rullo asfaltatore, calma malata! Velo-citа piщ non ne ha!
Gatto asfaltato e incatramato!



Spremilimone

di john veleno, figlio di madre ignota in data incerta in dubbio luogo

"ve lo do io il velodromo!"il sindaco disse...
"ma che cazzo vi credete,che i soldi li caghiamo!"
"tanto,mica son nostri"gli assessori risero...
lo presero alle spalle
lo misero su un asse
gli incisero la testa
la mente gli frullarono
giu' fino al fondo cranico.



SOGNO

di Caterina Ugoli

Notte.
Sogni fondocranici
Di luoghi panici.
Corse di biciclette
In un velodromo, agrumi a fette
Che ruotano
In uno spremilimoni.
Danzo in un giro
tondo di capriole,
sono il sole.



PENSARE

di Caterina Ugoli

Teschio come bicchiere
Sorseggio fondocranici pensieri
Liquefatti.
Estratti
Di una vita sbucciata
Di cui rimane
Come in uno spremilimone
L’acido succo.
Nessuna cerebrale astrazione
In una mente velodromo
Dove la partenza
è un inesorabile arrivo.



UNA STORIA

di Caterina Ugoli

Avanzi
Di fondocranici ricordi
Giochi di sentimenti sordi
In fibrillazione
Alla statica partenza di un velodromo.
E’ un arrivo.
Vado ma non mi muovo
E spappolo
Stritolo
Mi riduco in poltiglia
Come in uno spremilimone
Della mia vita non resta
Che una buccia giallo arancio.



Il letto nell’acqua

di Eugenio Sibona

Perso nel velodromo dei miei pensieri
Vedo tutto ciò che sento
gocciolare in fondo,
come disperso violentemente
Da uno spremilimoni.
Fondocranici oggetti svolazzano
Regolarmente come piccoli pianeti
Nell’universo dei miei pensieri.
Tosto cerco di riordinare la mente
Dopo una notte di follia.



Spremilimone indaffarato

di Marco Leonardo Pieropan

Spremilimone indaffarato
velodromo affollato:
fondocranici meccanismi
d’esistenza operosa.



in fondocranici pensieri

di Marco Leonardo Pieropan

In fondocranici pensieri
La societа spremilimoni
Pare un velodromo in cui
La merda fumante trabocchi.



impazzito velodromo notturno

di Marco Leonardo Pieropan

Impazzito velodromo notturno
d’indefinite stagioni (infantili
forse), tu fondocranico ricordo

hai finalmente il tuo turno.
Ma come marionetta senza fili
giaci inerme e mi dici:-No, non mordo

la mano che ha dato le carezze,
né lo spremilimone di tristezze.



lei mi accarezzava il pene

di bjbi boy

lei mi accarezzava il pene
nudi sul tandem
nel buio del veledromo in disuso,
piu' mi eccitavo piu' pedalavo impazzito d'amore.
gemiti fino all'orgasmo, completo.
in quel mentre caddi gioioso
e la mia testa si spezzo'.
estrasse il suo spremilimone e raccolse i miei fondocranici,
ando' a casa e bevve la spremuta,
e' cosi' che la donna divenne intelligente.



VETERINARIO

di Lorenzo Dotti

Mi trovai al velodromo
per errore di un cosmodromo,
dovevo andare all'ippodromo.

Mi chiamarono d'urgenza:
c'era un cavallo con problemi di flautolenza!
Gli davanno riso patavino
ma ahimè, serviva un canarino.
Cosм accorrevo col mio scooterone
e in mano portavo uno spremilimone.

Giunsi sul posto in poche ore
e affrontai il ronzino col divaricatore,
temevo i suoi gas satanici
per fortuna aveva solo dolori fondocranici.



IRONIA DELLA MORTE

di Marino Artebro

Cavallo da corsa frustrato tenta il suicidio:
era finito per sbaglio in un velodromo.

Famoso scienziato dа la prova matematica
che l'anima si trova nei dintorni fondocranici.
Fanatico satanista fa la fine del Re Sole.

Meringa soggetta a delirio di onnipotenza,
credendosi uno spremilimoni,
si frantuma contro un pompelmo.



