pudenda

martedì 25 novembre 2008

In punta di manganello

Primo concorso di poesia securitaria

clicca sull'omaccione per saperne di più.


CONCORSO ESAURITO
il vincitore giace nel numero 4

Lacan system v3.0

Come ogni domenica anche oggi mi sono recato allo stadio per vedere la partita con il mio amico Jacques. Ci si diverte molto a vedere i calciatori giocare, e quando stiamo insieme io e il mio amico non si tace mai. I commenti si sprecano, dai più morbidi a quelli più ruvidi, non risparmiamo nessuno, e in certi momenti finiamo con il commentare per intero il match a cui assistiamo. Le partite migliori, si sa, sono quelle che regalano molti gol e molti clamorosi errori. Io e Jacques abbiamo visto succedere di tutto in campo, traversoni, falli da dietro, entrate dure, uscite avventate, ma le cose più interessanti si vedono in tribuna: vecchietti claudicanti, anziani arzilli con le gote arrossate dalle frequenti bevute al baretto, bestemmiatori professionisti, in grado di trovare ogni domenica una nuova via per offendere il Signore; i bambini delle scuole calcio, con le loro tute scudettate nuove di zecca, che si rivelano spesso vecchi tromboni in potenza non appena aprono bocca; le ragazze dei giocatori (...). Ma oggi a vedere la partita c'era pure un prete. Sì, proprio così, un prete. Aveva un cappello tondo dalle larghe falde, un corpo magrissimo avvolto in un lungo abito nero che copriva le sue gambe accavallate, il viso pallido e allungato la cui espressione era minimamente schermata da un paio di occhiali da sole dalle lenti piccole e circolari. La sua bocca era larga, e in essa, sommo stupore, affondava un piccolo lecca lecca rosso retto da un'asticella di legno lunga almeno venti centimetri.
"Sai come la penso." disse Jacques. Gli risposi: "Lo so, non dire nulla." Stavamo sì guardando la partita, commentandola, ma la presenza a pochi metri da noi di questo prete ci distraeva enormemente. Ogni tanto mi voltavo a destra e capivo che lui mi stava guardando dato che, nonostante fosse sempre rivolto in direzione del campo, nasceva un esplicativo sorrisetto sulle sue sottili labbra. Al 65' arrivò il gol, un gol bruttissimo, nato da una papera colossale del portiere. "Il portiere -considero io piegandomi a sinistra con tutto il busto verso Jacques- l'ha proprio battezzato fuori questo campanile..."
"Ben detto. Mi piace questa." rispose ad alta voce il prete voltatosi nel frattempo nella nostra direzione, chinando poi lievemente il capo e calandosi gli occhiali sul naso fino a far intravedere la mezzaluna superiore dei suoi osceni e provocanti occhi, stringendo tra le labbra richiuse il lecca lecca.
"Bene, io me la squaglio." disse Jacques guardandomi negli occhi dopo un momento d'immobilità. Così fu, e io lo seguii di buon grado senza voltarmi indietro.

lunedì 24 novembre 2008

l'ultimo Tiberio


Il mio cane non c'è più.
E' morto, non è morto, se n'è andato. Tornerà.
Domande che ancora oggi, dopo quasi due mesi dalla sua scomparsa, non smettono di infilarmisi tra i capelli quando mi addoccio, di cadermi nella minestra durante la cena, di scivolarmi tra le dita, mentre scrivo.
Ancora controllo la ciotola, non rimossa, prima di uscire; ancora faccio attenzione, nel buio in fondo alla scala, a non inciampare nella sua assenza; ancora mi fa male, un male che mi artiglia la pancia, e sento nella notte, mi sembra di sentire, sento il suo abbaiare interrogativo fuori sul piazzale; e vedo, mi sembra di vedere, vedo: il suo fagotto d'ombra, con la coda dell'occhio, ai piedi del divano.
I sensi ci mettono più tempo ad accettare, più dell'intelletto, anche di più del cuore -le dita che il monco sente ancora, il sole cieco che rimane negli occhi.
Gli volevo bene, al mio cagnolino.
E dov'è adesso, soffre, non soffre più. Tornerà.

