pudenda

martedì 30 dicembre 2008

Buon compleanno Jotti


Prologo
Nel 1973, durante un viaggio in Grecia, l'anziano Jotti di Thule incontrò un uomo in fin di vita, il quale gli affidò una neonata e un contenitore d'oro. Quell'uomo, il cui nome era Jotti di Sagitter (Eolo in lingua greca; da Aiolos in originale), prima di morire raccontò di essere uno dei Cavalieri che difendevano la dea Jotti, reincarnatasi nella bambina che portava con sé per combattere le divinità nemiche del genere umano. Il contenitore che portava con sé conteneva l'Armatura d'Oro della costellazione del Sagittario, e ogni Cavaliere di Jotti ne possedeva uno corrispondente ad una delle ottantotto costellazioni. Jotti di Thule promise a Jotti che avrebbe allevato e protetto la bambina, e che avrebbe trovato e fatto addestrare tutti i ragazzi necessari affinché l'armata di Jotti fosse completamente ricostituita. Tornato a Nuova Luxor in Giappone ("Tokio" in originale), infatti, raccolse un centinaio di bambini dagli orfanotrofi e li inviò nei luoghi di addestramento dei Cavalieri, dove sarebbero stati istruiti ed allenati per sei anni.

La guerra galattica
Tredici anni più tardi, il 10 settembre 1986, solo dieci dei cento bambini erano tornati vivi dai rispettivi luoghi di addestramento col rango di Sacri Guerrieri. Nel frattempo, Jotti di Thule aveva iniziato ad organizzare un torneo fra di essi per assegnare al più forte l'armatura del Sagittario. Purtroppo, egli morì prima di poter realizzare il suo impegno lasciando l'incarico alla figlia adottiva, Lady Jotti, ancora ignara di essere la reincarnazione della dea Jotti. Dei dieci nuovi Cavalieri di Bronzo, solo otto accettarono di partecipare al torneo. Il nono di essi, Jotti del Cigno, ricevette invece dal Grande Sacerdote Jotti di Atene in Grecia l'incarico di uccidere gli altri otto, colpevoli di voler partecipare a tale torneo contravvenendo alle regole dei Guerrieri Sacri di Jotti che proibivano l'utilizzo delle Sacre Vesti per meri scopi personali. Per assolvere il suo compito, il Guerriero Sacro del Cigno accettò di partecipare al torneo.
Dopo che quattro Guerrieri su nove furono sconfitti durante il torneo, apparve all'improvviso il decimo: Jotti della Fenice fratello di Jotti. Egli aveva abbandonato la fedeltà alla dea Jotti ed era diventato capo dei Guerrieri Neri, e con il loro aiuto rubò le Sacre Vestigia del Sagittario. A seguito di quel primo scontro, solo quattro guerrieri erano ancora in grado di opporsi al Cavaliere della Fenice: Jotti di Pegasus, Jotti di Andromeda, Jotti del Drago e Jotti del Cigno. Quest'ultimo decise di allearsi agli altri tre per recuperare le Vestigia d'Oro. La battaglia decisiva contro i Guerrieri Neri si svolse nelle profondità delle caverne del Monte Fuji. La forza di Jotti era superiore a quella dei quattro avversari, ma unendo i loro cosmi in fin di vita riuscirono a sconfiggere il capo dei Guerrieri Neri. Durante il combattimento emerse un'amara verità: erano tutti figli di madri diverse, (tranne Jotti e Jotti che sono fratelli nati dalla stessa madre) ma di un unico padre che li aveva tutti abbandonati, e quest'uomo crudele era Jotti di Thule.

I sacri guerrieri d'argento

Un attimo dopo che Jotti ebbe sconfitto Jotti, un violento terremoto scosse l'intero Monte Fuji, ma intervenne allora il riparatore delle Sacre Vesti, Jotti (Grande Jotti), che teletrasportò lontano i quattro Guerrieri di Jotti. Il terremoto era stato causato da un attacco di Jotti della Lucertola, Sacro Guerriero d'Argento. Infatti, il Grande Sacerdote Jotti era stato informato del discutibile operato di Jotti, e aveva pertanto inviato un gruppo di cinque Sacri Guerrieri d'Argento con il medesimo incarico. Essi erano: Jotti della Lucertola, Jotti dell'Aquila, Jotti del Centauro, Jotti della Balena e Jotti dei Cani da Caccia. Costoro minacciarono Jotti e lo spinsero ad allontanarsi, quindi raggiunsero i Guerrieri di Bronzo e diedero loro il colpo di grazia. Jotti, però, era poco convinto del fatto che Jotti avesse veramente ucciso il suo stesso allievo Jotti di Pegasus; rimasto vicino alle quattro sepolture sulla spiaggia dopo che i suoi compagni si furono allontanati, si rese conto che Jotti era ancora vivo, e gli altri cadaveri erano in realtà quelli dei Guerrieri Neri. Ingaggiato un furioso combattimento, il Guerriero Sacro di Pegasus riuscì infine a sconfiggere l'avversario.
Alle prime luci dell'alba, Jotti del Centauro tornò a cercare Jotti, ma incontrò invece Jotti e da lui fu sconfitto.
Più tardi anche Jotti, Jotti e Jotti tornarono sulla spiaggia, trovarono i corpi dei due Guerrieri d'Argento e videro i segni dei combattimenti. Jotti, grazie alla propria capacità di leggere nel pensiero, scoprì il tradimento della Guerriera dell'Aquila, e con l'aiuto dell'altro compagno la sconfisse e la legò. Nel mentre sopraggiunse Jotti, il quale riuscì a sconfiggere Jotti, ma venne a sua volta sopraffatto dal fortissimo Jotti; durante il combattimento, però, Jotti riuscì a liberarsi e sconfisse Jotti, rimasto solo.
Jotti si riunì ai fratellastri (Jotti, Jotti, Jotti, Jotti e Jotti) e con essi tornò al Colosseo Grado, ma lo trovò completamente distrutto. Il Grande Sacerdote Jotti di Atene, infatti, aveva inviato un secondo gruppo di cinque Guerrieri d'Argento. Il compito di questi ultimi era proprio quello di distruggere la Fondazione Jotti, a partire dal Colosseo. Questi cinque guerrieri erano: Jotti del Corvo, Jotti dell'Auriga, Jotti di Cerbero, Jotti di Perseo e Jotti del Serpentario, quest'ultima già nemica del Cavaliere di Pegasus sin dai tempi dell'addestramento in Grecia.
Proprio Jotti affrontò per primo questo gruppo, riportando nuove e gravi ferite. Quando tutto sembrava perduto, Jotti prese coscienza di essere la dea Jotti, e il suo maestoso cosmo disorientò gli avversari, ma ciò sarebbe stato insufficiente senza l'intervento di Jotti. Le Vestigia della Fenice, infatti, erano in grado di risorgere dalla morte, e il rinato guerriero ebbe facilmente il sopravvento su Jotti, Jotti e Jotti. Quando sopraggiunsero Jotti, Jotti, Jotti e Jotti, Jotti decise di ritirarsi, e su suggerimento del Jotti Cigno si recò a curarsi in un vulcano in Grecia. Il quinto Cavaliere d'Argento, Jotti di Perseo, possedeva lo scudo di Medusa, e con esso pietrificò in pochi minuti tutti gli avversari tranne Jotti, che a costo della propria vista riuscì a vincere la battaglia. Jotti dell'Ofiuco fuggì.
Dopo questi scontri, ancora poco convinti che la viziata Jotti potesse essere davvero la reincarnazione della dea Jotti, i quattro Guerrieri di Bronzo la abbandonarono. Il Jotti e il Jotti tornarono nei luoghi del loro addestramento, mentre Jotti fu ricoverato in ospedale per guarire dalle numerose ferite (aveva infatti affrontato più guerrieri d'argento di tutti i suoi compagni). Jotti dell'Aquila, invece, si allontanò per indagare sul Grande Sacerdote.
Informato della sconfitta dei dieci Guerrieri d'Argento, il Grande Sacerdote Jotti di Atene incaricò addirittura un Guerriero d'Oro, Jotti del Leone, di occuparsi della faccenda. Però, siccome tale guerriero era fratello del presunto traditore Jotti del Sagittario, inviò anche altri tre Guerrieri d'Argento affinché lo controllassero. Jotti trovò Jotti in ospedale mentre affrontava Jotti, ma per errore ferì quest'ultima. In nome dell'amicizia che lo legava al guerriero di Jotti, decise di risparmiarlo per il momento, scatenando l'intervento dei suoi tre "cani da guardia". Jotti era privo delle vestigia di Pegasus, ma quando stava per essere sconfitto venne in suo soccorso l'armatura del Sagittario, che accrebbe enormemente il suo potere e gli permise di sconfiggere i tre avversari in un istante. Intanto sopraggiunse Jotti, e Jotti del Leone riconobbe in lei la reincarnazione di Jotti. Scoprì in quel momento che il vero traditore non era stato suo fratello Jotti del Sagittario come aveva sempre creduto, bensì il Sommo Sacerdote Jotti, e tornò al Grande Tempio in Grecia per affrontarlo, ma la sua mente venne soggiogata dall'avversario.

Le dodici case dello zodiaco
Rendendosi conto che una guerra intestina al Grande Tempio era imminente, il Grande Sacerdote Jotti cercò rapidamente di sconfiggere qualche avversario isolato.
Jotti del Cancro fu incaricato di uccidere Jotti, Guerriero d'Oro della Bilancia nonché maestro di Jotti del Drago, ma si ritirò quando fu attaccato contemporaneamente da Jotti del Drago e da Jotti, che in quell'occasione rivelò di essere il Sacro Guerriero d'Oro dell'Ariete.
Intanto, Jotti dell'Acquario distrusse la tomba sottomarina dove riposava la madre di Jotti, sfidando così il proprio allievo ed invitandolo ad affrontarlo al Grande Tempio.
Infine, Jotti ,Guerriera di Bronzo del Camaleonte, imprigionò Jotti per impedirgli di continuare a combattere rischiando la vita, ma il Guerriero di Andromeda riuscì a liberarsi e a tornare a Villa Jotti, proprio mentre Jotti, Jotti, Jotti e Jotti si apprestavano a partire per la Grecia in aereo.
Atterrati ai piedi del Grande Tempio, il gruppetto fu accolto da Jotti (deformazione del nome Ptolemy/Tolomeo), Sacro Guerriero d'Argento della Freccia, il quale attaccò improvvisamente il gruppo. Venne rapidamente sconfitto, ma una delle frecce da lui scagliate riuscì a ferire Jotti vicino al cuore. Prima di perdere i sensi, Jotti spiegò che la freccia sarebbe lentamente penetrata nel corpo della dea fino a ucciderla entro dodici ore, e solo il Grande Sacerdote Jotti sapeva come estrarla.