Stamattina..

di Cristina Bottini

Stamattina mi sono destata tutta sfatta
aimè mi pento del gelato eri sera tutta crema..
neanche il mio caro e vecchio spremilimone plastificato
è riuscito a concentrare il succo pacato
di quel limone trovato nell’ultimo cassetto del frigo sgangherato.


Eccomi qui allora con questi dolori fondocranici che arrivano al cervello
a dover affrontare questa mattina che non promette nulla di bello
e allora mi vesto, esco e sorrido al mondo
ma non mi pongo nessuna meta visto che la mia pancia balla il girotondo
e canta come le tribщ nel lontano Congo.


Incontro per strada un mio amico che mi dice che il modo migliore
per vincere tanto malore
è andare a correre insieme al velodromo di Bresso
e allora io inizio a pensare che lui sia proprio fesso...



UNA GIORNATA STRA-STRA-SFIGATA

di Daniela Martari e Di Lorenzo Francesca

Mi sono svegliato
tutto sudato
che coglione sono stato
lo spremilimone ho usato.
Oggi piove che Dio la manda
e mi tocca uscire con quella cazzo di panda.
Al velodromo devo andare
ma non mi ricordo che diavolo devo fare.
Prima o poi mi verrа in mente
di certo non sarò cosм deficente.
Per concludere in bellezza una giornata stra-stra-sfigata
vi propongo questa cagata....
di una parola si tratta: fondocranici...
...e adesso che mi dici?????



non pensare

di Giulia Laveto

"non pensare.
fondocranici.
tieni gli occhi chiusi.
velodromo.
gustati i ricordi.
spremilimone.
la notte è giа arrivata
-sssssssssssssssssssssssswh-
la tensione aumenta."



per i clienti delle prostitute

di Bertrand Cantat

le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
sopra gli inutili pensieri
per trovare la felicitа. (fondocranici).
le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
sopra il velodromo, e
i nostri inutili sforzi
per trovare la velocitа.
le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
figurando da spremilimone
sopra gli inutili ombrelli
corrosi.



ho il tuo nome scritto

di Lorenzo Mazza

Ho il tuo nome scritto
Sullo spremilimoni,
ci tengo, sai
ai fondocranici impulsi
del mio cervello d’ acciuga.
Fuggito dal velodromo del senso
La televisione accendo.
Così mi muovo in branco,
non penso, faccio come tutti fanno.
Solo che qui non è mare aperto,
anche l’ amore aderisce a un progetto
e nella plastica t’ attendo.



E’ primavera

di Lorenzo Mazza

E’ primavera.
I pollini dei platani sono lo sperma
Fluttuante nel velodromo della terra,
l’ acqua azzurra
per noi che siamo qua in cittа
è merda, è merda.
Dove allora lo spremilimoni
Regalatoti da me
Che non usasti mai
Buttare via
Inacidendo il cuore
Nei labirinti delle nostre droghe da bimbi,
fondocranici rapidi consumismi.



INNAMORARSI IN MENSA

di Fabio Grobberio

innamorarsi in mensa,
non ne so fare senza,
gia' m'innamoro in coda,
ma non la gente m'oda.

innamorarsi in mensa,
nutrire la speranza,
che oltre alla mia pancia
sia sazio, il mio cuore, ad oltranza.

l'amor nasce col primo,
tutto appar assai divino,
ma la pasta che e' gia' scotta,
lascia in me l'amaro in bocca.

un'amor dura un panino,
ma gia' credo al mio intestino,
e' rosetta, e' mantovana,
ma che sia buon, speranza vana.

passo quindi al mio secondo,
che aime' e' sol contorno,
la mia cotta ancor perdura,
non piu' carne, sol verdura.

sto mio pranzo abbagliato m'aveva,
ristorator gia' mi shermiva,
se tanto gentil e fresca pareva,
l'insalaton ch'egli m'offriva,

e nell'istant in alto miro,
femminil meli appesi al cielo,
occhi di donna m'illuminan d'in mensa,
rischiaran del cibo or la valenza.

d'innamorarmi in mensa,
non so ancor farne senza,
ma in grembo ho la sapienza,
d'alimentar intolleranza.

el mio disnar m'er dolce in questa sala,
ma l'ingerir distratto er cosa mala,
el mio vassoio sdrucito io piglio,
tenea tutto il mio pasto el suo travaglio.

giunto il vaneggiar ai carrelli amaramente,
pentersi, e il conoscer tutto, chiaramente,
quanto piaqque in mensa era sogno eccipiente,
el mio amor del di', in mensa, mente.