Nella cesta dove dormiva ho trovato un foglietto.
Lo apro, lo leggo.



"Occorre perseguire l'abbruttimento di sé.
Bisogna, pazientemente, ostinatamente, ricercare l'abbassamento della propria persona, peggiorare -sotto tutti i punti di vista.
Abbandonare il corpo al sudiciume e alle storture, dimenticare l'intelligenza e lasciarla avvizzire, concedere l'animo alle più sporche nefandezze: precipitare nella meschinità che non conosce ritorno, deperire, incattivirsi, chiudersi, muffire.
Occorre farlo, per il bene del mondo.
Il perchè è presto detto, l'equazione è semplice: ogni cosa trova una propria dimensione qualitativa solo in funzione del confronto con ciò che le è altro, con ciò che le è opposto -se ha uno sfondo su cui stagliarsi. Lo scarto è condizione e cifra dell'essenza: non esisterebbe "fuori" se non vi fosse "dentro", la vita si svuoterebbe di concetto senza la morte a cui si oppone, non ci sarebbe "ciotola" se non in contrasto con ciò che "ciotola" non è.
Questo è elementare e inoppugnabile.
Il resto viene da sé: il mondo, il bene e il male del mondo, a loro volta sono definibili solo secondo percezioni contrastive. Per questo è esatto lavorare di riduzione sulla propria persona, svilirsi fino alle ultime conseguenze: a quel punto, nel raggio fisico della nostra esistenza, il mondo attorno sarà oggettivamente migliore, innalzato dal nostro abbassamento. Più splendido, quanto più turpi saremo diventati; più pacifico, quanta più violenta cattiveria saremo riusciti a vomitare; più brillante, quanto più ottusi ci saremo costretti ad essere.
Nell'odio, nel vilipendio, nella derisione della gente -e di ogni possibile dio- solo noi, nascostamente, sapremo leggere i segni della gratitudine."



In un angolino del foglietto, mezzo coperto da una macchia di caffè, ho poi decifrato questo breve elenchino, non so dire quanto c'entri con il resto:




Pome:

_ dormo
_ crocchette
_ piscio
_ acqua
_ dormo
_ cacca
_ acqua (piscio)
_ dormo
_ Renata
_ crocchette
_ piscio
_ dormo





Ancora adesso mi capita di rileggerlo, quel fogliettino dalla scrittura incerta.
Leggo ciò che c'è scritto, provo a capire, ma il pensiero scivola via, scivola a lui, al mio cagnolino: alle corse che facevamo nel campo, alle buffe traiettorie con cui evitava i gatti del cortile, a come cercava le mie carezze.
Cagnolino mio, cucciolo fino alla fine, quanto mi manchi.
Il moto di pianto che mi sale dal fegato si ferma sempre in tempo, prima di tradursi in lacrima: guardo il bigliettino che stringo tra le dita
-che pensiero stupido, mi dico, che scherzo cattivo: non può certo averlo scritto lui.
I cani non sono capaci di scrivere.

giovedì 13 novembre 2008

iL NoMERO 3 e MEzo


Voilà





La fame nel mondo, a quanto pare, non era sufficiente.
Donne, è arrivato l'arrotino!
E cos'è quella cosa che gli spunta dalla patta?
Ebbene sì,
il Terzo Numero e Mezzo è tra noi.


Calma, calma, sedute. Ce n'è per tutti.
Dove trovarlo? Ovunque, anche un pò più in là.

Butta l'occhio nelle più nefande librerie di Padova.
Addentrati nei più disperati lounge pub di Bologna.
Fruga nei giubbotti dei più ridanciani fascistelli di Verona.

A Roma, nella grande onda di venerdì 14,
potresti anche averci incontrato.
Quindi controlla,
accanto al tuo water potrebbe già esserci una sorpresina.


Facce sapé.


