pudenda

domenica 31 maggio 2009

Bisognerebbe spiegarglielo

Io sono uno a cui piace dormire.
Sì, l'ho detto, che male c'è. Ha voglia Brunetta a dire fannulloni fannulloni. Io adoro dormire. La domenica per esempio, rimango a letto fino a mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo quando non mi chiamano i miei genitori. Mi chiamano ogni domenica per chiedermi se vado a pranzo e quando mi svegliano mi incazzo e non ci vado, se no ci vado.
Lo so, mi piace dormire, stiracchiarmi e godermi le ore di dormiveglia, quelle in cui sei tu che decidi cosa sogni. Mi piace dormire anche durante i film. Mi sono fatto certe dormite. Me le sono fatte coi filmoni, mica con robetta. Non si dorme sui filmacci o su le serie televisive da due soldi. Si dorme su roba di qualità. Stanley Kubrik, Barry Lindon, 3 ore: dormito; Sergio Leone: C'era una volta in America, 4 ore, dormito; James Cameron, Titanic, due palle, tre ore: dormito alla grande.
Meno male che con la fibra ottica mi scarico un film al giorno e ogni giorno ho un film da vedere prima di addormentarmi, anzi, mentre mi addormento.
è così che mi va la vita.
Poi la mattina mi sveglio, verso le sette e mezzo, un caffé macchiato, un'ascoltata al telegiornale e mi fiondo in bagno. In bagno ci sto una mezzoretta. Sì, perché anche quello è un po' dormiveglia. Poi vado a lavoro. Pausa pranzo e poi lavoro. Finisce alle sei. Palestra o aperitivo e poi filmetto.
Poi adesso ho preso il dolby e il plasma: due mesi per il dolby e cinque per il televisore al plasma. E mi faccio certe dormite.
Solo che ci sono quelli di sotto. Perché non bastavano quelli che stanno a fare l'amore tutta la notte, che quelli ce li ho giusto al piano sopra e tu-tùn tu-tùn tutta la notte. E basta, ditemi voi, che gusto c'è alle quattro di notte ancora a fare l'amore. Le cose sono belle quando ce n'è parsimonia, non quando ci si ingozza. Come con le cose da mangiare, si mangia poco ma bene. Il troppo stroppia, lo dice anche il detto, cosa fai l'amore fino alle quattro tutta la settimana. Ma questi sono studenti, te lo dico io, che hanno tempo per farle, queste cose, che non sanno cos'è la vita.
E se non sono in casa a fare l'amore sono di sotto in piazza a fare casino. Si sfogano, questi disgraziati, non hanno la donna e allora urlano e fanno casino tutta la notte. E non è che chiacchierano, strepitano, urlano. Gozzovigliano. Fino alle quattro di notte. Come quelli che fanno l'amore. Ma dico io, non ce l'hanno qualcosa da fare? Non possono impiegarlo in altro modo il tempo? Non ce l'hanno una famiglia che gli dice di lavorare? Perché questi non studiano più, è evidente. L'università fa schifo, danno trenta anche se ti scaccoli davanti al docente. che l'università italiana non funziona più lo capisci dai tuoi vicini che fanno l'amore tutta la notte o da quelli che ti gozzovigliano sotto casa. Ma ti sembra vita normale? Anzi, ti sembra vita? E il mio Dolby? Che ci faccio? Come mi addormento? Avrò il diritto di addormentarmi.
Poi non dormo, vado a lavorare, rischio di addormentarmi e se mi addormento ho Brunetta che se la prende con me, ma invece di prendersela con me, Brunetta, dovrebbe prendersela con loro. Con gli studenti, che fanno l'amore e gozzovigliano. Che non sanno cos'è la vita vera. Che non producono.
Ma io non capisco, non gliela insegnano a questi, cos'è la vita vera?

sabato 30 maggio 2009

PEZZA Episodio 22: Ci sono scelte che si pagano carissime

sorpresa!