Il cannone me lo merito

di Giuseppe Trupia

Il cannone me lo merito
di quelli da effetto fondocranici.
Magari non me lo merito ma me lo fumo subito.
Scusa? me lo spremi un limone.
Sparo tutto: scorze, semi, e limoncello sputato.
Un milione di danni...ho il destro facile.
Puntatina al velodromo.
L'atleta tocca il fondo. E' finita.



GLI IRRIDUCIBILI

di Andrea Senzacognome

Fondocranici,
psichedelici,
tragicomici
minchioni
seduti smutandati
sopra uno spremilimoni
fan perno su se stessi
girando intorno
come un ronzino
in un velodròmo:
sempre ultimo,
ma mai domo.



velodromo

di Giacomo Manfrini


velodromo
spremilimone
fondocranici
nell'aere
vespertina.



IL LIMONCINO

di Martina Segre


Vi sarà capitato, almeno una volta;
suvvia! Una giornata storta,
di impugnare con mano decisa
una mezzaluna giallognola e lisa.
Gira e rigira nello spremilimone,
ecco lo schizzo ed il bestemmione.
Fondocranico di un tipo,
hai l'occhio tutto irritato
è inutile che pensi al velodromo,
con quell'occhio martoriato.
Con cordoglio ti sto vicino,
povera vittima del limoncino.

martedì 10 maggio 2005

La riforma De Maio

di Riccardo Artoni

Facciamo dunque morire in noi – disdetta! – lo spettro dell’ignoranza e apriamo una pagina meno idiota, ma forse altrettanto incomprensibile ( e viceversa). Col decreto 270 del 22 ottobre 2004 (Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.), apparso in novembre sulla gazzetta ufficiale, è stata varata la riforma De Maio, o riforma a Y. Di cui Adriano De Maio nega oggi la paternità; ma in questi, come in altri, casi, mater semper certa, pater numquam.

Parla il Ministro
"Abbiamo raggiunto un'altra importante tappa per rendere il sistema universitario più efficiente e rispondente alle esigenze di una società in sempre più rapida trasformazione", ha commentato il Ministro Letizia Moratti. "Con la revisione del Decreto che ha istituito il 3+2 sarà garantita una maggiore flessibilità alla progettazione formativa e saranno, al tempo stesso, riqualificate le lauree in modo da potenziare il raccordo con il mondo del lavoro e consentire più opportunità di sbocchi professionali. L'Università italiana", ha concluso il Ministro, "ha ora gli strumenti per assicurare ai nostri giovani sia la qualità dell'offerta formativa sia titoli maggiormente spendibili sul mercato del lavoro".

In sostanza cosa prevede il 270/04
Il 270/04 va oggi a sostituire il 509/99, decreto che rappresentò l’introduzione della riforma detta “del 3+2”. Il nuovo testo modifica il precedente per quanto riguarda la denominazione di corsi e titoli di studio, la definizione dei crediti formativi universitari, i criteri d’accesso alla formazione “superiore” (laurea magistrale), ed introduce la novità da cui viene il nome di “riforma a Y”. In breve analizziamo i punti salienti del decreto legge.

Denominazioni dei corsi e dei titoli
Il 270/04 mantiene la definizione di “corsi di laurea” per i corsi di laurea triennale e rinomina i corsi di laurea specialistica come “corsi di laurea magistrale”, al termine dei quali vengono conferiti rispettivamente i titoli di “dottore” e “dottore magistrale”. Questa definizione è retroattiva, quindi saranno “dottori magistrali” anche tutti i laureati secondo ordinamenti precedenti il 1999 (ovvero tutti i laureati del “vecchio ordinamento”).

