pudenda

sabato 10 dicembre 2005

IL DECALOGO MANGIAMERDISTA


Manoscritto seicentesco di tal Sergio Sarsone, ritrovato e trascritto da Andrea Masotti, Michele Barbolini, Carlo Pigozzi


La punta: sense

O anime morte, o spenti simulacri vacillanti all’incerto confine tra il non essere e l’essere stati, o noi, sacchi di merda e pensiero, guardiamoci nello sguardo: basta. È ora di finirla. È ora di ricominciare.
Qui è il tremito che scuote la terra e munge i peri di infruttuoso marciume, qui è il titanico mareggiare che annega le cantine del nostro esistere, rovinando i salami, ora è il fastidioso trillo che sveglia, che ci alza la testa dal libro e al libro ci ritorna, con occhi nuovi, di chi riscopre per la prima volta le cose, occhi di clown, di bambino: qui, ora.
Ma se è vero -persecuzione, catartica mania- che un sistema si pone a decidere a monte un codice segnico fuori dal quale non si può uscire per dire le cose, anche nella più aspra protesta, noi su questo sistema possiamo soffiare il nostro vento, quello che fa parlare le foglie e solletica la spina dorsale, dobbiamo avanzare adesso la nostra epidermica destabilizzazione, in un ambiente dove impera il politicamente corretto vogliamo rompere i coglioni, vogliamo aprire i cuori.
Non si ravvisi alcun intento distruttivo. Non siamo contro i docenti o contro le lezioni: la voglia che ci muove è anzi ri-costruttiva, quello che si tenta è una riedificazione dell’io e di quel territorio dove l’io si spande. Vogliamo passare una bella mano di colore.
Convinti di intaccare anche la sostanza delle cose, il nostro lavoro punta a tutta prima sulle forme: chiunque può accorgersi, con virtuosa esibizione di banalità, che esistono molti modi di dire le cose, diversi linguaggi. Con questo decalogo ne proponiamo uno non nuovo -in sapore di dadaismo- ma abilmente dimenticato dalla nostra pulita benpensante scienza della comunicazione. Perché imprevedibile, difficilmente categorizzabile, non controllabile: l’atto mangiamerdista non è un articolo, non è un’improvvisazione teatrale, non è vandalismo, non è un gelato allo zabaione, forse.
Forse, queste azioni non sono che una sorta di minuto cuneo sociale fattivo, una riconquista del diritto di trans-gredire, un cambio di direzione che ci è altrimenti precluso da binari imposti dalla consuetudine. E tutto ciò su un piano per lo più simbolico: non recano queste azioni reale danno a nessuno e ciò nonostante sanno cambiare -per la durata del loro esistere: è questo, volutamente, il raggio della loro influenza- la situazione concreta delle cose. Noi si va avanti a pane e vino, non a metafisica. Forse.
Forse sono una vera e propria espressione artistica: poetiche nel senso più vero queste nostre azioni che, prodotte dalla crisi, sono per contrasto espressione di una prepotente rinascita, di una primavera che non si ferma al giardino antistante alla mensa ma che entra anche nelle aule, non solo sotto forme di generose scollature muliebri, ma anche come brezza giovanile, come fustigazione esistenziale, come squillo di tromba. Forse.
Forse tutto ciò e tutt’altro, forse, e pure senz’altro manifesto previo, siccome assorbenti esausti, non ci resta che arrendere ai fatti queste note di traduzione, forse, non aggiungere controindicazioni a quelle che già detterà il nostro buon senso e lasciare quindi a noi, o anime impavide, la pratica del decalogo mangiamerdista.


Il decalogo mangiamerdista

1. l'aquirente

Un uomo con indosso un grembiule e un sacchetto entra in un'aula durante una lezione e urla (meglio se con accento napoletano o toscano): -Un panino al crudo e una coca light-. Il complice seduto tra gli studenti si alza e dice: -Sono per me-. Si avvicina all'uomo-grembiule lo paga prende il sacchetto ed entrambi se ne vanno per vie diverse e traverse.

2. il supergiovine

Il supergiovine entra con la moto da cross in un'aula (possibilmente la t4 passando dal prato) prima che inizi la lezione. Quando il prof arriva il supergiovine accende la moto, dando violente accellerate ogni qualvolta il prof manifesti l'intenzione di parlare, sovrastando così la voce di quest'ultimo col suono più supergiovine che ci sia: il rombo assordante di una moto da cross! Il supergiovine continua nella sua azione fino alla fine della lezione, andandosene poi impennando.