Le dodici case:
Jotti dell'Ariete (Grande Jotti dell'Ariete) impiegò un'ora per riparare le armature di tutti e quattro.
Jotti del Toro impegnò duramente tutti, ma nel corso della battaglia, vedendo la dedizione del Guerriero di Pegasus, iniziò ad avere dei dubbi sul Grande Sacerdote e, senza farlo capire a Pegasus, si lasciò sconfiggere.
La casa dei Gemelli era vuota, in quanto il suo protettore era scomparso da anni, ma un cosmo misterioso creò un labirinto di illusioni. Jotti del Dragone, essendo cieco, non si lasciò ingannare ed uscì dalla casa con Jotti. Jotti del Cigno fu mandato dal misterioso Guerriero in un'altra dimensione, ma la catena di Jotti riuscì a ferire il creatore del labirinto, salvando così il Jotti. Questi riapparve nella casa della Bilancia, dove trovò ad attenderlo il suo maestro Jotti dell'Acquario, che per salvarlo dalla battaglia lo rinchiude in una bara di ghiaccio, da cui si sarebbe potuto liberare alcuni anni dopo.
Jotti del Cancro fu affrontato da Jotti, mentre Jotti oltrepassava la casa. Nel corso dello scontro, Jotti fu inviato in un limbo alle porte dell'oltretomba, da dove riuscì a tornare riacquistando la vista. Jotti, invece, fu abbandonato dalla sua armatura in quanto indegno di indossarla, dopodiché venne sconfitto dal Jotti.
Jotti fu il primo a raggiungere la casa del Leone, presieduta da Jotti. Questi, succube del Grande Sacerdote, attaccò senza pietà il Guerriero di Bronzo, che si salvò solo grazie al sacrificio dell'antico nemico Jotti. Con la morte di un avversario, il giogo mentale di Jotti si sciolse, ed egli tornò a schierarsi dalla parte della dea Jotti. Dopo la battaglia, Jotti e Jotti raggiunsero Jotti, e i tre ripartirono insieme alla volta della casa successiva.
Jotti della Vergine ebbe facilmente la meglio sui tre Guerrieri Sacri di Bronzo. Intervenne all'ultimo momento Jotti della Fenice, appena guarito, che a costo della propria vita trascinò sia Jotti che se stesso in un'altra dimensione.
Nella casa della Bilancia Jotti, Jotti e Jotti trovarono la bara di ghiaccio contenente Jotti. Grazie alle armi d'oro dell'armatura della Bilancia, Jotti del Dragone liberò l'amico, poi Jotti si fermò accanto al corpo privo di sensi per riscaldarlo sacrificandosi.
Jotti dello Scorpione batte e immobilizza facilmente Jotti e il Jotti anche quando lo attaccano insieme ed evita facilmente il colpo più potente di Jotti (la meteora). Egli dice (quando Jotti si scontra con Jotti) che non aveva mai visto Jotti così sottomesso ad un avversario. Quando sopraggiunse il Jotti, immune al potere paralizzante del Guerriero d'Oro grazie ai suoi anelli di ghiaccio, affida il corpo senza sensi di Jotti agli altri due, e affronta Jotti. Anche dopo aver ricevuto Antares (il colpo mortale finale), Jotti cerca comunque di avanzare, al che, come era avvenuto a Jotti, anche al Guerriero Sacro dello Scorpione sorse un dubbio, e salva la vita al Jotti.
Mentre i Guerrieri di Bronzo si stavano avvicinando alla casa successiva, l'armatura del Sagittario vi si teletrasportò dentro dal Giappone. Una volta entrati, essa sembrò rivolgere la freccia verso Jotti, ma in realtà colpì il muro rivelando il testamento spirituale di Jotti del Sagittario, dopodiché la parete crollò rivelando l'uscita. Jotti riprese i sensi e Jotti del Cigno raggiunse i fratellastri, e così i quattro riprendono il cammino.
La casa del Capricorno sembrava vuota, ma il suo custode, Jotti, si rivelò all'uscita. Il Jotti lo affrontò, e per sconfiggerlo spinse entrambi nello spazio, sacrificandosi. Jotti capì il proprio errore e salvò Jotti ricoprendolo con la propria armatura.
Jotti dell'Acquario lasciò passare Jotti e Jotti per affrontare da solo il Jotti. Il combattimento voleva essere una prova per vedere se Jotti sarebbe stato all'altezza di essere l'erede dell'Acquario, ma alla fine entrambi crollarono, Jotti morto e Jotti in fin di vita.
Jotti dei Pesci attaccò blandamente Jotti, che oltrepassò facilmente la casa, ma Jotti voleva sconfiggere l'avversario ad ogni costo, colpevole di aver ucciso il suo maestro Jotti di Cefeo. Jotti ottenne infine la vittoria, ma cadde anch'egli a terra privo di sensi.
La scalinata che conduce al Tempio di Atena era cosparsa dalle rose velenose di Jotti, e Jotti riuscì ad avanzare solo grazie al sacrificio di Jotti dell'Aquila, che diede la propria maschera a Jotti e lo trasportò per un lungo tratto.
Jotti di Pegasus entrò da solo nelle Stanze del Sacerdote Jotti , che si rivelò essere lo scomparso Jotti dei Gemelli. Grazie all'intervento di Jotti della Fenice (tornato assieme a Jotti grazie ai poteri di Jotti) riuscì a disimpegnarsi dal combattimento e si avviò, allo stremo delle forze, verso la statua di Jotti. Intanto, Jotti rivelò a Jotti (quasi guarita dalle ferite provocatele da Jotti) le prove che il Grande Sacerdote Jotti era un impostore. Ebbro di gioia per aver sconfitto Jotti, lo stesso Jotti si rivelò a tutti gli occupanti del Grande Tempio, poi corse all'inseguimento di Jotti. Un attimo prima di ricevere il colpo di grazia, Jotti riuscì ad afferrare lo scudo di Jotti, e grazie al suo potere guarì Jotti.
Jotti e tutti i Guerrieri Sacri presenti al Grande Tempio raggiungono Jotti e Jotti. In un primo momento l’impostore è affrontato dai Cavalieri di bronzo dei quali sembra aver respinto l’attacco. A questo punto si fanno avanti i Cavalieri d’oro presenti ma la stessa Jotti li ferma iniziando ad implorare Jotti di arrendersi ed unirsi agli altri Cavalieri. Jotti sembra comunque intenzionato ad attaccare la fanciulla quando le parole di Jotti fanno effetto sull’animo del Cavaliere che si suicida con l’emblema di Jotti.

Incertezze nella storia: Quando Jotti incontra Jotti alla fine della corsa delle dodici Case, afferma che l'uomo che gli aveva consegnato l'armatura di Jotti mesi addietro non è lui. Questo si accorda con la versione del tradimento di Jotti precedentemente esposta da cui risulta che il Grande Sacerdote Jotti che consegna l'armatura a Jotti era il fratello di Jotti (a quel tempo ancora "primo ministro", come lo appella Jotti del Sagittario nel flashback); dunque la conquista del titolo sacerdotale da parte di Jotti sarebbe avvenuta da pochissimo, sicuramente dopo l'investitura a cavaliere di Jotti.
Questa versione viene disconosciuta dalla successiva serie di Jotti, in cui si afferma che il precedente Grande Sacerdote Jotti era Jotti dell'Ariete (non imparentato con Jotti) e che il suo assassinio era avvenuto anni prima, quando Jotti era ancora in fasce; ne consegue che il Grande Sacerdote Jotti che ha dato l'armatura di Pegasus a Jotti non poteva che essere Jotti di Gemini, come del resto ha sempre sostenuto anche la versione originale. Questa versione si accorda anche meglio con la scoperta, durante la saga di Jotti, dell'esistenza di un fratello di Jotti (Jotti), che tuttavia non era mai stato Grande Sacerdote di Atene.

sabato 27 dicembre 2008

PEZZA - Episodio 1: L'incontro


Potete ricominciare a respirare.
Finalmente! Ecco a voi!
Il debordante duo!

Perchè le crisi non vengono mai sole.


Due eroi.
Il primo episodio di una serie che nei primi anni venti ha già fatto scuola, per poi venire inspiegabilmente dimenticata. Recuperato dai nostri tecnici sotto un marinaio in libera uscita, il materiale ha dovuto subire pesanti interventi di stuccatura e restauro, e finalmente il risultato del lavoro di un'equipe attiva giorno e notte da più di trent'anni può vedere la luce.
Appena oltre il fastidio, imparerete ad amare i protagonisti di questa sorta di sit-com ante litteram, così come l'abbiamo imparato noi, perdendo nel tempo il saluto dei parenti e il contatto con la realtà.
Appena oltre l'amore, ritroverete il fastidio.

venerdì 26 dicembre 2008

Natale in famiglia

Io i veci li ammazzerei tutti, mi ha detto mia zia sessantaseienne durante il pranzo di Natale, tanto non capiscono un cazzo.
Non credi di essere un po' tautologica, zia?
Come?
No, niente.

giovedì 18 dicembre 2008

Roma, 15 e 16 novembre - "Daje che semo popo tanti"