Crediti
Con questo decreto viene mutata la definizione dei crediti formativi universitari (CFU); si passa infatti, nel quantificare il valore di un cfu, da “25 ore di lavoro” (509/99) a “25 ore di impegno”. Inoltre il rapporto ore di lezione/ ore di studio che contribuisce ad assegnare i crediti agli insegnamenti è definito attraverso i regolamenti didattici di ateneo, non più per decreto ministeriale.

Percorso a Y
I corsi di laurea afferenti ad una stessa classe, o affini, dovranno introdurre nel manifesto degli studi un anno comune, dopo il quale potrà avvenire la differenziazione (da cui il nome di “Riforma a Y” che è tanto [..] piaciuto ai giornalisti) in due percorsi distinti: un percorso “metodologico-formativo”, costruito per accedere ai corsi di laurea magistrali, ed uno “professionalizzante”, creato per favorire l’ingresso del laureato nel mondo del lavoro; il primo anno comune servirebbe per garantire a tutti conoscenze scientifiche di base.
È assoluta facoltà dell’ateneo, infine, decidere come debba avvenire la separazione nei due percorsi; il decreto non fissa punti di diritto, meccanismi di passaggio dall’uno all’altro orientamento, o criteri di scelta/selezione.
Le classi di corsi di laurea, o le suddivisioni per affinità, verranno decise per decreto ministeriale; per adempiere alle norme transitorie e finali, tra cui questa ridefinizione, sono stati istituiti 7 tavoli tecnici, coordinati da un comitato tecnico-scientifico, i cui lavori dovrebbero concludersi entro marzo 2005. Da ciò che è trapelato i lavori si sono incentrati più sulla definizione delle deroghe al decreto per quanto riguarda la classe delle lauree in giurisprudenza.
Infatti per tali corsi di laurea si prospetta un ordinamento a ciclo "unico", ovvero l'accesso diretto alla magistrale dopo il primo anno comune (in sostanza, "1+4").
Questo è motivato dall'interesse civile di tali corsi (seppure i maligni affermino trattarsi della consueta "simpatia" del ministro per l'area giuridica), che non potrebbero formare figure professionali adeguate in soli tre anni.

Criteri d’accesso
In confronto al precedente decreto, il 270/04 determina la definitiva separazione giuridica di laurea e laurea magistrale, affidando a quest’ultima un curriculum di 120 crediti (non più 300). In merito a questa separazione, viene accentuata la “necessità” di una selezione per l’accesso a tutti i corsi laurea magistrale.
Infatti, per tali corsi vengono previsti criteri d’accesso, da definirsi autonomamente attraverso i regolamenti didattici di ateneo. Inoltre, perfino tutti i corsi di laurea (triennale) devono possedere una qualche forma di valutazione della preparazione dello studente, che comporti anche l’assegnazione di eventuali obblighi / debiti formativi da assolversi nel primo anno di iscrizione.