Si autorizza moderato entusiasmo
ai sensi del d. lgs 276/2003 con provvedimento del 13 dicembre 2004 prot. n. 1188


lunedì 10 novembre 2008

PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA

A Francesco

di Carlo Michele Pigozzi

Martedì
Da due-tre giorni ho la tosse. La patologia ha cominciato a manifestarsi domenica mattina con un forte mal di gola ed una tosse secca che è perdurata tutto il giorno. Così la sera ho assunto per via orale dello sciroppo denominato: "Bisolvon Lictus". La sua funzione è quella di rendere più fluido il muco accelerando così il processo di guarigione. Ho continuato la cura anche per tutto lunedì con tre cucchiai di sciroppo, uno la mattina uno a pranzo e uno la sera. Questa mattina la tosse è un pò più morbida, però ha iniziato a gocciolarmi il naso.

Domenica
La tosse ora mi è passata. Ho giusto ancora un sottile strato di catarro in gola. Ma non è troppo fastidioso. Anzi mi fa compagnia. Quando mi sento un pò solo mi raschio la gola, come quando si vuole sputare, così quel sottile strato di catarro mi finisce in bocca. A quel punto inizio a giocarci, facendolo passare di dente in dente per poi inghiottirlo di nuovo e riportare in gola quel sottile strato di catarro. Ho anche dato un nome a quel sottile strato di catarro. L'ho chiamato Francesco. Io e Francesco siamo ora buoni amici e spero tanto che Francesco non mi lasci mai. Per essere sicuro che Francesco stia sempre con me, tutte le notti mi faccio una doccia fredda ed esco bagnato e completamente nudo in giardino a guardare le stelle con Francesco. Così lui è contento e non mi lascia mai solo.

Skip Intro

"il suono delle sirene e delle ambulanze
dovrà sovrastare quello delle auto di polizia
e carabinieri."
Francesco Cossiga


L'articolo d'apertura è molto importante, il lettore ne trae la prima impressione e quindi ne va di tutto. Il Traghetto Mangiamerda, cos'è? Due parole: Caldaia! Caldaia! Caldaia!
Rileggiamo quanto scritto finora: l'articolo d'apertura è molto importante, il lettore ne trae la prima impressione. Ma tu, lettore, non sei un facinoroso.
Il Traghetto Mangiamerda, cos'è? Due parole: Caldei! Caldei! Caldei!

Sono giorni di tensione, di strategia. Il gatto selvaggio sta per esplodere. La maggioranza silenziosa è ovunque: riempie le strade, gli argini, le ciclovie. L'autunno è così caldo che i carabinieri hanno ancora le divise estive. Nei parchi i vecchi sorseggiano tamarindo. Lina Merlin ha appena presentato il suo decreto al senato. Scelba1 gigioneggia.

E ancora, nel cuore delle cose, il giovane sprizzato si riconquista, combatte, ricerca la giustizia studentesca. Non lo ferma il blocco, non lo ferma Mariastella, non lo ferma la crisi. Avanti così. E infine oltreoceano, Morgan Freeman è salito al potere per salvare il culo al pianeta terra.

In questo malinconico bailamme il Traghetto Mangiamerda, fino ad ora appisolato su una stufa, si versa un Ferro China Bisleri e sentenzia.

Madonne e cicisbei, ecco il terzo numero e mezzo. Il terzo -vedi riquadro all'interno- gira da mesi nelle nostre case. Il quarto gira con maggior fortuna nelle nostre menti. Sarà un monografico sulla città e il delirio sicuritario.
Nell'attesa, bagnatevi con questo pamphlet veterorevanscista: quattro paginette di rancori, sconclusioni e cha cha cha.


1 Maria Turchetto, De l'ouvrier masse à l'entrepreneurialité commune: la trajectoire déconcertante de l'opéraisme italien, in J. Bidet e E. Kouvélakis (a cura di), Dictionnaire Marx contemporain, PUF, Paris, 2001.