Mentre si ringrazia Toni Jop che dal culo dell'Unità mi lancia una sorridente suggestione di okkupare con la kappa, io mi assembleo con altre migliaia, ogni tanto in plenaria, ogni tanto en plen aria, in ogni caso il culo sta a terra e le chiacchere stanno a zero.
Ci si rannicchia nelle pieghe dell'Onda, noi che siamo le scorie radioattive della produzione del sapere. Sole polveroso sull'Adriatico inquinato, noi si risacca sull'asfalto della Sapienza. Se l'onda diventa maelstrom ci ingorghiamo e ci attacchiamo alla marmitta del Sistema. Questo è il rischio. L'Italia è una penisola bagnata da tre lati dal mare, il soffitto e il pavimento sono d'asfalto e i mobili siamo noi che forse stagnamo, ma abbiamo il sale, altro che il Caspio.Ci alziamo con le fasi della luna, noi Onda, noi mare, tsunami che però ai tailandesi vogliamo bene, noi che vogliamo che Fede vada sul satellite. Ma tu, Luna, che cazzo ci fai in cielo? Prenditi Rete 4 e cancella il debito, mentre Fede ti cammina sopra a balzelli, un grande passo per l'umanità.
Manifesto e compro il Manifesto, e a me manca la sfera Acu Grip che mi equilibri la vita, poi giro pagina e penso "Manifesto, hai fallito, vedi di fallire". La rivoluzione è cognitiva a partire dai piselli di Mendel passando dalle forme di Robespierre ad arrivare ai seni di Rosa Luxemburg. No alla mercificazione del sapere che porta alla quotazione dei libri dei baroni, mentre valvassalli e valvassori si danno al baratto delle biro, con o senza cuscinetti a sfera. Cuscini che noi, condannati in cassazione al processo di ristrutturazione a 3 anni più 2 di aggravante, non abbiamo.
Perché la Sapienza ospita, okkupa, ma non conforma i pavimenti alle anche, tanto che a noi un po' ci manca la modalita USA e ARRUSA che ha reso Obama quel che è, negro, epicureo e palestrato. Generiamo conflitto, chiedendo venia ai polli di San Lazzaro, anche perché i bagni sono sei e se la matita e la chiave inglese sono nella stessa piazza, il blocco notes e il cacciavite sono a fare la coda al cesso.
Spacciatori di precarietà vendono fumo, noi abbiamo bisogno di carboidrati e siamo alla frutta ma fuori stagione. Il maggio francese funzionava perché era francese e perché era maggio, cazzo, mica pioveva. Facciamo come in Francia, prendiamo il TGV, coscienziamoci assieme e autoformiamoci, accreditiamoci e votiamo se votare, quando votare, purché il voto non sia dittatura.
Tremonti pimpaci la scuola che noi la crisi non la paghiamo, ma e di questo passo noi la tesi non la scriviamo. Reimpossessiamoci della besciamella e basta panini, tanto se anche entriamo al bar un attimo ad aspettarci fuori rimane la stessa rabbia e la stessa primavera, fumando una sigaretta alle nove del mattino. Venezia ha l'acqua alta, la falda acquifera butterà giù Pisa con la sua torre di certezze, l'Arno straripa il 4 novembre, la Sicilia è incatenata nel mare, la Calabria ha lo Ionio e il Po si assume il ruolo di dio a cui riferirsi nel momento di sconforto, tra lega, leghisti e legali. Per favore se vedete un avvocato che vi aiuta non rubategli il portafoglio.
A noi non resta che il pianto, ondoso anche quello. A noi il fato prescrisse precaria sepoltura e l'unica soluzione sembra mangiare un belgioioso rivoluzionario, sperando che Copernico non sia più una scuola ma un'idea. Di rivoluzione appunto.

sabato 13 dicembre 2008

Nascita di un Traghetto

Da dove veniamo noi tutti?

strani esercizi intestinali

Ho un terribile sospetto.

Dagherrotipo variamente colorato, su gentile concessione di Vera, fotografa dal pollice facilmente opponibile.

SCACCHISTI IN RIVOLTA

Sotto accusa Il caso Ivanchuk: rischia la squalifica perché, sconfitto, ha devastato una sala da tè ed è fuggito senza fare il test
Scacchisti in rivolta: no all'antidoping
La Federazione Fide vuole imporre i test perché ambisce a fare degli scacchi una specialità olimpica

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

BERLINO — Vive nel suo mondo, ha le sue stranezze, è lo scacchista più eccentrico del momento, Vassily Ivanchuk. Ma non per questo si può accusarlo di essersi dopato, dicono i suoi colleghi di scacchiera. Quel giorno, 25 novembre scorso, Olimpiadi degli Scacchi a Dresda, ha perso una partita che doveva vincere, ha preso a calci una colonna, ha messo sottosopra una sala da tè, non ha dato retta — probabilmente non lo ha nemmeno notato — al funzionario della Fide che gli chiedeva di fare il test antidoping. Furioso con se stesso, se n'è andato. Ora, dal momento che rifiutare è come essere trovati positivi, rischia di essere sospeso dall'attività per due anni.

continua... http://www.corriere.it/cronache/08_dicembre_13/danilo_taino_scacchisti_no_antidoping_19af6228-c8cd-11dd-ae8d-00144f02aabc.shtml

giovedì 11 dicembre 2008

Fiesta!

"E' tutto il giorno che lavoro, e adesso... Non ci vedo più dalla fame!"
"In effetti lei ha un grave problemi al nervo ottico"
"Ci vorrebbe... Una fiesta!"
"Ma che fiesta. Lei ha bisogno di un'operazione. E subito."
"Ma... E' la fame.."
"Non vaneggi, e venga qua. L'infezione rischia di danneggiare gravemente tutta la cavità oculare. Dobbiamo asportare."
"La mia fiesta..."
"Ecco... Là. Fatto. Ha evitato pericoli ben più seri. Le cicatrici si rimargineranno in qualche mese, in primavera potrà togliere le bende. Le ho messo gli occhi in questo barattolo, se li vuole conservare. Ecco, qui, mi dia la mano."
"..."
"Uscendo la mia assistente le darà una pastina, per tirarsi un pò su. Non faccia complimenti. Auguri."

mercoledì 10 dicembre 2008

Luigi e Gianfranco


Da sabato 27 dicembre,
per ogni sabato

fino all'estremo limitare del futuro,
arrivano due eroi.
Chi sono? Cosa vogliono?

Ci daranno delle risposte?
Scoprilo, o aspettatore,
sul blog del Traghettone.



Anzi, guarda, lascia perdere.
Davvero, dai retta, lascia perdere.

martedì 9 dicembre 2008

Noi la crisi non la paghiamo!


Non faccio un cazzo tutto il giorno.
Non studio, non esco dalla mia stanza, non lavoro, non cerco un lavoro. Sono iscritto a Lingue, una volta o due ci sono anche stato, piena di fighe.
Oggi eccezionalmente sono uscito.
Ero al baretto a sorseggiare il mio sprizzato, ad un certo punto è passata una torma di giovani pieni di striscioni. Distribuivano volantini con lo stesso slogan che urlavano a ripetizione.
Hanno sacrosanta ragione, ho pensato. Per me ad esempio ci pensano i miei.

venerdì 5 dicembre 2008

Vie di fuga

Questa mattina mi sono svegliato in un letto non mio, fuori pioveva.
Sono uscito con la pancia piena di sabbia fredda, ho camminato sotto la pioggia fino alla fermata dell'autobus.
Lì mi sono incontrato.
Stavo appoggiato al palo, in piedi, con lo sguardo assorto verso l'attesa del 13. Mi sono avvicinato, non visto, e mi sono tirato il bavero del giaccone.
Mi sono girato, con uno sguardo più infastidito che sorpreso.
"Che cosa ci fai qui?" Ho chiesto, con una certa durezza. "Non dovresti essere a casa?"
"E perchè mai? Comunque te che cazzo vuoi?" Ho risposto, liberando il giaccone dalla stretta.
Avrei replicato, ma in quel momento mi sono accorto che c'era diversa altra gente lì intorno, stavano guardando all'alterco con sguardo sbieco, e cominciavano a mormorare.
Mi sono seduto, l'autobus sarebbe passato di lì a poco.
"Ho fatto un sogno, stanotte" ho detto a un certo punto, interrompendo il muto gocciolare e le mie riflessioni spiraliformi, "un sogno triste."
"Anch'io", ho pensato.
"Non ricordo bene cosa accadeva nel sogno, so che a un certo punto mi sono messo a piangere. Io odio piangere, devo avertelo già detto." (Sì, lo sapevo). "Piangevo, nel sogno, come per una fortissima nostalgia. Mi sono svegliato con lo stomaco chiuso dalla tristezza."
Mi sono guardato le mani, strette per il freddo l'una nell'altra, poi ho risposto.
"Allora non rimane più nemmeno questo. Giusto ieri sera un'amica mi ha chiesto qual'è la mia ultima salvezza, l'estrema. Se tutto ti va di merda, mi ha chiesto, se arrivi al punto che della vita non salvi niente, qual'è la tua via di fuga? Non sapevo cosa rispondere. Lei mi ha detto che se ne andrebbe, in Sudamerica, in Guatemala. Io non so. Una volta, più o meno per scherzo, a chi mi chiedeva dicevo che per sopportare la vita, quando tutto va storto, non ci resta che dormire. Dormire sempre, esistere il meno possibile. Forse anche a te l'ho già fatta, questa battuta." (No, mai sentita.) "Ma ecco, insomma, se la merda si insinua anche nei sogni, se anche il sonno ci tradisce, cosa rimane? Quale via di fuga?"
Si era fermato il 12 e aveva portato via quasi tutti, nel frattempo, era rimasta solo una vecchia signora con un berretto rosso. Non pioveva più.
"Vie di fuga. Anch'io ci ho pensato. La prima possibilità è anche la più immediata. Andarsene, partire. Ma non lo so, non mi convince: ho visto che ovunque tendo a ricostruirmi attorno analoghe reti relazionali, a ritrovare gli stessi problemi, a ricadere nelle stesse dinamiche. Dovrei andarmene da me stesso, e invece mi ritrovo sempre uguale, ogni volta, in ogni nuova geografia. La seconda via, è vero, poteva essere il sonno. L'incoscenza. la non esistenza. Ma è una falsa fuga, come la morte: non ti concede i suoi frutti, o ti restituisce al punto di partenza. Non funziona. Non la prima via, non la seconda."
Sono rimasto a guardare la mia ombra nella pozzanghera, rimuginando sulle mie parole.
"Non so", ho mormorato.
"Neanch'io", ho risposto.
In quella è spuntato l'11 dalla curva, ho visto la vecchia con il berretto rosso fare un passo verso il bordo del marciapiede. L'autobus si stava fermando, la vecchia si è girata e mi ha guardato negli occhi. Mentre le porte si aprivano, salendo, la vecchia mi ha parlato: "Ragazzo, ascolta. La terza, è la via. L'unica possibile. Io lo so, perchè l'ho presa."
Le porte si sono chiuse sulle ultime parole della vecchia, l'autobus è partito.
...
"Grande uscita di scena", ho detto tra i denti, simulando un certo cinismo.
"Cos'è, secondo te scherzava?" ho risposto con un tono che si sforzava di essere ironico e con un sopracciglio alzato.
In quel momento una folata di vento freddo mi è entrata nel collo e ha bloccato ogni cosa per un attimo, spostando le foglie sul marciapiede e scrollando poche goccie dagli alberi. Alla fermata ero rimasto solo io.
Ho infilato le mani in tasca, per scaldarle.
"Ecco il 13. Andiamo."
"Io prendo il 14. Ci vediamo."

colpi di mano

lunedì 1 dicembre 2008

Fede nella paranoia

Una calle vuota.
Un ponticello equivoco.
Un muro che ti guarda storto.
Dietro l'angolo c'è un piccione in astinenza.
Nel sotoportego un vecchio spacciatore di becchime lo attende.
La notte non è più sicura, a Venezia.
Ma c'è un uomo che ha il coraggio di denunciare tutto.
Di denunciare che l'unica cosa capace di riempire il vuoto silenzio delle calli è la paura. Un crescendo di paura, che ti prende allo stomaco vedendo queste inquietanti immagini.
Viene da chiedersi: ma dove sono le fiumane di persone che vediamo a mezzogiorno invadere Venezia? Dov'è la folla quando cala la notte?
Sapete dove sono tutti?
Chiusi in casa, terrorizzati dall'apparente solitudine che ti avvolge nelle calli, unica fredda compagna che ti segue nell'eco dei tuoi passi, fallace fantasma di una sicurezza che non abita più nè qui nè altrove.