A vostra disposizione.

sabato 23 maggio 2009

PEZZA Episodio 21: Uccise il gatto

Nome:
Cognome:
Nato a:
Recapito telefonico:
Titolo di studio:
Attuale occupazione:
Alberi:
Esperienze lavorative:
Cognome:




Penna blu, trinchetto.
Entro le 18.

sabato 16 maggio 2009

LE ECCEZZIONALI, FUNAMBOLICHE AVVENTURE DI GIUSEPPE ANTOGàNISTA

PARTE SECONDA- IDEE SOCIALI

di Claudio Maneclo


Alla domanda falsamente cortese dell’uomo coi baffi, Giuseppe Antogànista non si scompone.

Senza deporre il giornale ancora aperto davanti alla faccia bianchiccia, intenta una improbabile discussione.

Sorride, riflette un attimo sulla possibile formula di apertura e domanda con atteggiamento complice:

“ Lei ha sicuramente un’infarinatura del pensiero di Gian Giacomo Russeau, vero?”

L’uomo coi baffi aggrotta le sopracciglia (straordinariamente simili ai baffi e simmetricamente disposte 15 centimetri sopra di essi) e ammette:

“ Veramente no..”

Giuseppe incalza velocemente:

“ Orbene, il nostro caro Russeau, che a dispetto del nome sovietico era piuttosto francese, ha scritto illustri teorie sull’origine della Disuguaglianza.”

L’uomo coi baffi non pare convinto, ma non interrompe Giuseppe

“ La Disuguaglianza con la D maiuscola, capisce? In sostanza da una spiegazione piuttosto esauriente delle cause per cui, nella società tutta, i componenti non godano di uguale trattamento.
La cosa pare una ovvietà del resto, ma esistono eccezioni lampanti.
Ad esempio: lei è uguale al suo capo? “

“ Certo che no!” dice quasi offeso l’uomo baffuto.

“ Intendo: non solo fisicamente: la società vi tratta da pari? La vostra retribuzione è uguale? I vostri diritti sono identici? I vostri privilegi si equiparano?”

“ Beh, no.. Lui ha sicuramente molti più vantaggi..” Dice pensieroso il baffo.

“ E lei, nel suo piccolo, non desidererebbe che foste uguali da questi punti di vista appena citati?”

“ Beh, certo! Ma non sono cattivo però.. Non desidero che il mio capo venga declassato.. desidero piuttosto che la MIA di posizione venga innalzata.. in fondo sono un buon lavoratore..”

“ Lei è persona di rara intelligenza, mi creda, e mi ha appena risparmiato, con la sua affermazione, diversi passaggi della mia esplicazione.”
E qui Giuseppe deglutisce, si schiarisce la voce, e continua:

“ Vado a proseguire: la sua posizione è del tutto lecita.. e dirò di più: GIUSTA!
L’uguaglianza non deve essere al ribasso. Bensì deve innalzare tutti i componenti della società. Altrimenti che uguaglianza è? Non è in niente auspicabile.”

“ Va beh.. è vero. Ha ragione. E quindi?” Chiede un pelo spazientito l’uomo peloso sotto le narici.

“ E quindi, che senso ha se in una società con componenti diseguali, si venga equiparati solo negli accidenti? E’ una vera presa in giro!
Per fare un esempio pratico: Io possiedo beni e privilegi diversissimi dai miei simili. Ognuno di noi è come me, in questo. Ma se io salgo su un autobus, o su un treno, allora tutti veniamo trattati ugualmente! Ma al ribasso, nel pagamento! Nella sanzione! Ovverosia: tutti paghiamo, e paghiamo un biglietto (caro) di pari prezzo. Io, un disoccupato, la piccola fiammiferaia e Del Piero..”

Giuseppe chiude il giornale e si volta, accavallando le gambe, verso il finestrino. Vagamente sorridente, schiocca la lingua cercando una formula di chiusura della sua dissertazione. Socchiude gli occhi e asserisce:

“ Un ingiustizia bella e buona..!”

