pudenda

lunedì 24 novembre 2008

l'ultimo Tiberio


Il mio cane non c'è più.
E' morto, non è morto, se n'è andato. Tornerà.
Domande che ancora oggi, dopo quasi due mesi dalla sua scomparsa, non smettono di infilarmisi tra i capelli quando mi addoccio, di cadermi nella minestra durante la cena, di scivolarmi tra le dita, mentre scrivo.
Ancora controllo la ciotola, non rimossa, prima di uscire; ancora faccio attenzione, nel buio in fondo alla scala, a non inciampare nella sua assenza; ancora mi fa male, un male che mi artiglia la pancia, e sento nella notte, mi sembra di sentire, sento il suo abbaiare interrogativo fuori sul piazzale; e vedo, mi sembra di vedere, vedo: il suo fagotto d'ombra, con la coda dell'occhio, ai piedi del divano.
I sensi ci mettono più tempo ad accettare, più dell'intelletto, anche di più del cuore -le dita che il monco sente ancora, il sole cieco che rimane negli occhi.
Gli volevo bene, al mio cagnolino.
E dov'è adesso, soffre, non soffre più. Tornerà.

Nella cesta dove dormiva ho trovato un foglietto.
Lo apro, lo leggo.



"Occorre perseguire l'abbruttimento di sé.
Bisogna, pazientemente, ostinatamente, ricercare l'abbassamento della propria persona, peggiorare -sotto tutti i punti di vista.
Abbandonare il corpo al sudiciume e alle storture, dimenticare l'intelligenza e lasciarla avvizzire, concedere l'animo alle più sporche nefandezze: precipitare nella meschinità che non conosce ritorno, deperire, incattivirsi, chiudersi, muffire.
Occorre farlo, per il bene del mondo.
Il perchè è presto detto, l'equazione è semplice: ogni cosa trova una propria dimensione qualitativa solo in funzione del confronto con ciò che le è altro, con ciò che le è opposto -se ha uno sfondo su cui stagliarsi. Lo scarto è condizione e cifra dell'essenza: non esisterebbe "fuori" se non vi fosse "dentro", la vita si svuoterebbe di concetto senza la morte a cui si oppone, non ci sarebbe "ciotola" se non in contrasto con ciò che "ciotola" non è.
Questo è elementare e inoppugnabile.
Il resto viene da sé: il mondo, il bene e il male del mondo, a loro volta sono definibili solo secondo percezioni contrastive. Per questo è esatto lavorare di riduzione sulla propria persona, svilirsi fino alle ultime conseguenze: a quel punto, nel raggio fisico della nostra esistenza, il mondo attorno sarà oggettivamente migliore, innalzato dal nostro abbassamento. Più splendido, quanto più turpi saremo diventati; più pacifico, quanta più violenta cattiveria saremo riusciti a vomitare; più brillante, quanto più ottusi ci saremo costretti ad essere.
Nell'odio, nel vilipendio, nella derisione della gente -e di ogni possibile dio- solo noi, nascostamente, sapremo leggere i segni della gratitudine."



In un angolino del foglietto, mezzo coperto da una macchia di caffè, ho poi decifrato questo breve elenchino, non so dire quanto c'entri con il resto:




Pome:

_ dormo
_ crocchette
_ piscio
_ acqua
_ dormo
_ cacca
_ acqua (piscio)
_ dormo
_ Renata
_ crocchette
_ piscio
_ dormo





Ancora adesso mi capita di rileggerlo, quel fogliettino dalla scrittura incerta.
Leggo ciò che c'è scritto, provo a capire, ma il pensiero scivola via, scivola a lui, al mio cagnolino: alle corse che facevamo nel campo, alle buffe traiettorie con cui evitava i gatti del cortile, a come cercava le mie carezze.
Cagnolino mio, cucciolo fino alla fine, quanto mi manchi.
Il moto di pianto che mi sale dal fegato si ferma sempre in tempo, prima di tradursi in lacrima: guardo il bigliettino che stringo tra le dita
-che pensiero stupido, mi dico, che scherzo cattivo: non può certo averlo scritto lui.
I cani non sono capaci di scrivere.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

R.I.P.P.!