venerdì 7 novembre 2008

Nuoppa


Ci sono un italiano, un francese e un americano al bar. Tre uomini di mezza età, come si dice con più passato che futuro, ormai abituati alla vita nel mondo, ognuno a modo suo.
Sono lì per nessuna ragione precisa, tra di loro non si conoscono nemmeno. Siedono insieme al tavolino solo perchè l'ho deciso io, io che scrivo, e in effetti si guardano con un leggero imbarazzo, senza sapere bene cosa dire.
Il primo a prendere la parola, dopo un lungo sorso di Radler, è il francese: "abat-jour", dice. L'imbarazzo sale.
L'italiano vorrebbe andarsene, si capisce da come si muove irrequieto sulla sedia, si sente fuori posto e ha come l'impressione di aver qualcosa da fare, altrove, anche se lì per lì, se qualcuno lo interrogasse in proposito, non saprebbe bene dire che cosa.
L'americano nota il suo disagio e gli mette una mano sulla spalla: "hey man, quiet down. Sit and drink your drink. Shalla", gli dice sorridendo.
L'italiano sorride a sua volta, un sorriso un pò sforzato sulle prime, ma poi prende in mano il bicchiere di brulè e comincia effettivamente, piano piano, a sciogliersi. Guarda il francese, guarda l'americano, alza il bicchiere e pronuncia il brindisi: "a noi!"
Lo fa senza nessuna malizia, senza pensarci, "a noi" -come tu mi insegni- è una sorta di motto fascista, l'italiano però non ci ha fatto attenzione, gli è uscita così, senza volere, figuriamoci se lui. E infatti, posato il bicchiere, comincia subito ad arrossire.
Ad ogni modo né il francese né l'americano danno segno di essersene accorti, e pronunciano a loro volta il brindisi: "cheers!", l'americano. "le jeux sont fait!", il francese. Curiosamente, arrossendo a loro volta subito dopo. Ognuno per ragioni sue, immagina il lettore.
A questo punto va precisato che l'americano è abbronzato. Molto abbronzato. Diciamo pure -perdonatemi la parola- negro. Questo mette in una certa luce quanto è accaduto finora, e mette una certa luce su quanto accadrà nel prosieguo.
"Prosieguo è una parola molto bella" dice l'italiano, sempre attento alle cose. Il francese e l'americano lo guardano senza capire.
"I don't understand you man, I'm sorry. Non-parla-italiano. I know cieao, forza azzurri and... Mmm... What else.. Campanile! Campanile is italian, isn't it?" Ma l'italiano non lo sta già più ascoltando, guarda una macchia sulla camicetta del francese, ha una forma che gli ricorda qualcosa, la osserva per un pò prima di capire, avvicina il viso aggiustandosi gli occhiali, si avvicina tanto che il francese esclama "egalité!", ridacchiando. E' allora che l'italiano si rende conto: è una svastica. Chiaramente, una svastica, come non averlo visto subito? Si raddrizza sulla sedia, improvvisamente attraversato da una sottile inquietudine, da quel momento cerca di evitare di guardare il francese, ma intanto continua a chiedersi se davvero sia solamente una macchia, e ogni tanto l'occhio gli cade.
L'americano sta ancora parlando quando arriva al tavolo il barista, un grosso omone con due importanti baffi scuri. Molla un pesante ceffone sulla nuca dell'americano, poi parla: "volete qualcosa da mangiare? Grosso omone è una ridondanza bella e buona. E anche due baffi è un'inutilità tristemente entrata nell'uso comune." E molla un altro ceffone all'americano, ancora più forte. "Abbiamo una cucina povera, niente di che, sapete, gestione casalinga. Non è per economia linguistica. E' una questione di eufonia, e anche di logica." E giù un'altro ceffone, che questa volta è tanto potente da far sbattere all'americano la faccia contro il tavolo, con violenza. "Vi suggerisco le orecchiette, la nostra specialità. Modestamente, le migliori del paese. Avere due baffi è normale, averne uno, o più di due sarebbe l'eccezione. E in quel caso andrebbe specificato. Ma solo in quel caso. Altrimenti stona, stride. Fa male alle orecchie."
L'americano prende in mano il menù (che in spagnolo si dice "carta"), si gira verso il barista con un rivolo di sangue che dal naso gli scende fino al mento e dice: "io prendo le orecchiette. Ma se è possibile le vorrei con i cavoletti. Le cime di rapa mi rimangono nel gozzo. L'ultima volta non ho dormito per tutta la notte. E un bicchiere di Smack My Bitch Up"
"Smack My Bitch Up non ce l'abbiamo, mi dispiace. E non è nemmeno una bevanda, è una canzone."
"Allora mi porti un pitale colmo di merda"
"Va bene."
"Ma scusa, tu parli italiano?" Chiede stupito l'italiano.
"Sorry man, I told you that I don't understand you. Uno poco espanol. But no italiano, sorry."
L'italiano non capisce, e per un attimo ristà, interdetto. Prima di vedere come finalmente reagisce, è giusto che ci fermiamo un attimo, è giusto che vi spieghi. E' stato uno scherzetto, l'americano davvero non sa parlare italiano, sono stato io a fargli dire quelle cose, sempre io che scrivo, con un trucchetto che conosco, un giochetto con le dita. Anzi, guardate, lo faccio ancora.
Il francese si alza, e in rapida sequenza esclama: "arbre magique! Garage! Vive la France!" Poi si risiede e mangia il bicchiere. Mangiando il bicchiere si fa molto male, ovviamente non riesce a mangiarlo tutto in un boccone, lo spezza facendo forza coi denti, si ferisce le labbra, la lingua e la gola. Geme, ad un certo punto il dolore è eccessivo e si ferma, mette per un attimo il bicchiere sanguinante sul tavolo, un vetro gli si è fermato nella trachea, lo si vede spingere da dentro. Rantola, il francese.
E' in questo momento che il lettore capisce una volta per tutte a che gioco stiamo giocando. E' ancora una volta la vecchia storia del metatesto, siamo ancora ai tempi di Unamuno, non se ne può più. Sbuffa, inarca un soppracciglio, un pò compiaciuto di aver smascherato lo scrittore, un pò genuinamente annoiato. Ma continua a leggere: legge, in rapida sequenza, le parole "pelle", "Mitridate", "Reebok", "istericida", "nido", "sapone", "nuoppa", "vasellame" e "PortoVenere".
Succede tutto in quegli istanti, tutto in quegli istanti si esaurisce: l'italiano si alza con impeto e punta il dito contro l'americano, pronto a urlare la propria indignazione per essere stato preso in giro; il francese si tiene la gola con le mani e geme, tra i gemiti si riesce a intendere "Zinedine Zidane"; l'americano guarda il francese e per una veloce associazione di idee prende il tovagliolo e fa per asciugarsi il sangue sul muso abbronzato; il barista fa per rientrare in scena, si sente il suo potente vocione proferire "no more orecchiette!" ma tutto in quel preciso istante trova una fine: insieme, proprio (curiosa coincidenza) con-tem-po-ra-nea-men-te,
lo scrittore smette di scrivere,
e il lettore smette di leggere.