Critiche
Il 270/04 pone forte accento sulla selezione, che deve avvenire soprattutto all'accesso alla laurea magistrale; si vuole far saltare, anche con la separazione dei percorsi, il diritto ad una formazione completa, che comprenda tutti e 5 gli anni del corso di studi. È ragionevole pensare che questo sistema non favorirà tanto i più meritevoli, ma coloro i quali potranno permettersi economicamente lo studio a tempo pieno (non quindi gli studenti lavoratori o i lavoratori studenti).
A tale proposito, non viene più garantita neppure un'equità di contribuzione tra laurea e laurea magistrale; le tasse studentesche potranno essere più elevate per chi si iscrive a quest’ultima, motivate dalla necessità di utilizzare strutture e laboratori specializzati, unitamente al minor numero di studenti, dovuto ai criteri d’accesso.
In aggiunta a ciò, saltano molte garanzie per gli studenti.
In primo luogo, la diversa definizione dei CFU rischia, per la sua ambiguità, di lasciare spazio alle angherie ed allo strapotere dei baroni, a discapito delle ore di studio personali.
Per quanto riguarda la Y, invece, non è chiaro con quali criteri avverrà il travaso nei due percorsi, se si tratterà di una libera scelta dello studente o vi saranno filtri sul merito. Non viene detto neppure con precisione se e come si possa passare da un percorso all'altro. È evidentemente inaccettabile che non si faccia cenno in nessun luogo al diritto di ognuno di iscriversi al percorso desiderato, lasciando anche in questo caso la decisione dei criteri all'autonomia degli atenei.
La definizione delle classi di appartenenza, e l'accorpamento dei corsi al primo anno, possono inoltre giocare a sfavore dei piccoli corsi, che dovranno cambiare il manifesto degli studi senza troppe possibilità di negoziazione.
Per i criteri di accesso alle magistrali, si rischia il far west: differenze di trattamento tra corsi di studio affini, o criteri decisi autonomamente e senza ragioni, motivati solamente da inutili orgogli localistici.
Il fatto, poi, che questi criteri vengano lasciati ai regolamenti didattici di ateneo, può dare spazio ad ingiustizie locali di ogni tipo; è assolutamente indispensabile, perciò, una presenza attiva negli organi di rappresentanza, e comunque uno spirito critico ed attento a ciò che vi si decide. E' pure opportuno ricordare che le limitazioni al diritto allo studio non possono essere stabilite per decreto, ma solo per legge.
Sembra quindi esservi spazio per eventuali - e giusti - ricorsi in caso di esclusioni dai corsi di laurea magistrale.

Questo pare l'ennesimo attacco ai diritti fondamentali degli studenti, cioè al diritto all’accesso, al diritto allo studio ed al diritto al sapere, diritti che ricordiamo espressi nientemeno che dalla Costituzione Italiana; attacco che si può inserire nel disegno operato dal Ministero e dalle lobby trasversali, trasparenti o meno (vedi associazione Treelle), di creazione di una università d'eccellenza e d'elite, a scapito dei suddetti diritti, minacciando qualità e continuità del percorso formativo.

APOCALISSE!

ovvero: della mercificazione del dolore
di Matteo Todeschi

Sparare a zero sulla “cattiva maestra televisione” è diventato fin troppo semplice di questi tempi.
Tacciata di immoralità, di licenziosità, di brutture, siamo tutti contro di lei. Tutti. Nessuno escluso.
Persino i vertici delle dirigenze, conduttori ultra-famosi e veline stupide quanto belle sono capaci di criticarla.
Ma c’è una cosa di cui nessuno sembra accorgersi e che è il maggior pericolo che la televisione può arrecare alla società e al costume…
Ma come?! direte voi. E i culi in primo piano, e gli opinionisti?!
Ebbene sì, rispondo io, ancora più pericolosa delle frotte di anonimi opinionisti che si accalcano
ogni giorno davanti ai microfoni di Studio Aperto.
Ed è sempre Studio Aperto il campione prediletto di questa abominevole tendenza: la mercificazione del dolore.
“APOCALISSE” agonizzava Studio Aperto, ridondando nel doppio mento di Paolo Liguori, quando il tremendo Tsunami investiva il sud est asiatico.
Vero. È un’apocalisse. Ma è questo che dà loro il diritto di sbattere come sfondo l’immagine del cadavere di un bimbo coperto di fango tra le braccia del padre, come una Pietà post-atomica?
Quel bambino ci è stato spacciato come morto. E invece si è salvato.
Quel bambino è diventato il simbolo del regime intrattenitivo che aleggia nell’etere, delle bugie che i telegiornali ci propinano ogni giorno per “intrattenerci” ad ogni costo, per commuoverci ad ogni costo.
E noi siamo diventati schiavi di questa tendenza, orrenda tendenza.
Lacrime, dolore, pianti, strilla compongono il 70% dei servizi che passano i telegiornali delle reti nazionali. E noi ci stiamo assuefacendo. Ci stiamo tramutando in pallidi esseri senza sentimenti propri che hanno bisogno di una canzoncina melò e di quattro parole patetiche di un tigì per emozionarsi.
Ogni fatto di cronaca nera è un’occasione per sparare un polpettone sulla vita, sull’ipotetico futuro e sui sogni della vittima. Sulla RAI intanto Giorgino parla a vanvera di “globalizzazione del dolore”, centrando ignaro il nocciolo della questione.
Manca poco che anche Liguori si metta a piangere in studio.
E così è tutti i giorni. Con Il Piccolo Samuele, La Povera Giusi, L’Eroico Avvocato Taormina.
Pianti strazianti si alternano a servizi sulla moda milanese.
L’inviato che si improvvisa il migliore amico dei parenti delle vittime, che penetra in casa loro, che fa domande agghiaccianti, senza il minimo tatto.
Il giornalista in studio che recita le notizie con tono teatrale, da tragedia attica, ma che con la stessa facilità di Giano volta faccia, e risponde sorrisi finti a lacrime vere, di dolore vero.
La cosa necessaria in questi casi è avere sempre rispetto per il dolore altrui. Studio Aperto invece lo vende. Ne crea confezioni curate, pratiche e ce lo sbatte in faccia. E noi a Bocca Aperta davanti al televisore ne beviamo ogni giorno. Questo è il vero inquinamento delle menti, non il revisionismo, nè la censura, né le veline scollacciate (quelle al massimo potrebbero distrarci dal problema principale), ma il patetico, che rende tutto così patinato, freddo, insensibile e di facciata. Tutto si trasforma in intrattenimento da palcoscenico di secondo livello, quasi dovesse fare a botte a colpi di share con Beautiful.
Faccio il pessimista. In un futuro non troppo lontano saremo esseri che si lasceranno andare al panico quando Godzilla© emergerà dall’oceano per mangiarci tutti. Ma solo quando un giornalista ci darà il via.