"Io so di gente che c'è morta a Venezia.
Di vecchiaia, ma c'è morta."
Aforismi, Libro IV, Enavico



Video reperito su pronta segnalazione del nostro caro spingitore veneziano "El Chico", bipede per scelta, gondoliere a tempo perso.

martedì 25 novembre 2008

In punta di manganello

Primo concorso di poesia securitaria

clicca sull'omaccione per saperne di più.


CONCORSO ESAURITO
il vincitore giace nel numero 4

Lacan system v3.0

Come ogni domenica anche oggi mi sono recato allo stadio per vedere la partita con il mio amico Jacques. Ci si diverte molto a vedere i calciatori giocare, e quando stiamo insieme io e il mio amico non si tace mai. I commenti si sprecano, dai più morbidi a quelli più ruvidi, non risparmiamo nessuno, e in certi momenti finiamo con il commentare per intero il match a cui assistiamo. Le partite migliori, si sa, sono quelle che regalano molti gol e molti clamorosi errori. Io e Jacques abbiamo visto succedere di tutto in campo, traversoni, falli da dietro, entrate dure, uscite avventate, ma le cose più interessanti si vedono in tribuna: vecchietti claudicanti, anziani arzilli con le gote arrossate dalle frequenti bevute al baretto, bestemmiatori professionisti, in grado di trovare ogni domenica una nuova via per offendere il Signore; i bambini delle scuole calcio, con le loro tute scudettate nuove di zecca, che si rivelano spesso vecchi tromboni in potenza non appena aprono bocca; le ragazze dei giocatori (...). Ma oggi a vedere la partita c'era pure un prete. Sì, proprio così, un prete. Aveva un cappello tondo dalle larghe falde, un corpo magrissimo avvolto in un lungo abito nero che copriva le sue gambe accavallate, il viso pallido e allungato la cui espressione era minimamente schermata da un paio di occhiali da sole dalle lenti piccole e circolari. La sua bocca era larga, e in essa, sommo stupore, affondava un piccolo lecca lecca rosso retto da un'asticella di legno lunga almeno venti centimetri.
"Sai come la penso." disse Jacques. Gli risposi: "Lo so, non dire nulla." Stavamo sì guardando la partita, commentandola, ma la presenza a pochi metri da noi di questo prete ci distraeva enormemente. Ogni tanto mi voltavo a destra e capivo che lui mi stava guardando dato che, nonostante fosse sempre rivolto in direzione del campo, nasceva un esplicativo sorrisetto sulle sue sottili labbra. Al 65' arrivò il gol, un gol bruttissimo, nato da una papera colossale del portiere. "Il portiere -considero io piegandomi a sinistra con tutto il busto verso Jacques- l'ha proprio battezzato fuori questo campanile..."
"Ben detto. Mi piace questa." rispose ad alta voce il prete voltatosi nel frattempo nella nostra direzione, chinando poi lievemente il capo e calandosi gli occhiali sul naso fino a far intravedere la mezzaluna superiore dei suoi osceni e provocanti occhi, stringendo tra le labbra richiuse il lecca lecca.
"Bene, io me la squaglio." disse Jacques guardandomi negli occhi dopo un momento d'immobilità. Così fu, e io lo seguii di buon grado senza voltarmi indietro.

lunedì 24 novembre 2008

l'ultimo Tiberio


Il mio cane non c'è più.
E' morto, non è morto, se n'è andato. Tornerà.
Domande che ancora oggi, dopo quasi due mesi dalla sua scomparsa, non smettono di infilarmisi tra i capelli quando mi addoccio, di cadermi nella minestra durante la cena, di scivolarmi tra le dita, mentre scrivo.
Ancora controllo la ciotola, non rimossa, prima di uscire; ancora faccio attenzione, nel buio in fondo alla scala, a non inciampare nella sua assenza; ancora mi fa male, un male che mi artiglia la pancia, e sento nella notte, mi sembra di sentire, sento il suo abbaiare interrogativo fuori sul piazzale; e vedo, mi sembra di vedere, vedo: il suo fagotto d'ombra, con la coda dell'occhio, ai piedi del divano.
I sensi ci mettono più tempo ad accettare, più dell'intelletto, anche di più del cuore -le dita che il monco sente ancora, il sole cieco che rimane negli occhi.
Gli volevo bene, al mio cagnolino.
E dov'è adesso, soffre, non soffre più. Tornerà.

Nella cesta dove dormiva ho trovato un foglietto.
Lo apro, lo leggo.



"Occorre perseguire l'abbruttimento di sé.
Bisogna, pazientemente, ostinatamente, ricercare l'abbassamento della propria persona, peggiorare -sotto tutti i punti di vista.
Abbandonare il corpo al sudiciume e alle storture, dimenticare l'intelligenza e lasciarla avvizzire, concedere l'animo alle più sporche nefandezze: precipitare nella meschinità che non conosce ritorno, deperire, incattivirsi, chiudersi, muffire.
Occorre farlo, per il bene del mondo.
Il perchè è presto detto, l'equazione è semplice: ogni cosa trova una propria dimensione qualitativa solo in funzione del confronto con ciò che le è altro, con ciò che le è opposto -se ha uno sfondo su cui stagliarsi. Lo scarto è condizione e cifra dell'essenza: non esisterebbe "fuori" se non vi fosse "dentro", la vita si svuoterebbe di concetto senza la morte a cui si oppone, non ci sarebbe "ciotola" se non in contrasto con ciò che "ciotola" non è.
Questo è elementare e inoppugnabile.
Il resto viene da sé: il mondo, il bene e il male del mondo, a loro volta sono definibili solo secondo percezioni contrastive. Per questo è esatto lavorare di riduzione sulla propria persona, svilirsi fino alle ultime conseguenze: a quel punto, nel raggio fisico della nostra esistenza, il mondo attorno sarà oggettivamente migliore, innalzato dal nostro abbassamento. Più splendido, quanto più turpi saremo diventati; più pacifico, quanta più violenta cattiveria saremo riusciti a vomitare; più brillante, quanto più ottusi ci saremo costretti ad essere.
Nell'odio, nel vilipendio, nella derisione della gente -e di ogni possibile dio- solo noi, nascostamente, sapremo leggere i segni della gratitudine."



In un angolino del foglietto, mezzo coperto da una macchia di caffè, ho poi decifrato questo breve elenchino, non so dire quanto c'entri con il resto:




Pome:

_ dormo
_ crocchette
_ piscio
_ acqua
_ dormo
_ cacca
_ acqua (piscio)
_ dormo
_ Renata
_ crocchette
_ piscio
_ dormo





Ancora adesso mi capita di rileggerlo, quel fogliettino dalla scrittura incerta.
Leggo ciò che c'è scritto, provo a capire, ma il pensiero scivola via, scivola a lui, al mio cagnolino: alle corse che facevamo nel campo, alle buffe traiettorie con cui evitava i gatti del cortile, a come cercava le mie carezze.
Cagnolino mio, cucciolo fino alla fine, quanto mi manchi.
Il moto di pianto che mi sale dal fegato si ferma sempre in tempo, prima di tradursi in lacrima: guardo il bigliettino che stringo tra le dita
-che pensiero stupido, mi dico, che scherzo cattivo: non può certo averlo scritto lui.
I cani non sono capaci di scrivere.

giovedì 13 novembre 2008

iL NoMERO 3 e MEzo


Voilà





La fame nel mondo, a quanto pare, non era sufficiente.
Donne, è arrivato l'arrotino!
E cos'è quella cosa che gli spunta dalla patta?
Ebbene sì,
il Terzo Numero e Mezzo è tra noi.


Calma, calma, sedute. Ce n'è per tutti.
Dove trovarlo? Ovunque, anche un pò più in là.

Butta l'occhio nelle più nefande librerie di Padova.
Addentrati nei più disperati lounge pub di Bologna.
Fruga nei giubbotti dei più ridanciani fascistelli di Verona.

A Roma, nella grande onda di venerdì 14,
potresti anche averci incontrato.
Quindi controlla,
accanto al tuo water potrebbe già esserci una sorpresina.


Facce sapé.


Si autorizza moderato entusiasmo
ai sensi del d. lgs 276/2003 con provvedimento del 13 dicembre 2004 prot. n. 1188


lunedì 10 novembre 2008

PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA

A Francesco

di Carlo Michele Pigozzi

Martedì
Da due-tre giorni ho la tosse. La patologia ha cominciato a manifestarsi domenica mattina con un forte mal di gola ed una tosse secca che è perdurata tutto il giorno. Così la sera ho assunto per via orale dello sciroppo denominato: "Bisolvon Lictus". La sua funzione è quella di rendere più fluido il muco accelerando così il processo di guarigione. Ho continuato la cura anche per tutto lunedì con tre cucchiai di sciroppo, uno la mattina uno a pranzo e uno la sera. Questa mattina la tosse è un pò più morbida, però ha iniziato a gocciolarmi il naso.

Domenica
La tosse ora mi è passata. Ho giusto ancora un sottile strato di catarro in gola. Ma non è troppo fastidioso. Anzi mi fa compagnia. Quando mi sento un pò solo mi raschio la gola, come quando si vuole sputare, così quel sottile strato di catarro mi finisce in bocca. A quel punto inizio a giocarci, facendolo passare di dente in dente per poi inghiottirlo di nuovo e riportare in gola quel sottile strato di catarro. Ho anche dato un nome a quel sottile strato di catarro. L'ho chiamato Francesco. Io e Francesco siamo ora buoni amici e spero tanto che Francesco non mi lasci mai. Per essere sicuro che Francesco stia sempre con me, tutte le notti mi faccio una doccia fredda ed esco bagnato e completamente nudo in giardino a guardare le stelle con Francesco. Così lui è contento e non mi lascia mai solo.

Skip Intro

"il suono delle sirene e delle ambulanze
dovrà sovrastare quello delle auto di polizia
e carabinieri."
Francesco Cossiga


L'articolo d'apertura è molto importante, il lettore ne trae la prima impressione e quindi ne va di tutto. Il Traghetto Mangiamerda, cos'è? Due parole: Caldaia! Caldaia! Caldaia!
Rileggiamo quanto scritto finora: l'articolo d'apertura è molto importante, il lettore ne trae la prima impressione. Ma tu, lettore, non sei un facinoroso.
Il Traghetto Mangiamerda, cos'è? Due parole: Caldei! Caldei! Caldei!

Sono giorni di tensione, di strategia. Il gatto selvaggio sta per esplodere. La maggioranza silenziosa è ovunque: riempie le strade, gli argini, le ciclovie. L'autunno è così caldo che i carabinieri hanno ancora le divise estive. Nei parchi i vecchi sorseggiano tamarindo. Lina Merlin ha appena presentato il suo decreto al senato. Scelba1 gigioneggia.