lunedì 3 novembre 2008

Momenti di panico ieri pomeriggio nel salotto di Questa Domenica.

Sotto lo sguardo atterrito di Paola Perego l'onorevole Giulio Andreotti ha avuto un malore dopo essere caduto su un paletto di legno che si è conficcato nel suo costato all'altezza del cuore.
Fortunatamente per il senatore a vita, non si trattava di legno di frassino.




Il Divo Giulio brandisce il temuto paletto di legno che, travestitosi da innocua penna biro, si è reso protagonista dell'attentato.

domenica 2 novembre 2008

l'acqua calda

sabato 1 novembre 2008

albaKiara



Mettete insieme Trainspotting, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Tre metri sopra il cielo, Pulp Fiction, Eyes Wide Shut, Thirteen, Paz!, Scarface, The Brown Bunny, uno spettacolo di Vito all'Arena del Sole, un concerto di Vasco, un video anni '80 degli 883, un porno amatoriale a caso e il vostro film preferito (sempre che non sia compreso tra i sopraindicati, e che non sia il porno amatoriale): eccovi servito ALBAKIARA.

La trama presunta: Bologna, giorni nostri. Una generazione in pieno sottovuoto generazionale si dibatte tra droga e riprovevoli relazioni postribolari. La protagonista, una ragazza che recita male pure quando corre, s'innamora - trovata molto originale - di un DJ, guzza con amici mascherati, discute tra sé e sé del concetto di noncuranza nell'igiene intimo. [...] Poco prima della fine Raz Degan, uscito dal circolo vizioso della dipendenza da Jägermeister, ci ricasca, ma stavolta col Montenegro.

"Questo film è cagna pure in trailer. E in foto."
Renè Ferretti