Michele Barbolini
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PO-DÌO
(Invochiamo il Signore nelle sue varie forme perché ci liberi dal male)
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Enrico Mentana sollevato dal suo incarico al tg5. Gli succede Carlo Rossella direttore di Panorama, gli succede il direttore della gazzetta.

Non pensare che fa male.

Le Lecciso a domenicain a striscialanotizia a portaporta su Repubblica L'unità il Corriere Libero ecc ecc ecc

Non pensare che fa male.

Barbara Palombelli a portaporta difende le Lecciso. C'era anche Crepet, intellettuale di punta della nazione.

Fitta allo stomaco

Il giorno dopo al programma della Palombelli in radio ospite Paolo Crepet.

Dolori al fegato.

Il giorno dopo al programma della Palombelli in radio ospite Bruno Vespa. Che bello il suo libro, che bello il suo libro. Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere consiglia il libro di Vespa. Che bello il suo libro.

Non pensare che fa male.

Giuliano Ferrara è un grande giornalista.

Non pensare che fa male.

Libero è un quotidiano.

Non pensare che fa male.

Emilio fede è un gran Professionista.

Costipazione.

Maurizio Costanzo fa una trasmissione la mattina, una la sera, una la domenica. Al pomeriggio c'è la De Filippi.

Non pensare che fa male.

D'alema alla beatificazione del fondatore dell'opus dei.

Succhi gastrici nella gola.

Lilli Gruber nuovo volto della sinistra.

Non pensare che fa male.

Flavia vento nella Margherita.

Intestino in subbuglio.

L'università italiana è al collasso. Milano Roma Firenze, milioni di euro di debiti.

Non pensare che fa male.

Giorgini invitato all'università come grande giornalista.

Non pensare che fa male.

Raddoppia il numero degli esami, non raddoppiano le sessioni.

Tachicardia

Raddoppia il numero dei corsi, non raddoppiano i professori.

Non pensare che fa male.

Gerry Calà all'università.

Non pensare che fa male.

Non possiamo non dirci americani.

Dolori alla milza.
Le cinque giornate di Milano è una fiction antifederalista.

Non pensare che fa male.

Il grande fratello l'isola dei famosi campioni la fattoria.

Se bestemmi sei fuori.