E ancora, nel cuore delle cose, il giovane sprizzato si riconquista, combatte, ricerca la giustizia studentesca. Non lo ferma il blocco, non lo ferma Mariastella, non lo ferma la crisi. Avanti così. E infine oltreoceano, Morgan Freeman è salito al potere per salvare il culo al pianeta terra.

In questo malinconico bailamme il Traghetto Mangiamerda, fino ad ora appisolato su una stufa, si versa un Ferro China Bisleri e sentenzia.

Madonne e cicisbei, ecco il terzo numero e mezzo. Il terzo -vedi riquadro all'interno- gira da mesi nelle nostre case. Il quarto gira con maggior fortuna nelle nostre menti. Sarà un monografico sulla città e il delirio sicuritario.
Nell'attesa, bagnatevi con questo pamphlet veterorevanscista: quattro paginette di rancori, sconclusioni e cha cha cha.


1 Maria Turchetto, De l'ouvrier masse à l'entrepreneurialité commune: la trajectoire déconcertante de l'opéraisme italien, in J. Bidet e E. Kouvélakis (a cura di), Dictionnaire Marx contemporain, PUF, Paris, 2001.

venerdì 7 novembre 2008

Nuoppa


Ci sono un italiano, un francese e un americano al bar. Tre uomini di mezza età, come si dice con più passato che futuro, ormai abituati alla vita nel mondo, ognuno a modo suo.
Sono lì per nessuna ragione precisa, tra di loro non si conoscono nemmeno. Siedono insieme al tavolino solo perchè l'ho deciso io, io che scrivo, e in effetti si guardano con un leggero imbarazzo, senza sapere bene cosa dire.
Il primo a prendere la parola, dopo un lungo sorso di Radler, è il francese: "abat-jour", dice. L'imbarazzo sale.
L'italiano vorrebbe andarsene, si capisce da come si muove irrequieto sulla sedia, si sente fuori posto e ha come l'impressione di aver qualcosa da fare, altrove, anche se lì per lì, se qualcuno lo interrogasse in proposito, non saprebbe bene dire che cosa.
L'americano nota il suo disagio e gli mette una mano sulla spalla: "hey man, quiet down. Sit and drink your drink. Shalla", gli dice sorridendo.
L'italiano sorride a sua volta, un sorriso un pò sforzato sulle prime, ma poi prende in mano il bicchiere di brulè e comincia effettivamente, piano piano, a sciogliersi. Guarda il francese, guarda l'americano, alza il bicchiere e pronuncia il brindisi: "a noi!"
Lo fa senza nessuna malizia, senza pensarci, "a noi" -come tu mi insegni- è una sorta di motto fascista, l'italiano però non ci ha fatto attenzione, gli è uscita così, senza volere, figuriamoci se lui. E infatti, posato il bicchiere, comincia subito ad arrossire.
Ad ogni modo né il francese né l'americano danno segno di essersene accorti, e pronunciano a loro volta il brindisi: "cheers!", l'americano. "le jeux sont fait!", il francese. Curiosamente, arrossendo a loro volta subito dopo. Ognuno per ragioni sue, immagina il lettore.
A questo punto va precisato che l'americano è abbronzato. Molto abbronzato. Diciamo pure -perdonatemi la parola- negro. Questo mette in una certa luce quanto è accaduto finora, e mette una certa luce su quanto accadrà nel prosieguo.
"Prosieguo è una parola molto bella" dice l'italiano, sempre attento alle cose. Il francese e l'americano lo guardano senza capire.
"I don't understand you man, I'm sorry. Non-parla-italiano. I know cieao, forza azzurri and... Mmm... What else.. Campanile! Campanile is italian, isn't it?" Ma l'italiano non lo sta già più ascoltando, guarda una macchia sulla camicetta del francese, ha una forma che gli ricorda qualcosa, la osserva per un pò prima di capire, avvicina il viso aggiustandosi gli occhiali, si avvicina tanto che il francese esclama "egalité!", ridacchiando. E' allora che l'italiano si rende conto: è una svastica. Chiaramente, una svastica, come non averlo visto subito? Si raddrizza sulla sedia, improvvisamente attraversato da una sottile inquietudine, da quel momento cerca di evitare di guardare il francese, ma intanto continua a chiedersi se davvero sia solamente una macchia, e ogni tanto l'occhio gli cade.
L'americano sta ancora parlando quando arriva al tavolo il barista, un grosso omone con due importanti baffi scuri. Molla un pesante ceffone sulla nuca dell'americano, poi parla: "volete qualcosa da mangiare? Grosso omone è una ridondanza bella e buona. E anche due baffi è un'inutilità tristemente entrata nell'uso comune." E molla un altro ceffone all'americano, ancora più forte. "Abbiamo una cucina povera, niente di che, sapete, gestione casalinga. Non è per economia linguistica. E' una questione di eufonia, e anche di logica." E giù un'altro ceffone, che questa volta è tanto potente da far sbattere all'americano la faccia contro il tavolo, con violenza. "Vi suggerisco le orecchiette, la nostra specialità. Modestamente, le migliori del paese. Avere due baffi è normale, averne uno, o più di due sarebbe l'eccezione. E in quel caso andrebbe specificato. Ma solo in quel caso. Altrimenti stona, stride. Fa male alle orecchie."
L'americano prende in mano il menù (che in spagnolo si dice "carta"), si gira verso il barista con un rivolo di sangue che dal naso gli scende fino al mento e dice: "io prendo le orecchiette. Ma se è possibile le vorrei con i cavoletti. Le cime di rapa mi rimangono nel gozzo. L'ultima volta non ho dormito per tutta la notte. E un bicchiere di Smack My Bitch Up"
"Smack My Bitch Up non ce l'abbiamo, mi dispiace. E non è nemmeno una bevanda, è una canzone."
"Allora mi porti un pitale colmo di merda"
"Va bene."
"Ma scusa, tu parli italiano?" Chiede stupito l'italiano.
"Sorry man, I told you that I don't understand you. Uno poco espanol. But no italiano, sorry."
L'italiano non capisce, e per un attimo ristà, interdetto. Prima di vedere come finalmente reagisce, è giusto che ci fermiamo un attimo, è giusto che vi spieghi. E' stato uno scherzetto, l'americano davvero non sa parlare italiano, sono stato io a fargli dire quelle cose, sempre io che scrivo, con un trucchetto che conosco, un giochetto con le dita. Anzi, guardate, lo faccio ancora.
Il francese si alza, e in rapida sequenza esclama: "arbre magique! Garage! Vive la France!" Poi si risiede e mangia il bicchiere. Mangiando il bicchiere si fa molto male, ovviamente non riesce a mangiarlo tutto in un boccone, lo spezza facendo forza coi denti, si ferisce le labbra, la lingua e la gola. Geme, ad un certo punto il dolore è eccessivo e si ferma, mette per un attimo il bicchiere sanguinante sul tavolo, un vetro gli si è fermato nella trachea, lo si vede spingere da dentro. Rantola, il francese.
E' in questo momento che il lettore capisce una volta per tutte a che gioco stiamo giocando. E' ancora una volta la vecchia storia del metatesto, siamo ancora ai tempi di Unamuno, non se ne può più. Sbuffa, inarca un soppracciglio, un pò compiaciuto di aver smascherato lo scrittore, un pò genuinamente annoiato. Ma continua a leggere: legge, in rapida sequenza, le parole "pelle", "Mitridate", "Reebok", "istericida", "nido", "sapone", "nuoppa", "vasellame" e "PortoVenere".
Succede tutto in quegli istanti, tutto in quegli istanti si esaurisce: l'italiano si alza con impeto e punta il dito contro l'americano, pronto a urlare la propria indignazione per essere stato preso in giro; il francese si tiene la gola con le mani e geme, tra i gemiti si riesce a intendere "Zinedine Zidane"; l'americano guarda il francese e per una veloce associazione di idee prende il tovagliolo e fa per asciugarsi il sangue sul muso abbronzato; il barista fa per rientrare in scena, si sente il suo potente vocione proferire "no more orecchiette!" ma tutto in quel preciso istante trova una fine: insieme, proprio (curiosa coincidenza) con-tem-po-ra-nea-men-te,
lo scrittore smette di scrivere,
e il lettore smette di leggere.

lunedì 3 novembre 2008

Momenti di panico ieri pomeriggio nel salotto di Questa Domenica.

Sotto lo sguardo atterrito di Paola Perego l'onorevole Giulio Andreotti ha avuto un malore dopo essere caduto su un paletto di legno che si è conficcato nel suo costato all'altezza del cuore.
Fortunatamente per il senatore a vita, non si trattava di legno di frassino.




Il Divo Giulio brandisce il temuto paletto di legno che, travestitosi da innocua penna biro, si è reso protagonista dell'attentato.

domenica 2 novembre 2008

l'acqua calda

sabato 1 novembre 2008

albaKiara



Mettete insieme Trainspotting, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Tre metri sopra il cielo, Pulp Fiction, Eyes Wide Shut, Thirteen, Paz!, Scarface, The Brown Bunny, uno spettacolo di Vito all'Arena del Sole, un concerto di Vasco, un video anni '80 degli 883, un porno amatoriale a caso e il vostro film preferito (sempre che non sia compreso tra i sopraindicati, e che non sia il porno amatoriale): eccovi servito ALBAKIARA.

La trama presunta: Bologna, giorni nostri. Una generazione in pieno sottovuoto generazionale si dibatte tra droga e riprovevoli relazioni postribolari. La protagonista, una ragazza che recita male pure quando corre, s'innamora - trovata molto originale - di un DJ, guzza con amici mascherati, discute tra sé e sé del concetto di noncuranza nell'igiene intimo. [...] Poco prima della fine Raz Degan, uscito dal circolo vizioso della dipendenza da Jägermeister, ci ricasca, ma stavolta col Montenegro.

"Questo film è cagna pure in trailer. E in foto."
Renè Ferretti

giovedì 16 ottobre 2008

La Gelmini e la bicicletta

Questa cosa la scrivo soprattutto per i veronesi, ma forse no,

per chi c'era anni fa, ora nemmeno saprei dire se due o tre, a Verona, quando organizzammo la protesta e il traghetto si trovò al centro di tutto, catapultati quasi controvoglia a spendere le nostre intere giornate in facoltà, a discutere litigare oranizzare decidere prendersi delle responsabilità rilasciare interviste andare in senato accademico bersi una birra innamorarsi anche alcuni di noi io ad esempio, per l'ultima volta.