3. la torcia umana

In aula un soggetto si dà fuoco al braccio (ovviamente adeguatamente protetto, o anche no) e inizia a correre avanti e indietro urlando: "Aiuto! Aiuto! Sono la torcia umana!" oppure: "Brucerete tutti a coppie di tre!". Finale in cenere.

4. nostalgie inizio secolo

In costumi da bagno anni '30 comprensivi di: canottiere rigate orizzontalmente, pantalone semi lungo, reggicalze a caviglia, calzino, scarpa e baffo; passeggiare nei meandri dell'ateneica struttura, soffermarsi di fronte ad una finestra ed esclamare indignati: "non esistono più le mezze stagioni!"

5. 175 minuti

Uno entra a lezione e si blocca in piedi proprio davanti alla cattedra o proprio in qualsiasi altro posto, postura a piacere, e lìvi rimane immobile come di sale per 175 minuti. Vibratore anale.

6. il duello

Due soggetti vestiti da nobili inglesi si raffrontano in uno dei corridoi dell'università. La tensione sale (possono contribuire altri complici fino a formare un assembramento di curiosi con tanto di scommesse e venditore di bibite). Giunge infine mezzogiorno e al battere del dodicesimo rintocco delle campane (qui sta il problema, a Giurisprudenza so che si sentono le campane, a Lingue non so) i nobili inglesi estraggono e sparano.
Le possibili armi:
-pistole finte
-pistole vere
-pistole vere cariche
-pomodori verdi fritti
-tovaglioli
-fette di mortadella
Concluso il duello un paio di persone portano via il cadavere (vero o finto a seconda dell'arma) del nobile inglese perdente, mentre il vincente se ne va al bar a bersi una spuma.

7. felicità

Lezione di filosofia. Si entra in gruppo, 5,6,7 non importa. Dopo qualche minuto dall'inizio della lezione si iniziano a dare i primi segni di impazienza e sconforto. Ci si accascia sul banco, si portano le mani alla testa, si sbuffa, si getta a terra un guanto con stizza, un paio si alzano e se ne vanno visibilmente delusi. Un complice inizia a singhiozzare. Al culmine dell'insoddisfazione uno si alza e dice: "No ragazzi, così alla felicità non ci arriviamo!" e insieme ai restanti complici si alza e se ne va sconsolatissimo.

8. non possiamo non dirci americani

Ignudi, non sporchi, controllare le condizioni del tempo sopra il giardino. Proclamare con timbro baritonale: "non possiamo non dirci americani". Quindi uscire. E con amore, in numero uguale o maggiore a due, accoppiarsi sopra il giardino e sotto il tempo che sia, usando tutte le dovizie per godere e far godere, senza trascurare nessuna concavità o convessità proprie e altrui.
Ah, l'amour! Ah, l'america!

9. te la sei cercata

Si entra in numero da 5 a 42, con spranghe e catene, e si pesta a morte il primo che capita a tiro. Proprio fino alla morte.

10. Leccatemi la fava

Durante una lezione uno invecchia fino al punto di perdere tutti i denti. Poi si alza, si fa la cacca addosso, e nello sconcerto generale biascica qualcosa, come:
- giovinastri senza vergogna, vergognatevi.
- mi sono fatto la cacca a dosso.
- aiuto. Ho le rughe. Leccatemi la fava.
- l'ho visto, è scappato in quella direzione.
- cosa devo dire?
Poi si denuda, e spicca il suo fallo dal corpo come un mango maturo.