“ Ma lei ce l’ha il biglietto?” Chiede l’uomo coi baffi, e qui faremo notare finalmente che è vestito con una divisa verde e che il suo ruolo è essere preposto alla verifica dei titoli di viaggi dei passeggeri a bordo del treno su cui sta lavorando, e su cui Giuseppe Antogànista sta viaggiando.

Giuseppe si volta e pensieroso dice:
“ Beh.. No.”

“ Dove è diretto?” Chiede il controllore rabbuiato.

“ A Gerusalemme, su per giù”

“ Siamo sulla Milano Venezia..” Dice cinico il controllore. E senza aspettare una risposta di Giuseppe aggiunge:

“ Alla prossima scendi, o ti butto giù io. E ora mi dai un documento che ti faccio la multa, altrimenti te la vedi con la Polfer”

giro turistico

distopia fasciopadana terza

di Andrea Masotti


Hassan aveva cominciato a fare il cocchiere a diciassette anni, e adesso che cominciava a brizzolare ancora stava piegato a cassetta. Canticchiava una nenia che la sua balia gli cantava sempre per farlo dormire, quando era piccolo. In verità non la cantava a lui, ma a suo fratello Saijd, lui la sentiva e si prendeva un sonno non suo.
Canticchiava con la schiena piegata e le mani sulle redini, dondolando piano e fuori tempo il busto, i tre bicchieri di Wiborowa senza i quali non era mai stato capace di affrontare il pomeriggio lo piegavano ancora di più verso le ginocchia, dando alla nenia il potere di un om induista, elevandolo verso chi sa quale abisso.
"Salam aleichem pan, quanto viene un giro?"
Hassan si riscosse piano, come se a svegliarlo fosse stato un aroma, alzando la testa dal petto con la lentezza di un argano, si girò verso la voce e disse: "Buongiorno pan, un giro viene 50 leu. E' il giro standard. Se vuole attraversare Ponte Pietra e arrivare fino a San Giorgio arriviamo a 100 leu. Poi ci sono anche altri giri."
"Il giro standard dove passa?" Hassan alzò le palpebre e guardò il signore in pantaloncini corti che aveva parlato. Lo fece perchè la voce per un momento gli era parsa familiare, di solito non si sforzava di aprire gli occhi più del minimo necessario, invero non li apriva e non li chiudeva mai, li lasciava impostati ad una fenditura mezzana, buona per la veglia e buona per il sonno. No, nessuno che conoscesse: un turista qualunque, pantaloncini corti e berretto, con una moglie su misura e due figlioli, giustamente un bambino e una bambina.
Hassan sospirò. "Il giro standard passa da piazza Bra, fa il giro dell'Arena, risale corso Porta Nuova, ridiscende a Castel Vecchio, arriva fino a Porta Borsari, prosegue verso Piazza Erbe, va fino a Sant'Anastasia, gira alle Arche Scaligere, passa piazza Dante, piazza delle Poste, la casa di Giulietta e poi torna qua." Il suo alito di vodka era arrivato fino al cavallo, che nitrì e scosse il collo, preparandosi a sgranchire le gambe ricoperte di mosche.
"La casa di Giulietta! Uao!" Gridò imprevedibilmente la bambina, guardando la madre e saltando sui calcagni. "Andiamo andiamo andiamo!"
Il padre sorrise con paterna comprensione, mentre la mano saliva verso il portafoglio, imprevedibilmente nella tasca interna della giacca.
"Allora va bene. Facciamo il tour standard." E girandosi verso la famigliola: "Ok, forza, su! Facciamo un bel giretto, e poi un piatto tipico non ce lo leva nessuno. Dai ragazzi! Dai Josef!"
Hassan sospirò ancora. Perchè Pantaloncini Corti ha dovuto dire "tour"? E perchè adesso sente la necessità di salire accanto a lui, e non dietro, a petulare con la famiglia, e perchè lo guarda con sguardo che vorrebbe essere complice, virilmente complice?
Queste domande, con piccole varianti, erano per Hassan una sorta di piccolo rituale, ogni volta, prima di alzare le briglie a sè, prima di dire a Pëtr -il cavallo- "uhuu", e di partire.
Cominciarono a trottare piano sui ciottoli, tra Pëtr e Hassan funzionava ormai una specie di sonnacchiosa telepatia, il primo alzava un mignolo di briglia, il secondo girava piano a sinistra, dava una leggera onda con la coda, e il nostro cocchiere capiva che era il caso di rallentare, trotterellavano lasciando indietro, nell'aria, le domande e le risposte del padre di famiglia, che con sguardo che voleva essere esperto e virile guardava intorno e parlava, guardava Verona e non smetteva di parlare.
Hassan lasciava fare, il beccheggio del corpo era un annuire sufficiente, e intanto i suoi occhi erano tornati al riparo delle palpebre, protetti dal mondo, protetti loro e protetto lui.