Questo pomeriggio sono stato all'assemblea di ateneo qui a Bologna, dopo dieci giorni di assemblee nelle facoltà (a cui non ho partecipato, devo dirlo). Un'aula magna strabordante gente sulle scale nei corridoi per terra. Dinamiche già viste, relatori sconosciuti e autoproclamati, grandi slogan, applausi per chi diceva una cosa e per chi diceva l'esatto contrario. Dissidi, battibecchi, euforia esuberanza, ormoni liberi anche. C'era perfino la biondina che mi piace tanto che non mi guardava nemmeno stavolta.

Al solito gli "autonomi" cosiddetti, come se gli altri fossero invece "dipendenti" di qualcuno, che spingevano per l'occupazione, perchè in altre città lo stanno già facendo e perchè bisogna farlo e basta
un po' come la Chimica da noi, almeno alcuni degli allora esponenti. E sono stato anche stupito di sentire interventi misurati e propositivi opporsi all'occupazione e al blocco della didattica e trovare riscontro.

Poi al solito l'assemblea non terminava e mentre si decideva se votare per decidere se votare o meno sono andato via, perchè con degli amici si andava a cena alle otto.
Dopo cena siamo tornati in facoltà che non è occupata ma c'è la notte bianca. Un atrio invaso di persone, musica, l'aula dell'assemblea stracolma, un saxofono una fisarmonica, raccolta firme per laboratori che partiranno domani. C'era di nuovo anche la biondina e di nuovo non mi guardava.
Poi hanno cantato bella ciao e suonato gli strumenti e centinaia di voci han cantato la canzone che cantavo anch'io tante volte con godimento vero ma stasera no.
Poi c'era proprio tanta gente anche una ragazza sempre bionda ma diversa da quella di prima che in questi giorni avevo molta voglia di vedere e ieri era il suo compleanno e le avevo masterizzato il cd delle "luci della centrale elettrica" che è un disco molto bello e disperato e le ho chiesto se le era piaciuto e lei mi ha detto che l'aveva sentito solo dei pezzi e non l'aveva presa un granchè. Allora io poi non sapevo cosa dirle e cercavo con gli occhi se in mezzo alla folla c'era magari il Jotti o Dolores o Giulia o Valentina o Riccardo ma non vi ho visto forse eravate al pianoterra.

Allora per la seconda volta in due giorni, l'altra era stata nei camerini di Zara mentre mi provavo un maglione marrone, mi è venuto da piangere e ho detto a Paolo che mi slegasse la sua bici dalla mia che io andavo a casa. E in bici allora ascoltando delle cover cantate da Cat Power di tono abbastanza triste e pedalando con un po' di buio cercavo di fare dei gran respiri che mi sono accorto che una delle poche cose che mi fa felice è andare in bicicletta con la musica e correre veloce contro l'aria.

Insomma mi è tornato un po' il pensiero che io i momenti di condivisione cosiddetti con la mia generazione ce ne sono stati due: con voi a Verona in quelle giornate strane e alla manifestazione dei tre milioni della cgil che per la prima volta l'inno nazionale mi è sembrato anche un po' mio.

Per il resto continuo a sbattere la testa dappertutto e non esce sangue.

Per protesta stasera occuperò il mio letto.

Michele

giovedì 9 ottobre 2008

Volontà di Potere


domenica 5 ottobre 2008

Qua una volta era tutto situazionismo



mira aquì:
http://www.youtube.com/watch?v=CA4sqfJ9apk


giovedì 2 ottobre 2008

Eclatante taxi

Sono venuto qui per mezzo di una autopubblica.

Mio figlio ha detto oggi la sua prima parola.

Papà.

Oggi papà, domani fantomatico.

Dopodomani magari eclatante.

Fra un anno dirà sciancrato.

Per questo l'ho strozzato.

poker di presenze

In attesa di sistemare il Birra di Verona, ecco le altre due apparizioni dell'Umiliatissimo, rigorosamente in pessima risoluzione. Languiteci su.

A Brutti Caratteri, 4 aprile 2008 -parte 1



-parte 2




al Birra di Padova, Cafè au Livre, 17 maggio 2008 -parte 1



-parte 2




Attingi altro guano, o vedente, qua: http://www.youtube.com/user/traghettomangiamerda
Oppure, meglio, vattene a fare in culo.
Sì, sono rabbioso. Meglio che mi giri al largo.

TM

mercoledì 1 ottobre 2008

(F-F-F-F) Freestylo

Dopo il grande successo dei dARI, eccovi il nuovo tormentone delle notti del Traghetto.

venerdì 26 settembre 2008

esplicare espletare espellere

son del giusto umore
per sentir dei bottoncini il'rumore

come zampette di bruchetti ammattiti al passaggio su distese d'erba secca;
insieme di lettere dalla testa di un confuso Giove per nulla divino:
profondità ancestrali dell'animo.

un giorno qualcuno poco importante mi chiese:
cosa manca, cosa ho dimenticato, cosa?
qualcosa sicuramente ha ribattuto l'altro
[ancor meno importante];
giunsi quindi alla conclusione che
non riuscendo a distorcere la linea delle ordinate
dovevo concentrarmi su quella delle ascisse;
la linea che finisce dietro alla cascata
per poter vedere cosa cela di così importante
da dover essere tenuto nascosto
dietro all'impeto naturale della forza delle correnti.

mi incamminai perciò verso quell'avventura,
nuove emozioni mi attendevano al varco;
così passato ch'io l'ebbi, il varco s'intende,
un'enorme vuoto mi si stagliò dinanzi,
un'infinita distesa di nulla,
quel silenzio assordante
che i timpani si rifiutavano persino di continuare a pulsare,
ammorbidendosi fino a colare come oro fuso
fuoriuscire dalle mie orecchie!
questo è il resoconto di ciò che mi capitò
durante il mio soggiorno a Reykjavík nel '39;

ciò che successe nei 5 anni successivi,
è storia ormai nota anche ai meno informati;
fortunati, i meno informati:
deficienza di pensieri, deficienza di problemi!
diceva quel saggio
rannicchiato sullo spuntone di roccia
che fiero spuntava su quel picco montano [sì, proprio quello!]
prima che gli olandesi
con le loro ruspe ed il loro progesso
arrivassero a fare mambassa
di ciò che rimaneva
dello spuntone di roccia
dal quale il saggio s'ergeva.

maledetti pensieri, non avrete il mio scalpo!
dalle vostre menzogne scalzo scappo
e ritorno ad ascoltare il violino di un passante...

martedì 23 settembre 2008

Andante patafisico

Gli uccelli sono responsabili di almeno tre grandi maledizioni che pesano sull'uomo. Gli hanno fatto venire il desiderio di arrampicarsi sugli alberi, di Volare, di cantare... Dunque, quando si pensa all'Everest, ai razzi e ai prolungamenti naturali di queste suggestioni abilmente introdotte nel cervello di alcuni primitivi dal becco appuntito come un acheopterix che chioccia, ce la prendiamo un po' con gli uccelli, e vorremmo che fossero muti, non si staccassero dal suolo e nidificassero sotto le pietre. (Per nostra disperazione, la natura ha pensato a tutto. Ci sono esseri che rispondono a questi requisiti. Sono uccelli di una specie particolare: i rospi).

[Boris Vian, Musica & dollaroni,Stampa Alternativa]

lunedì 22 settembre 2008

Tubercolosi

Il 13 settembre Jason Loveboat ruppe gli indugi e finalmente andò dal dottore.
"Sto male, dottore" disse.
"Mi dica."
"Vomito sangue. E sono pieno di macchie nere. E poi da qualche tempo mi fa male respirare."
"Mmmm.... E quanto tempo è che ha questi sintomi?"
"Da qualche settimana. E' cominciato con una tosse molto forte, prendevo latte con miele. Adesso ho sempre la febbre, non mangio più."
Il dottore si fece scuro in volto, si avvicinò e prese il polso di Helmut tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal taschino del camice uno stiletto, lo puntò negli occhi di Jason muovendolo a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga il pullover."
Jason Loveboat si tolse il pullover e seguendo un gesto del dottore si sedette sul lettino. Il dottore disse: "Adesso mi dica quando le fa male", alzò un braccio verso di lui e cominciò ad accarezzargli i capelli. "Ahia!" disse a un certo punto Jason, e il dottore si scostò.
In silenzio tornò a sedersi alla scrivania. Prese un foglio e cominciò a scrivere.
"Allora? Cos'ho?"
Il dottore lo guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Niente di così grave. Niente di urgente. Ecco." Gli porse il foglio. "Prenda questo foglio, dietro è ancora bianco. Può farci un disegno. E soprattutto prenda aria."
Jason si alzò e strinse la mano al dottore. In quel momento fu preso da un violento attacco di tosse, a stento riuscì a non vomitare, si sentì svenire ma una fitta lancinante al petto glielo impedì. Sorrise.
"Mi raccomando" gli disse il dottore accompagnandolo alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 2 novembre Jason Loveboat morì di tubercolosi polmonare.

sabato 20 settembre 2008

Esattamente

Vado al baretto con gli amici
a un certo punto un amico di amici mi si avvicina
Ma tu sei uno di quelli della rivista? mi chiede
Eh, dico, dipende
Ma sì dai, fa lui, come si chiama
sto per dirglielo ma mi blocca con un gesto No non dirmelo, ora mi viene
Lo guardo in attesa un po' imbarazzato, poi esplode
Ma sì! Cagare in barca, si chiama così giusto?

Esattamente

MasonanismO

Cento consigli per raggiungere l'umiliazione da soli, senza sporcare.


Non è un godere facile. Consigliata almeno due volte alla settimana, l'umiliazione va ricercata con sincerità, a piccole dosi, senza esagerare: il rischio è di raggiungere troppo presto l'assuefazione, col risultato -diametralmente opposto- di arrivare a sentirsi uberuomini intoccabili, incapaci di qualsiasi imbarazzo; oppure, viceversa, di abituare la società a voi, di farle scoprire il vostro gioco, finendo col farvi categorizzare in una nicchia al di là dell'imbarazzo, tra i folli e gli stupidi.
Invece, se saprete giocarvi bene l'incontro con l'umiliazione, arriverete a non poterne farne a meno. Il piacere sofisticato della cosiddetta "figura di merda" ha un che di catartico, è un potente mezzo per ridisegnare i rapporti con la società e per ristrutturare l'immagine di voi stessi davanti a voi stessi. Alla lunga imparerete a raffinare la ricerca della situazione imbarazzante, arrivando a sviluppare automatismi oltre la volontarietà, sorprendendo spiacevolmente voi stessi, come sempre dovrebbe essere.
Col passare del tempo proverete timore nell'uscire tra la gente, disgusto nel guardarvi allo specchio, sempre meno persone riusciranno a guardarvi senza sentire disagio o malevola pietà, rimarrete senza amici, l'autostima si ridurrà al punto di rinunciare a mangiare. Non è un godere facile: riuscire a cogliere il brivido che sta sull'altra faccia di questa curva discendente, i piccoli attimi di piacere nei giornalieri passi di questo calvario -quando tentammo di baciare quella ragazzina in mezzo alla classe, quando lasciammo andare quel sonoro peto durante la messa, quando ci sedemmo sopra il paraplegico in carrozzella- godere con dolore della propria umiliazione, sempre più simile a una merda, inesorabilmente verso il fondo.
Ecco a voi quindi alcuni pratici consigli, un rapido compendio per umiliazioni basilari o di livello avanzato, da sperimentare a piacere. Benvengano i vostri suggerimenti, cari lettori, tanto più graditi se suffragati dalla vostra esperienza diretta.