Il tacco: non sense


E invece no. Non tanto il danno l’occhio pedante e critico vede, non tanto il danno la schiena pavida e inane teme, non tanto il danno. Ben prima, ben prima, non si vede e non si teme. Più facile eludere, sdrammatizzare, ben più facile ridicolizzare e minimizzare: inutili questi spasmi creativi, infantili e privi di senso. È questo che il vostro cervelletto non accetta, è questo che vi fa tremare, miseri omuncoli.
Non attacca. Non ci entro più in questo paludoso lago di retorica, troppa gente, fra il piscio dei mocciosi marmocchi grufolano greggi di bagnanti sudati e io no, io non mi voglio bagnare ancora. Eludo, ridicolizzo, nuoto via.
In questo porcileo sguazzare leggo un affanno tipico di voi umani: la ricerca esasperata, ansiosa del perché terrestre. Com’è ozioso tutto questo, quanto è vecchio.
Riscoprire il sottile gusto del non-sense, la libertà dalla gabbia dell’intenzione dichiarata, convincersi che il significato sta sempre altrove, mai univoco. Sentire che le cose sanno nutrirsi di sé e bastare a sé stesse pure senza ratio umana a dettare la traduzione e assegnare il valore, a determinarne dignità d’esistenza.
Questa la rinnovata forma mentis che vuole creare il nostro decalogo, grappolo di succulenti attimi il cui senso -il cui sapore- non si esaurisce in quello che si può spiegare a parole.
Perché il senso di questi attimi d’uva, distillato, è molto meno forte del loro contingente accadere.
Dovete andare, anime belle, dovete fare: interi vigneti ci aspettano, e per ridare vita alla vita non c’è che mangiarsela, a bocca aperta, acino per acino. Adesso.

ASSEGNISTA SEI IL PRIMO DELLA LISTA

intervista a Paolo Scattolin, assegnista di lingua e letteratura greca
le interiora redazionali tutte

Con questa riforma, che peraltro si pone in continuità con quella precedente, viene a nostro parere gravemente danneggiata la condizione di tutte le componenti universitarie, dagli studenti ai professori.
In particolare, in quanto assegnista, quanto pesa questa riforma sulla tua professione, sulle tue prospettive?


Premetto che per i professori non cambia quasi nulla. La novità più simpatica è il raddoppio dei canali per il reclutamento: invece dei concorsi locali finti avremo una idoneità nazionale e poi un concorso locale finto.
Per i precari a vario titolo (dottorandi, borsisti post-doc, assegnisti, cococo, anzi kokoko col kappa che fa più rivoluzionario) non cambia nulla sul momento e quasi tutto in prospettiva: continueranno ad esistere le attuali forme di precariato con in più il ricercatore a tempo determinato per anni 3+3 senza che il passaggio a un ruolo a tempo indeterminato sia profilato in alcun modo. È vero che i ricercatori strutturati come li conosciamo oggi andranno a esaurimento dal 2013, ma non c'è nessun obbligo per la facoltà di bandire questi posti e non piuttosto quelli precari.
D'altra parte la riforma è a costo zero, dunque immaginate un po' voi cosa faranno le facoltà alle prese con un budget limitato. A VR si scannano sul costo delle ore extra che gli strutturati fanno per coprire le necessità didattiche, figurati se hanno in mente una politica a lungo termine di apertura ai giovani. Termino con una chicca: contro il contratto nazionale che non prevede la didattica se non pagata a parte, a VR i neo-ricercatori strutturati hanno obbligo di didattica non pagata per 60 ore.

Com'è andata a Ferrara al 1° Convegno Nazionale sul Precariato nell'Università e nella Ricerca ?

Il sito è www.unipre.net, tra poco saranno disponibili i documenti ufficiali.
Difficile riassumere. È emerso, dati alla mano, lo squilibrio fortissimo tra la base e il vertice della 'piramide' universitaria: dal 1997 al 2003 gli ordinari sono aumentati del 34%, gli associati del 15%, i ricercatori dell'1,8%.
Pare che partirà una anagrafe dei precari promossa dalla stessa CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ma anche noi precari dovremo darci una mossa. L'anagrafe è la base per promuovere forme di sindacalizzazione (al momento solo la CGIL ci sta a sentire). Altre proposte: valorizzazione della ricerca presso impresa e pubbliche amministrazioni; una nuova legislazione sul lavoro che limiti il tempo determinato e, ovviamente, i kokoko, e dia a tutti eguali diritti (maternità, malattia etc.). Si tratta di vedere se l'Unione ascolterà e saprà interpretare queste esigenze.

Come rispondi alle provocazioni lanciateti da più parti: "perchè sei così brutto?"

Forse perché alla bruttezza esteriore corrisponde una fulgida interiorità, come mi suggerisce l'ultimo Bacio Perugina che ho scartato. A proposito, "perché" va con l'accento acuto.