"Papà papà, cos'è quello?" A parlare era stata la bambina, dai sedili dietro della carrozza. Il padre si girò, scusandosi con il cocchiere per l'interruzione. "Dove, Annuška, cosa?"
Sì voltò verso la strada -ormai erano a metà di corso Porta Nuova- seguendo con lo sguardo il ditino della figlia. Sul suo volto si dipinse un'espressione a metà tra lo stupore e il disgusto, si rivolse con veemenza al cocchiere: "Ma... Ma.. E' normale quello? Pensavo non ce ne fossero più.. Non è pericoloso?"
Hassan alzò un soppracciglio. Questo proprio non se l'aspettava. Accennò con l'angolo delle labbra un sorriso che poteva essere anche una smorfia di dolore, e senza voltarsi rispose: "Non c'è pericolo. Non dovrebbe. Purtroppo la polizia non fa mai il suo dovere. Quello è un bar all'antica. Sono dei provocatori."
Al tavolino di un bar, all'aria aperta, sulla via, stavano seduti due vecchi. Stavano dove tutti potevano vederli, senza pudore, davanti a loro avevano due bicchieri di vino rosso, e giocavano a carte. Vociavano terribilmente, bestemmiando di tanto in tanto, d'un tratto uno schiacciava una carta al tavolo e urlava qualcosa, facendo traballare i bicchieri e spaventando i passanti.
Si stava già formando un gruppetto di gente -il servizio di ronda spontanea, quello sì, pensò Hassan, quello funziona- una donna con un grosso turbante stava protestando al bancone del bar, appena dentro, e intanto Annuška si sporgeva dalla carrozza, sempre più curiosa. Il piccolo Josef si era messo a piangere.
"Adesso li sistemano. Sapete cosa vi dico?" Hassan ebbe come un momento di vitalità, e con lui il cavallo; ripartì di lena facendo schioccare le corde, si girò verso Pantaloncini Corti: "Sapete cosa vi dico? Facciamo il giro fino all'Arsenale, e poi il lungadige fino a San Giorgio. Stesso prezzo. Per l'imprevisto." Si girò verso i passeggeri, dietro: "Cosa dite, bambini? All'arsenale c'è un grande parco giochi!" E rivolto alla signora: "E da quelle parti il decoro è intatto, non si preoccupi."
Josef singhiozzava ancora, il padre disse alla moglie: "Chu, fallo smettere. Serve che venga dietro?" E si girò di nuovo a cassetta, rimase in silenzio un pò a guardare la schiena magra del cavallo. Erano ormai quasi a Castelvecchio, Hassan fece un cenno con il mento a Pëtr e ritornarono ad un'andatura comoda e sonnecchiante.
Annuška, la bambina, era rimasta in silenzio fino a quel momento.
"Ma mamma, ma allora cos'erano?"
"La mamma avvicinò il volto a quello della bambina, le diede un bacio in fronte e disse: "Erano veronesi, anima mia." Le carezzò i capelli. "Gli ultimi rimasti. Dai, che tra un pò ci fermiamo e mangiamo un gelatino. E poi andiamo a vedere le oche." E a voce più alta, al marito: "Vero, papi, che poi andiamo a vedere le oche?"
"Ma certo che andiamo a vedere le oche!"
Un coro di grida festose si levò dai sedili dietro, il padre sorrise soddisfatto.