_ Studiare cinque anni in una qualsiasi facoltà universitaria. Arrivati al momento della laurea, di fronte alla commissione esaminatrice e con amici e parenti alle spalle, ad un certo punto schiarirsi la voce e pronunciare una o più fra le seguenti frasi, senza urlare ma facendo in modo che tutti possano sentire:
"Non so nulla. Sono un cavallo goloso."
"Il presidente di commissione è gay, chiedo che sia messo a verbale."
"Cagare il cazzo è un'espressione quantomeno ambigua. Non trova anche lei, Mario?" (rivolgendosi ad una professoressa)
"Lecco la patata a mia madre/succhio il pene a mio padre ogni sera. Sì, avete capito bene. Ogni santa sera."

_ A cena con la famiglia. Sedersi a tavola, evitando per un pò il coinvolgimento in qualsiasi discussione. Ad un certo punto tirare fuori da sotto la maglia un giornaletto porno (o Panorama), scostare di poco la sedia dal tavolo, e cominciare a masturbarsi. L'imbarazzo dovrebbe salire progressivamente e contemporaneamente anche, in voi, la voglia di essere in tutt'altro posto, di non aver mai seguito queste istruzioni, oppure di morire. Ad ogni modo a quel punto potrete solo portare a termine quanto state facendo, per poi gustarvi la terribile umiliazione, mentre vi ripulite con la tovaglia.

_ Portare una ragazza/un ragazzo di pelle nera al cinema, oppure a teatro.

_ Andare a fare la vendemmia, o un altro di questi lavori stagionali, lavorare di buona lena ogni giorno, raccogliendo per bene quello che c'è da raccogliere. Alla prima occasione di convivialità con gli altri lavoratori, avvicinarsi ad uno di loro che stia tenendo un bicchiere di vino in mano -ce n'è sempre uno- indicarlo e gridare con ilarità: "Ah! Ah! Guardate! Guardatelo! Questo non sa chi sia Shakespeare! Che sfigato buzzurro!"

_ Fare carriera, arrivare a far parte del consiglio di amministrazione di un'importante azienda. Ad una riunione con tutti i colleghi, gli azionisti e i rappresentanti di grosse aziende sorelle, ad un certo punto verrete chiamati a parlare sul palco. Alzarsi, e procedere verso i microfoni tra gli applausi. Avrete in precedenza slacciato la cintola, i pantaloni cadranno a metà del percorso. Niente mutande. Con i pantaloni alle caviglie avanzare comunque, a passi stenti, anche cadendo e trascinandosi. Arrivati al palco, salire nel punto più visibile e dire una barzelletta di quelle che di solito si raccontano per sciogliere il ghiaccio.

_ Uscire in strada con una maglietta con una grande scritta: "Yes, we can! Anch'io ho votato Veltroni!", meglio se con la faccia di Veltroni sorridente sulla schiena.

_ Scrivere un articolo con delle istruzioni su come raggiungere l'umiliazione, tentando di fare il simpatico e di scrivere cose ironiche ma scadendo anche in razzismi gratuiti e banali volgarità. Ad un certo punto tentare anche il mezzuccio dell'autoironia, ad esempio scrivendo di quello che si sta facendo. Infine provare con il non-sense.

_ Iscriversi ad una squadra di calcio amatoriale. Dopo la prima partita, mentre vi fate una doccia nello spogliatoio, uscire gocciolante davanti agli altri continuando ad insaponarsi e proferire, nello stretto dialetto della vostra zona: "Ragazzi, quante ne abbiamo oggi?"


Nel sottotitolo ci sono due errori. In questa frase tre.
Nell'eventuale mia morte violenta, nessuno.
Vado a succhiare il pene a mia madre.

Andrea Masotti

mercoledì 17 settembre 2008

Omaggio non richiesto


lunedì 15 settembre 2008

Saggio

sabato 13 settembre 2008

Il ciclo


Il 27 luglio la signora Helene finalmente si decise e andò dalla ginecologa.
"Ho un problema, dottoressa" disse.
"Mi dica."
"E' un pò imbarazzante. Ecco, mi succede che mi sanguina la patata."
"Prego?"
"La fica, perdo sangue dalla fica. Mi succede ogni mese. E fa male."
"Mmmm.... Vediamo. Si appoggi a quel trespolo. Da quanto tempo le succede?"
"Beh, praticamente da sempre. Solo che mi sono sempre vergognata. Comincio a perdere sangue e a volte non smette per giorni. Ho paura di morire, ogni volta. E divento cattiva."
La dottoressa si fece scura in volto, si avvicinò e prese il polso di Helene tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal camice un'armonica a bocca, la puntò negli occhi di Helene muovendola a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga il paletò."
Helene si tolse il paletò e seguendo un gesto della dottoressa si sedette sul lettino. La dottoressa disse: "Adesso mi dica quando le fa male", si chinò verso il suo viso, le prese il lobo sinistro tra i denti e cominciò a stringere. "Ahia!" disse a un certo punto Helene, e la dottoressa si rialzò.
In silenzio tornò a sdraiarsi sul pianoforte. Prese uno spartito e cominciò a scrivere.
"Allora? E' grave?"
La dottoressa la guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Sì. C'è poco da fare." Le porse il foglio. "Prenda una di queste pastiglie al giorno. E soprattutto prenda aria."
Helene si alzò e strinse la mano alla ginecologa. Sorrise, avrebbe voluto chiedere ancora, ma le tremava la bocca, non riusciva più a parlare.
"Mi raccomando" le disse la dottoressa accompagnandola alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 13 settembre Helene morì, massacrata a bastonate da un folle.

venerdì 29 agosto 2008

Brutta.

mercoledì 27 agosto 2008

Ecate


"Questa è la mia ultima città" disse Marco, staccando delicatamente le labbra dal pene grassoccio del Khan.
"Pensavo fossero finite da tempo" rispose il sovrano.
"Mancava questa. E come accade con le persone, non potevo parlarne con verità se non una volta lontano."
Kublai Khan guardò negli occhi il mercante veneziano. "Questo significa", disse pensieroso, "che non potrai mai parlarmi della grande capitale, la mia città, quella in cui stiamo adesso."
Marco Polo distolse lo sguardo, si sedette a gambe incrociate sulle maioliche e rispose: "Ho detto che questa è l'ultima, sire. Ma per guadagnare la distanza esistono due modi. Posso andarmene io, oppure può andarsene la città."
"Questa città non è una carovana di nomadi." Lo interruppe secco Kublai, "non se ne va e non arriva."
"Sdraiato nelle tue sete finisci per non capire. Io ti racconto il tuo regno senza muovermi dalle tue stanze, così come tu lo governi. Posso farlo perchè ho imparato a leggere i suoi segni, percorro la catena di traduzioni che ogni sua pietra mi propone, e in ogni sua pietra riesco a vedere dove conduce questa catena." Marco rialzò lo sguardo. "Una città se ne va quando muore, sire."



Chi vi arriva non ne esce più. Questo è quello che si sente dire su Ecate, la più perfetta delle città. E ad arrivarci non si stenta a crederlo: palazzi bellissimi dividono canali di acqua cristallina, guglie scintillanti e statue smeraldine si stagliano contro il cielo limpido. Ovunque ruscella la serenità, le coppie procedono senza fretta, mano nella mano, i bambini corrono liberi per le strade, il selciato splende come mille specchi.
Ma quando scende la sera, per un attimo su quell'argentina perfezione alita un momento di inquietudine. Tanta ricchezza, pensa il viandante alla sua prima notte, deve nascondere un contraltare. Ladri, invidiosi, predoni, chi vela l'oscurità? Ma è solo un attimo, il viandante si deve ricredere: ancora a notte fonda, innamorati sorridenti vagheggiano nella luce della luna, le balaustre e i lampioni riflettono le stelle, i bambini non hanno smesso di capriolare nei cortili, con strilli di diamante.
Non vi è in effetti nessun pericolo: da secoli la città è protetta da una milizia speciale, forse l'istituzione più antica, una confraternita che si tramanda il compito di generazione in generazione, invisibile e pure presente ovunque, vigile e infallibile in ogni momento. Grazie ad essa, Ecate non sa cosa sia il delitto, i suoi vicoli e i suoi suburbi non conoscono brutture né violenza, si è persa memoria di torti, assassinii, ruberie.
E' questo il segreto di Ecate?
Il trascorrere delle lune reca al viaggiatore, assieme alle lusinghe della sedentarietà, anche un sottile presentimento, l'eco di una lontana angoscia. Perchè andarsene? chiede a sè stesso a mezza voce. Fuori non c'è questa pulizia, questa sicurezza: oltre le mura, vi è solo il pericolo.
Così è questo che accade a chi mette piede a Ecate: l'assenza della cosa di cui aver paura insinua piano, nelle ossa, il senso di una minaccia imminente, che non si vede, da là fuori. E questo fuori divora a poco a poco lo spazio, la paura dell'indefinito che incombe riduce inesorabilmente il perimetro del dentro, spinge il viandante dalle mura al centro cittadino, dalla strada alla casa, dall'uscio alla stanza più interna, inghiottito dentro il suo dentro, schiacciato dall'immenso fuori.
Da una fenditura nella finestra sbircia, in strada, i visi sereni dei giovani e dei fanciulli -sempre solamente loro per le strade, sempre gli stessi- e solo allora con l'ultimo lume di ragione intuisce: essi sono la confraternita dell'ordine.
Ma è ormai troppo tardi: vi è entrato, e non ne uscirà più, condannato come tutti i veri abitanti di Ecate -la più sicura e la più impaurita delle città- a tremare per nessuna insidia, per sempre, con la testa sotto il lenzuolo.