APOTROPAICA CUCINA

di Marta Menditti

Terapia d’urto contro ansia avvilimento disillusione
Apertura a momenti di contemplazione maturazione illuminazione zen
Riscoperta, recupero di misture tinture alambicchi ricettacoli pozioni
Insomma ANTIDEPRESSIVA. ANTISSETICA ALCHEMICA CUCINA
Per riequilibrare estremi funambolismi, risvegliare ardenti umori e combattere cibi pronti, organismi non meglio identificati ma abilmente chiamati additivi correttori d’acidità taftà quaquaraquà e gustare fragranti bocconi di amabile PANE.
La ricetta che vi propongo me l’ha passata la nonna che a sua volta ha ricevuto dalla mamma che le è stata insegnata dalla nonna.
Insomma la ricetta sforna signori Pani grazie a un segreto tramandato da generazioni, frutto della ricchezza sapienzale che stiamo furbescamente perdendo che saggia racconta di attenzioni e intuizioni che hanno trasformate necessità in virtù!
A voi l’esperimento e la deguastazione!!!

INGREDIENTI:
1Kg di farina possibilmente di tipo 0
1 cubetto di lievito di birra
1cucchiaio di sale fino
1 cucchiaino di zucchero
acqua tiepida quanto basta
e l’ingrediente a sorpresa: 1 patata lessata

Versate a fontana la farina, se possibile setacciata, aggiungete il sale, lo zucchero e la patata lessata e schiacciata. Sciogliete il lievito in una tazza con dell’acqua tiepida, attenzione che acqua troppo calda uccide i fermenti e fredda non li risveglia. Unite il tutto con altra acqua sempre tiepida e impastate fino ad ottenere un impasto elastico lavorandolo con energia e lanciandolo come boomerang per accertarvi dell’elasticità ottenuta. Coprite l’impasto e tenetelo in un ambiente familiare lontano da correnti d’aria e perturbazioni. I fermenti sono metereopatici. Lasciatelo riposare e voi con lui per un’ora. Rimpastate e fate lievitare per un’altra ora magari concedendovi altrettanta lievitazione. Accendete il forno a circa 220 gradi,a raggiunta la temperatura infornate per un’ora finché non raggiunge il colore desiderato.
La patata lo manterrà morbido per alcuni giorni.
Se lo preferite più sfizioso potete aggiungere all’impasto prima di far levitare olive, rosmarino,uvetta sultanina, cipolle caffè karkadè…pensaci te.

ELOGIO DELLA CAPRA

di Andrea Masotti
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"Siamo figli dell'epoca,
l'epoca è politica."
Wislawa Szymborska

Vertigine. Non esattamente paura, piuttosto primordiale attrazione che su di noi esercita il vuoto, atavico istinto che ci spinge oltre l’egida di apollineo Apollo, quello degli strali come pensieri - o forse, più prosaicamente, accidiosa pulsione all’autodistruzione che chiude gli occhi e apre il cuore, e ci fa dimentichi di noi stessi. E, certo, paura di questa stessa pulsione.
Qualcosa di analogo provo ogni volta davanti al foglio bianco, incorrotto, anche solo per un momento, prima di scrivere. Poi torno a scorgermi: la metafora ha fatto il suo dovere, l’analogia dovrebbe cadere.
Ma stavolta per un po’ voglio restare, accoccolarmi nella metafora: esiste una non sottile linea di confine, momento di poesis estrema, fugace condizione che precede la razionalizzazione del nulla, Kant ancora non è intervenuto col suo rassicurante sguardo, il baratro non ha un nome e l’ebrezza non conosce la paura di sé, la vertigine.
Mi fermo qui, sul ciglio del precipizio: con le capre. E come capra sto, sapendo di me e dello spazio verticale sotto con quella conoscenza che ancora non approda al soglio di umana ratio, che chiameremo fascinazione, concessa per così dire soltanto al corpo, ai sensi.
Ma non è facile essere capra di questi tempi.
Questo momento passa, è un istante. Poi mi abbandono all’abisso, lancio nel vuoto la mia riflessione - che solo da questo picco, il più alto, può essere lanciata.
Mi lascio andare con goffo volo, e temo sempre di sbagliarmi. Del resto, nel tuffarmi nell’unicum che l’altro da sé comporta, rischio in ogni momento di perdere il filo che mi lega a me stesso, e mi tocca affidarmi all’istinto. Ma so di non sbagliarmi.
Avverto una paura. C’è una paura nell’aria, un diffuso timore che non si manifesta se non lo si nomina, che non saprei come nominare
esattamente; che mi provo a descrivere, cominciando da ciò che dall’acqua affiora.