Il tuo giudizio sulla mobilitazione studentesca di questi giorni in tutti gli Atenei d'Italia, in particolare a Verona. Cosa pensi dell' immobilità dell'istituzione universitaria veronese nei confronti di tali iniziative?


Il giudizio è positivo: per VR è stata una novità. Naturalmente ci sono state delle ingenuità, però voi siete riusciti a porre dei quesiti e avete preteso uno spazio non virtuale dove poterne discutere. Purtroppo molti, troppi universitari non pensano neppure che l'Università è anche loro e che in questi anni ci si gioca una buona fetta dell'avvenire, e che dunque riflettere sul sistema di istruzione è fondamentale. Trovo sconcertante che alcuni rappresentanti degli studenti si siano addirittura opposti a questo movimento spontaneo, senza peraltro proporre nulla di alternativo.

Preferisci la carta igienica liscia o quella ruvida?

Fui, un tempo, ruvido. Ora scopro in me un'anima gentile.

Tu, come tutti, morirai.

Il mio avvocato mi rassicura del contrario: riusciremo a cambiare la legge di natura in tempo. Inoltre ho buoni ascendenti familiari: una volta un mio zio completamente imbriaco mi ha confidato "mi son come un dio"!

MEZZOBICCHIERE (carne)

di Andrea Masotti e Michele Barbolini

Il punto: per una mitizzazione dello studente in rivolta (il bicchiere mezzo pieno)

Si è mossa molta carne in questi giorni, siamo sgomenti.
Ma cos’è accaduto perdiana, è accaduto tutto senza precauzioni, con foga animale, presi tra il capo e il collo passanti occasionali morivano di crepacuore ad ogni angolo di strada, malcapitati avventori si bloccavano guardinghi col pelo ritto sulla schiena, cos’è accaduto, cos’è accaduto, è accaduto che l’istinto del giorno, un raggio, ha rivelato corpi dove si credeva notturna desertità, dove alpiù mandrie di vacche nere, tutte sopite, tutte uguali, ma cos’è successo, cos’è successo perbacco, è successo che masse di gomiti e bulbi oculari hanno cominciato a stiracchiarsi con l’impeccabile stile dell’elefante nella cristalleria, è successo che un fiume di capelli biondi neri bordò madreperla ha inondato le stente aule, è successa la vita.
E perché mai? Ma cosa mai?
Neanche fosse domenica, neanche fosse paesello, neanche fosse campana, che lingua rintocca contro dente e palato e ci è toccato svegliarci tutti, siamo sinceramente sgomenti.
Abbiamo visto cose inaudite. Abbiamo visto ascelle arrabbiate spezzare il sole del pomeriggio ottobrino, natiche poderose conquistare il giardino dell’università, abbiamo sentito autorevoli petti parlare dalle impervità di un palchetto di legno, carne fresca e indignata: eroiche mani, stretto il nostro presente universitario in sicuro pugno, mani adulte e mani giovani, di qua e di là della cattedra, hanno cominciato a pugnare.
Inarrestabile corrente di carne fresca e indignata passa non si arresta ci porta via, sradica rettorato e istituzioni, contagia di rabbia studenti professori bidelli fumatori camminatori solitari, passa e porta tutti via, porta tutti giù, a solleticare la spina appenninica fino a esplodere in vorace cascata a Roma, laggiù, nella capitale arroccata in intoccabile empireo, in quirinale, arroccata a governare senza senno, a riformare.
Siamo sgomenti.
E intanto qua, intanto anche qua, pure qua, cos’è accaduto mai, secolari dormienti in asburgica culla ha rovesciato nella coscienza questa prepotente mareggiata di scapole e cosce, nasi chini al dogma della lezione come soldati silenti in tristi camerate questa onda di fieri zigomi ha risvegliato.
Ma che hanno fatto, chi sono, da dove sono venuti?
Polsi disperati, dita ribelli, cos’hanno fatto mai, hanno cominciato a impastare come pasta la forma mentale del nostro studente bambino, a massaggiargli le spalle del pensiero, mai Verona aveva visto tanto, cose inaudite, abbiamo visto aule magne riempirsi di muscoli e sangue come otri, abbiamo visto aule studio cambiare il vestito e traboccare di nuova vita, abbiamo visto.
Chi insegna, e chi di cultura si nutre, abbiamo visto insieme, pance incazzate, labbra credule, fronti appassionate: e non si fermano, e noi sgomenti, e non si fermano qui.
Pergiove.