"La tue città sono iperboli." Il Khan parlava di tra le spire del fumo, che tirava e fluiva dalla lunga pipa di mogano "Sono esagerazioni. Il tuo sistema mi è chiaro. Prendi le minime storture che ricordi, gli accenni di degrado che vedi, e li ingigantisci per i tuoi racconti. Esistessero le città come tu le dici, non saresti qua a raccontarle."
"Ogni città, sire" rispose Marco estraendo piano il pene dal culo di Kublai Khan, "è allo stesso tempo l'iperbole e la diminuzione di sé stessa. In ogni sua pietra è già disegnata la sua gloria e la sua perdizione. Io ti racconto il tuo regno senza mai muovermi dalle tue stanze, così come tu lo governi. Ma non esagero mai, nè sottraggo alcunchè alle mie descrizioni: se fossi partito dalla tua reggia, non avrei saputo dirti niente di più. Come accade con le cose: non si può parlarne con verità se non dall'interno del loro cuore pulsante.
La città è come il tuo palazzo, il muscolo cardiaco del potere. La tieni nel poderoso palmo della tua mano, e lei allo stesso tempo ti contiene. Sdraiato nelle tue sete finisci per dimenticarlo, ignori i segni che ti suggerisce, e la morsa delle tue dita si stringe attorno alla tua gola. Sei tu a creare l'iperbole che temi, grande Khan, conducendo a morte la città, e in lei te stesso."

giovedì 7 agosto 2008

questi giovani ci spaccano il culo

lunedì 4 agosto 2008

Stelutis Alpinis





Istruzioni:
_ Andate alla finestra e cercate con lo sguardo la vetta più vicina. Anche una collina va bene. Portatevi il computer e dei fazzoletti appresso.
_ In assenza di vette all'orizzonte, chiudete gli occhi e immaginatene una. Innevata, meglio.
_ Mettetevi la mano sul cuore. Per la precisione sulla camicia, all'altezza del cuore.
_ Fate partire la traccia audio, con il volume al massimo. Ecco il perchè del computer.
_ In assenza di un portatile, anche un amico pronto a cliccare al vostro segnale va bene. Fidato, meglio.
_ Chiudete gli occhi lasciandovi prendere dalla musica. Badate bene: può scendere una lacrima (non più di una, ne andrebbe della virilità). Ecco il perchè dei fazzoletti.
_ A questo punto riaprite gli occhi, sporgetevi alla finestra e guardate giù.

Orbene, signori miei!
Se avrete seguito con cura le istruzioni, un prode alpino dovrebbe essere già al lavoro sull'eroinomane nel vicolo. Niente male, nevvero?
Vale la pena di tenere la mano sul cuore ancora per un pò, mentre vi godete la scena.



Per la sicurezza in montagna è sufficiente un buon imbrago.

giovedì 31 luglio 2008

Lacan system v2.0


Finito il corso, gli studenti abbandonano l'aula.
Dal crocchio di persone che lentamente defluiscono si stacca una ragazza che, tenendo in braccio il blocco degli appunti, si avvicina con passo timoroso alla cattedra.
-Professore?- mormora la studentessa abbassando un pò il capo quasi a voler incrociare lo sguardo del docente
-Si?- risponde il Professore alzando gli occhi per un attimo dalla sua borsa aperta
-Volevo farle una domanda...so che può sembrare stupida...- dice lei con voce incerta
-Dica, dica pure- incalza il Professore con tono accomodante
-Beh volevo sapere:...secondo lei...cosa c'è dopo la morte?-
Dopo un attimo di pausa, il Professore alza le sopracciglia, raddrizza la schiena, si gira verso la studentessa:
-Un monolocale, molto stretto.-

mercoledì 30 luglio 2008

Lacan system v1.0

di Enrico Mazzardi


Ecco un gioco di specchi ideato da Jacques Lacan.

















È a tutt'oggi l'unico strumento col quale Giuliano Ferrara riesce a intravedere il suo pene.

lunedì 28 luglio 2008

Senti cos'è il mangiamerda - Take three


Safety Broadsheets


domenica 27 luglio 2008

Sonno


L'otto maggio Helmut andò finalmente dal dottore.
"Credo di avere qualcosa che non va" disse.
"Mi dica."
"Tutti i giorni a una certa ora mi prende una specie di stordimento. Fatico a tenere gli occhi aperti e mi mancano le forze, e a un certo punto perdo completamente i sensi."
"Mmmm.... E quanto tempo è che ha questi sintomi?"
"Beh, praticamente da sempre. Cioè, non ricordo quando sono iniziati. Capita quasi sempre dopocena. E riprendo i sensi solo quando è già mattina, spesso piuttosto stordito."
Il dottore si fece scuro in volto, si avvicinò e prese il polso di Helmut tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal taschino del camice una penna, la puntò negli occhi di Helmut muovendola a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga la maglietta."
Helmut si tolse la maglietta e seguendo un gesto del dottore si sedette sul lettino. Il dottore disse: "Adesso mi dica quando le fa male." e si chinò verso il suo petto, gli prese il capezzolo sinistro tra i denti e cominciò a stringere. "Ahia!" disse a un certo punto Helmut, e il dottore si rialzò.
In silenzio tornò a sedersi alla scrivania. Prese un foglio e cominciò a scrivere.
"Allora? Cos'ho?"
Il dottore lo guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Niente di così grave. Niente di urgente. Ecco." Gli porse il foglio. "Prenda una di queste pastiglie al giorno. E soprattutto prenda aria."
Helmut si alzò e strinse la mano al dottore. Sorrise, cominciava già a sentirsi risollevato.
"Mi raccomando" gli disse il dottore accompagnandolo alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 27 luglio Helmut morì di sonno.

sabato 26 luglio 2008

Senti cos'è il mangiamerda - Take two


venerdì 25 luglio 2008

Moonwalking


Mio padre un giorno mi mise una mano sulla spalla e mi disse "vieni figliolo, andiamo fuori a guardare le stelle." Io sulle prime stavo per mettermi a ridere, ne avevo sentite troppe di frasi simili nei telefilm americani, ma poi vidi mio padre che si grattava i coglioni e capii che era autentico, che quello sarebbe stato veramente un momento importante.
Così uscimmo e ci incamminammo, come quand'ero bambino facevo fatica a stare dietro al suo lungo passo, verso il buio dei campi, nella sera. Era una notte limpida, la luna a metà mi sembrava una fetta di torta gigante, il resto del cielo era pieno di stelle.
Vivevo ancora in campagna, allora, e mi piaceva andare scalzo nell'erba, cercando di avvicinarmi ai grilli senza zittirli, mi piaceva salire sugli alberi e togliere le ali alle rondini, ma quella sera ero già grande, camminavo cercando di stare dietro a mio padre, che in quella casa ci era nato, che andava sicuro, nella notte.
Sapevo che si sarebbe messo sotto il noce, si chinò piano come per raccogliere qualcosa e poi mi guardò. "Siediti", mi disse, "Vieni qua."
Mio padre parlava molto raramente, e quando lo faceva stavamo tutti in silenzio. La luce della luna disegnava il contorno chiaro del suo volto, l'altra metà della luna, i suoi grandi occhi neri guardavano me, guardavano il cielo.
"Guarda." mi disse indicando il coperchio di stelle, "Sai quante sono?" Io rimasi in silenzio, era quello che dovevo fare.
"Chiunque direbbe che sono infinite" proseguì, "Incommensurabili." e si accese una paglia.
"Invece no. Sono dieci." Non riuscii a tacere: "Come dieci? In che senso?"
Lui non rispose, controllò l'orologio e puntò il dito alla luna. Io guardai il dito, bianco e magro, lui disse: "Guarda. Vedi dov'è la luna adesso, intorno a lei c'è la stella. L'unica stella, formata dalle uniche dieci."
Io alzai la fronte, senza capire. Il cielo era come al solito una folla indistinta di puntini bianchi, non ero mai stato capace di distinguere le costellazioni, quando mi dicevano Guarda quella è la polare io rispondevo Ah sì, ma il cielo rimaneva una folla indistinta di puntini luminosi. Delle stelle mi interessavano i significati nascosti, come ad esempio quella cosa di Confucio che diceva che le stelle sono buchi attraverso i quali filtra la luce dell'infinito.
"Ci sono dieci stelle" disse mio padre aspirando le ultime boccate di fumo "che corrispondono ai dieci angoli della Grande Stella a cinque punte, quella attorno alla luna proprio adesso." Mio padre si girò e mi guardò negli occhi. "Non conta la loro luminosità, alcune quasi non si vedono. Conta quello che ci possono dire."
Si sdraiò sull'erba, si accese un'altra sigaretta e cominciò a fumarla. "La luna in quel punto tentenna, va più lenta, abbiamo tutto il tempo." Qualcosa mosse le foglie del noce.

"Sai, quando avevo esattamente la tua età un giorno mio padre fece esattamente la stessa cosa con me. Ci sono delle cose che la vita mi ha dato, Blanket, delle cose che ho imparato. E io, come mio padre prima di me, le ho messe nelle stelle. In quelle stelle."
Si grattò i coglioni e cominciò.
"Quella là in alto è Algenib di Pegaso. Guardandola ricordati di questo, figliolo: non ridere mai in presenza di storpi."
"Quella in basso a sinistra è Lucertola 5. Ti insegni ad assumere sempre una posizione aereodinamica. Sempre."
"Quella ancora più a sinistra non è una stella, è la nebulosa Manubrio. Quello che ci dice è che non si è mai troppo vecchi per un pò di karkadè."
"Aldhibah del Dragone, più giù, significa prendere aria. Prendere aria fa bene, figliolo, anche se non c'è il sole."
"Sotto c'è Izar di Boores. Il suo suggerimento è prezioso: annuire a occhi chiusi fa apparire intelligenti."
"Più su, esattamente sotto la luna, c'è Giausar del Dragone. E' una verità da non dimenticare: Topolino è la traduzione di Mickey Mouse, e non viceversa."
"Ancora in basso, vedi là, a destra, quella è Acubens del Cancro. Cozze abbottonate, ricordi?"
"Risalendo, guarda là, accanto alla luna. E' Prijipati di Auriga. Nella sua austera semplicità è scritto questo: di onorare il padre e la madre."
"Quella sopra, ancora più a destra, è Aldebaran del Toro. In lei ritroverai sempre queste mie parole: la terza volta, fatti pure prendere dal panico."
"Infine, sopra la luna, quella è Almach di Andromeda. La sua luce ti ammonisca ogni notte, figlio mio, in ciò che dicono i suoi raggi: il suicidio è molto pericoloso. Molto."
E rimanemmo nel silenzio stellare dei campi.

Quindi mio padre si alzò, e con passo leggero e lungo si avviò verso casa, lunare come quel personaggio di Calvino. Quando fui solo, fissai il cielo ancora per un pò, cercando di ritrovare le stelle che mi aveva indicato. Le avevo già perse tutte.
Solo anni dopo avrei comprato una mappa della volta boreale, quella notte guardavo gli indistinti puntini ripetendomi in bocca nomi e insegnamenti. Sarei mai arrivato anch'io a mettere nelle stelle così grandi verità? Mio padre era grande come la luna, come la luna usciva piano dalla sua stella a cinque punte, sarei mai stato grande come lui, come il re del pop?
Mi distesi a guardare i fili d'erba.
Cozze abbottonate, rimuginavo, che mai vorrà dire?