Politica. Fastidio, disagio, inadeguatezza, forse noia. O, appunto, paura. E’ un tremore sensibile quello che si respira al solo pronunciare questa parola, si è costretti a stare attenti, a non usarla se non in caso di estrema necessità. I motivi sono diversi, e in buona misura legittimi: all’idea di politica riesce più immediato associare il modello democratico in uso - come si è visto, fallace e ottimizzabile - con speciale riferimento ai giochi di potere che sono quanto di più lontano dall’interesse e dall’effettiva conoscenza del cittadino, quando non perfino la politica particolare di questo governo - e in questo caso una presa di distanza derivata dal disgusto sarebbe quantomeno comprensibile.
Ma più a fondo questo pavido e accidioso arretrare credo denoti una fuga di responsabilità (che rivela - nonostante tutto - sussunto il concetto di politica come abitazione della polis, contratto di relazione con il sociale), che è a sua volta indizio di qualcosa di ben più grave e radicato, direi patologico: il rifiuto - nonché la difficoltà oggettiva – di riflettere (soffermarsi a riflettere) sulla propria condizione. Questo accade quando per l’individuo l’introspezione si muta in utilitaristica endoscopia, quando il sistema lavora contro con inesorabile disegno, quando non c’è tempo.
Ci immergiamo. Nuotiamo trattenendo il fiato nel sempre meno poliforme e colorato fondale dell’istruzione: scorgiamo, come pesci dalla vista scissa, giovani studenti che attraversano umbratili le università italiane, sgusciano via. Entrano il mattino, escono la sera, seguono qualche lezione e nel breve giro di tre, cinque anni la risacca li lascia a riva - e non so dire se evoluti anfibi zamputi, o riversi su un lato, boccheggianti.
Essere studente significa vivere una convalescenza o un accidente di privilegio che prima o poi finirà, una fase sentita - non a torto - come transitoria. Non a torto. Ma la conseguenza più deteriore è appunto la perdita di un’occasione di intelligenza di sé e dell’epoca, attraversati per così dire a testa bassa, come muli da soma.
Io preferisco la capra. Fiera, ostinata, con un destino di saggezza scritto nella barbetta ispida, la capra si staglia con petto impavido davanti al vuoto, davanti al vuoto per tutta la sua vita caprina, e non ha paura di abitare quello stato dell’animo che ho chiamato fascinazione: è questo stato dell’animo che ci è privato, che rifuggiamo con viltà, questo intervallo fra la percezione del vuoto e il suo concetto. Così il vuoto smette di esistere, ma solo perché ne viene meno il sentimento, è un’illusoria ninna-nanna che ci lascia sul viso un disimpegnato sorriso di soddisfazione, beati dormienti.
Avvertire lo scarto fra sé e il reale dovrebbe essere l’unico viatico possibile per un’azione che ci restituisca un peso sociale, che ci renda presenti a noi stessi con coscienza, con voglia. Ma a noi stessi siamo lasciati, vittime prime di un’idea (e di una prassi) di cultura che si vuole necessariamente settoriale e utilitaristica, idea che porta a limitare la nostra libertà all’orizzonte che solo ci deve competere, una cultura dalle spalle strette ed esili, che non dà gli strumenti per farsi abitatori della polis fin da studenti, e che educa al minuto operare per l’immediato e solipsistico ritorno.
Come riuscire a riflettere sulla propria condizione, dove trovare la forze? Perché farlo?
Non è facile affrancarsi dall’abitudine di un pensiero dal fiato corto, alzarsi ad alta quota, di questi tempi: non è facile essere capra.
Ma possiamo tentare - questo giornale è un tentativo, non sarà il solo - con la forza e la debolezza che attingiamo dall’essere in qualche modo maieuti di noi stessi, consapevoli di abitare una società che si modella anche sul calco della nostra presenza.
Rifiutare di essere solo padroni del nostro destino, cominciare ad essere padroni del nostro presente, fin da ora: questo vogliamo, come capre.