La croce: per uno smadonnamento dello studente rivoltato (il bicchiere mezzo vuoto)


Sgomento sì, l’altosilente parola invoca sbigottimento e perplessità melliflua, da modellare a piene mani a mo’ di pongo equestre. Abbiamo visto ingenuità signorinostri, l’ingenuità del bimbo appena desto che cerca la tetta ad occhi chiusi, sbatte sull’addome e si fracassa prepotente lo zigomo sinistro. Abbiamo visto l’angelica creatura universitiera con candore primaverile parlarci di buona educazione e formalità burocratiche, abbiamo udito facezie sul bon ton e i permessi che verbigrazia van dimandati con colletti inamidati che spaccano il respiro nella strozza. E abbiamo visto e udito con sgomento sulfureo il venir meno al richiamo della terra, alle tradizioni del bifolco ma pur sempre saggio popolano, del contado che raccomandava a noi veneti di darci alla vigna e suggere il frutto fermentato di uve grappoliformi di cogliere quel nettare struggente quando che stilla dal frutto altorecato. “Giammai” udimmo inveire incontro a noi, “giammai il nutricamento peccaminoso avrà luogo finchè vivrò ed avrò sacra protestate in esto loco”. Ciò, sodali, ci fu detto, e detto fatto mutammo il nettare in fruttifero succo proibizionista e ruscelli di pompelmo ed albicocca si riversarono in bicchieri di fortuna per meglio sciogliere nel palato torte caserecce e salamelle di stagione.
Ingenuità s’è detto, ma anche macchinamenti arditi. Noi che fummo ala giacobina già nella Parigi robespierrica fummo oggetto di obbrobriose accuse. “Riformisti!” ci fu detto a destra e a manca, per lo vero più a sinistra, a sinistra e a manca, a manica. Ci fu da prender posizione, ci sdraiammo, non andava, si provò a gambe incrociate ma s’informicolavano, si provò quella dell’orso. Ci furon da sventare giullarate poco accorte, malintesi funambolici, assalti filosofici, dibatti ermeneutica, e concistori esorbitanti.
Per noi che abbiamo visto coi nostri sette occhi il grido s’alza unanime e cogente, come il corvo di Allan Poe : mai più. Mai più demagogismi, mai più politicismi isterici, mai più occupazionismi aprioritari, mai più ribaltoni mediatici e fuga dei microfoni. Mai più pescinfaccismo.

E certo è che s’è stato quel ch’è stato chi ha avuto ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato e ha dato ma il passato docet non si scorda, e il solco è men confuso si fa nitido, la strada di molte s’è fatta una, mai più deviazionismi e curve a gomito, mai più ruote fra i pali e bastoni in ogni dove. Noi s’è imparato e noi s’è molti la contrada è larga la tavola imbandita, di merda ce n’è per tutti.

la riforma presa da dietro

di Riccardo Artoni


Se la politica del governo Berlusconi può essere descritta approssimativamente dalla definizione “curare gli interessi di sè e dei propri amici”, non è così chiaro quali siano, in questo caso, gli amici. E pare a chi scrive che questa nebulositа caratterizzi un po’ tutta la politica di questo governo in materia di istruzione.

Di fronte alla totale avversione del mondo accademico, chi vuole questo DDL? Probabilmente una sua radice profonda sta nella necessitа di adeguare l’universitа italiana ai tempi, e nella necessitа di ridefinire ruoli e competenze in una realtа un po’ in decadenza. Necessitа avvertita da piè parti del mondo accademico stesso. Baronati eccetera non sono, per così dire, proprietа di un “bel tempo antico”, ma nuclei di potere che distorcono a loro modo gli indirizzi della libera e aggiornata ricerca e della didattica di qualitа.
Si dice che il Ministro abbia bisogno di almeno una leggina per dimostrare agli elettori milanesi di aver prodotto qualche cosa nel corso del suo Ministero (e a questo si dovrebbe l’accanimento verso l’approvazione).
Ma tutto ciò resta fuori dal nucleo principale della nostra (presuntuoso/a) domanda, riguardante le qualitа intrinseche del DDL: ovvero la politica del taglio alla spesa delle universitа pubbliche, la precarizzazione delle risorse di docenza, la riduzione della possibilitа di ricerca pura e libera, l’ingresso con forza delle aziende nel mondo accademico..

Su questo punto, negli ultimi tempi, l’ANDU (associazione nazionale docenti universitari) tira in ballo spesso il tema del complotto. Ed un nome che si sente pronunciare è quello della famigerata Associazione (o Fondazione) Treelle. Secondo alcune tesi chiaramente non ufficiali, tale Fondazione, il cui nome sta per LLL ( Long Life Learning - per una societа dell’apprenidimento continuo) e che da statuto dichiara di voler svolgere attivitа di lobby trasparente, per consigliare alle istituzioni politiche in materia di education (sic), sarebbe la vera fonte di tutti i provvedimenti degli ultimi tempi, così duramente criticati da tutta l’opinione pubblica.
Per il momento, basti chiarire che questa associazione, fondata da Umberto Agnelli, vanta tra i suoi membri nientemeno che Umberto Eco, Tullio De Mauro (ex ministro dell’istruzione), Piero Tosi (presidente della conferenza dei rettori CRUI), Giuliano Ferrara, il (forse) senatore di AN Valditara (relatore del DDL), e altri piè o meno noti.
Una lobby trasversale, dunque.
Le accuse mosse contro Treelle sono di voler favorire poche scuole di eccellenza private o pubbliche molto finanziate (e controllate da alcuni suoi membri, come U. Eco)…
Un altro nome mormorato ad alta voce è quello della fondazione Magna Carta, di cui al momento non so dire molto.
In relazione a ciò, da parte del mondo accademico la protesta va anche contro la trasversalitа delle opinioni riguardanti la riforma del sistema universitario italiano. Per avere una prova di come certe opinioni siano sparse per tutto l’asse politico, basta dare un occhio al documento scritto dal Forum per l’Universitа e la Ricerca promosso dai DS, documento datato 19 ottobre, che vuole dare le linee per la politica in materia di istruzione della prossima legislatura, e vale come traccia per il programma elettorale.
Parole d’ordine critiche, in mezzo ad alcune buone quanto stantie proposte, di questo programma sono: gestione aziendale dell’Universitа, piè finanziamenti per le scuole d’eccellenza, contratti a tempo determinato, localizzazione degli atenei con particolare attenzione alla realtà economica del territorio. Fate vobis.

Angolo apotropaico

di Marta Menditti

L’angolo apotropaico propone una tondatortaall’Elio perché entri nei polmoni chimicità di minor peso specifico e il cervello inizi a fluttuare sbadigliare boccheggiare e infine librare volare oltre ogni psichedelica.
Bè per ogni tondatorta che si rispetti necessitano pirofile assai levigate e geometrizzate, naturalmente la rotondità è inscritta in ogni parallelepipedo che si rispetti, così prima di tutto recuperate fondi recipienti e zavorre pesanti poi si nuoterà… nell’aria…
Vale, ahora se puede empezar!
Cercate nelle vostre credenze piccoli chiodi di sogni, possibilmente essiccati durante la luna calante dopo il solstizio d’estate. Raccogliete verso le idi di marzo tracce di tuberi simili alle comunissime genzianelle minori e cipollotti di cascata per il loro sapore agrodolce.
Lasciate poi i raccolti alla loro naturale detumescenza finché non raggiungono il caratteristico color violaceo tipico del loro avvizzimento.
Cospargete genzianelle e cipollotti con polveri pesanti e fini nitrati di bosco. I migliori si trovano lunghe le colline del Brennero, infine farcirteli dei chiodi trovati e se sono piuttosto carnosi, appassiteli a fuoco vivo facendo rilasciare il loro succo.
Una volta completato l’assemblaggio sfoderate pirofila e compasso e tentate l’inscrizione. Se dovesse risultare difficoltosa le mani possono essere un utile strumento di lavoro.
Finita anche questa operazione infornate il tutto e attendete l’ascesa. I fuochi fatui del vostro forno cardiaco potrebbero portare a notevoli evoluzioni fino alla sperata ascensione.
E se poco di questo vi riesce e la fame vi resta…
Eccove la ricetta della mia nonna che lei ne sa una più della Germana

La Tiella pugliese per 5 sani divoratori

Ingredienti
1 kg e mezzo di cozze spagnole( sono quelle più grandi)
8-9 patate di media dimensione
riso circa 1 bicchiere a persona
pomodorini
aglio
prezzemolo


Pelate le patate e tagliatele a pezzetti non troppo grandi per avere una cottura omogenea con il riso. Dopo aver tritato aglio e prezzemolo cospargete le patate con questi e salatele.
Pulite le cozze, se non lo ha fatto chi ve le ha vendute, togliendo le incrostazioni più grosse sui gusci e quel filo che esce dai gusci e le tiene unite quando sono allevate. Per aprirle, prendete una pentola e versatele dentro. Una volta messa sul fuoco vivace copritele e dopo pochi minuti le cozze si apriranno. Abbiate fiducia. Metà apritele tenendo il mezzo guscio a cui è attaccato il mollusco, l’altra metà sgusciatela completamente.
Prendete una pirofila e a strati mettete patate, cozze con gusci e senza, riso e i pomodorini tagliati a metà.
Coprite la composizione random, con acqua leggermente salata e con quella che hanno messo fuori le cozze, filtrandola con un tovagliolo di stoffa. L’acqua non deve essere eccessiva sopra il composto, deve appena coprirlo. Prima di infornare coprite la teglia con la carta stagnola.
Ficcate in forno a 200 gradi per circa 1 ora e mezza , e 10 minuti prima della fine togliete la stagnola e lasciate che si formi una crosta dorata. Poi estraete e maggnate!!

consiglio degli (agli) studenti

io comunque mi dissocio
di Riccardo Costi


L'assoluta mancanza di idee che dall'alto di un baobab, abbronzata mi osserva, influenza e destabilizza con uno sguardo la materia grigio-beige che risiede nella parte alta del corpo, come il calore di una padella bucherellata arrostisce le castagne sapientemente preparate applicandovi un taglio deciso al centro per non farle esplodere.
Bistecca senza contorno servita in un vassoio di fortuna, arriva il traghetto mangiamerda, e sulla desolata savana di inutile vacuità che circonda la questione antimorattiana stende una buona impolverata di toner, e nella carne che forma i corpi han preso vita i punti e le croci di un movimento. Movimento delle fronde al passaggio di una brezza possente ma comunque fugace.
Dando ordine alle menti le cui idee sono situate nel magma sparso, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 e 10 suggerite azioni hanno preso forma insinuandosi tra le maglie incrociate della carta per giungere a voi, e lo sguardo di 12 attonite donnole presenzia la messa in onda di questo spettacolo della vita dove i luoghi vengono presi, smontati, rimontati e poi lasciati andare in un fragore di urla e risa estasiche accompagnanti gesti e movenze di un perduto modo di convivere la realtà.
Attività cerebrale, attività: si pensava alla morte ricordando la capretta tagliata a metà sul sottofondo di liriche ciuchine; si pensava alla morte riguardando quella corsa eternamente statica di colei che d'estate destata rifugge gli impegni impostasi; un attimo di attenzione: il secondo è servito! Come tavole imbandite, le menti attente, da troppo tempo aspettano la continuazione di questo desinare; ed ora, che i piatti fondi sono già stati lavati, forchette e coltelli alle mani preparatevi ad assaggiare ciò che è stato preparato. non sarà merda, di quella andiam ghiotti, una semplice bistecca senza contorno è ciò che vi offriamo ingannando l'attesa del ricco “dopo” abitato da speciali contenuti.
Se fame non è avvertita, almeno la curiosità di soddisfare un perchè affiora, dando modo all'eterea forma dell'operato di apparire non solo sotto le mentite spoglie di frasi e parole ma anche di segni, simboli e movimenti della matita animati da quello spirito comune che è proprio di queste pagine.
Procedendo verso la fine non vi è alcuna resistenza al normale svolgimento dell'esistenza, mangiar si deve; ma quando un palato non riesce a goder del bovin alimento, suggerimenti culinari in forma di pugliesi pietanze vi aspettano al varco.
Utilità, non solo traghetticità, ma quando riusciremo ad istituire l'angolo del muscolo vitale capiremo che la vita ha fatto il suo corso, il corso ha fatto la vita e appendendo tastiere, scalpelli e calamai ai chiodi, il vapore cesserà di uscire dal natante.

Ma ora ce n'è ancora tanta di merda da mangiare e senza alcuna esitazione chiedovi: quando c'è la diarrea è giusto continuare l'allattamento al seno?