T'à sboro

di Caterina Ventisei

"T'à sboro". Intercalare stilnovista lagunare, questo, sulle bocche di tutti, grandi e piccini (come da proverbio: il veneziano ha lo sboro in bocca). Nella città sull'acqua non ci sono minacce reali, la notte è tutta vuota, calli piene di vento e ticchettio di passi. Niente stupri, pochi soggetti sospetti, spesso così sbronzi da cadere a terra prima di destar terrore. Il t'à sboro, però, mantiene le distanze tra le persone, compie utili discriminazioni tra straniero e foresto, è un'arma impropria sulle delicate bocche delle ragazze che tanto gentili e tanto oneste paiono.
I pulotti a Venezia li ho visti poche volte, spesso si muovono a piedi o in barca, con una lentezza abbacinante. A volte, piacere dei poveri, ci si sedeva in qualche barca di altri con un tubo in mano: passavano i caramba sulla barchetta, ci guardavano tirare minacciosi, ma per ormeggiare ci mettevano sei anni e noi eravamo già belli che sgattaiolati, con gli occhietti rossi di barricadera felicità... Immaginate dunque quanta presa il delirio securitario possa aver fatto sullo scostante e faidesco popolo veneziano, che alla povera difesa delle forze dell'ordine preferisce il violento vernacolo locale.
La venezia silenziosa e i veneziani autodifensivi non impediscono ai vari Fede di fare dei bei video sullo spaccio nel tranquillissimo sestiere di Casteo: il povero Emilio ci sarà rimasto male a non trovare troie e bamba in laguna, credo. In realtà, c'è poca malavita e molta diffidenza, in questa provincia infiocchettata del mondo. Venezia è marginale e museale, anarco/autarchica: le vere minacce sono Marghera e il nano, per tutto il resto c'è il t'à sboro.

Tragotto

di Riccardo Artoni

Il signor Merdolinetti si accinge a parlare ad una platea accigliata, in una sessione di un convegno su "Stresses in silos, et universa pecora".

In platea, un Duroc, rosso di faccia e di capelli, triplo mento e viso beota, si china a raccogliere un foglio stropicciato e si appresta a leggerlo, incuriosito per noia.

Le macerie della storia, riciclate spesso a farne nuove macerie, si rapprendono coalescendo attorno a nuclei, l'agglomerazione e la disgregazione dei quali sono processi dinamici concorrenti. Altre forme hanno ancora le interazioni tra questi sistemi, inseparabili dal processo che essi stessi contribuiscono a generare, e pure altre forme di nascita-e-morte sono identificabili. In prima battuta, ci interessa chiarificare che tali viluppi di "macerie" sono le città.

Poi ripartirò verso il Comune, senza fretta. L'ultima sezione, dicevo, è un po' imbucata, occorre fare un giro intorno ad un cortile interno. Mentre con passo calmo mi avvio, un uomo mi supera affrettato, dicendo tra sé e sé qualcosa come:
"Adesso gliela faccio vedere io a quelli là..."

Quante storie sono scritte tra le pieghe di una città? Molte, ma di queste poche sono quelle che hanno, per così dire, una dimensione descrittiva "sociale". Riprendendo Benjamin, "si tratta di fissare il passato come esso si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo". E tale pericolo, tanto per "il patrimonio della tradizione" quanto per "coloro che lo ricevono", consiste nel "ridursi a strumento della classe dominante".
Nel contesto dello spettacolo che concentra ogni sguardo e ogni coscienza, la storia è una ed è scritta dal vincitore. Il caso delle telecamere installate nei cimiteri richiama letteralmente il fatto che "anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere".

Giro l'angolo e vedo una ressa, una coda davanti al seggio. C'è da stupirsi, sembra che siano venuti tutti a quest'ora. Ma poco a poco che la mia miopia lascia apparire una realtà, mi rendo conto che la coda non è per nulla pacifica. L’uomo che mi aveva sorpassato un secondo prima è là davanti, ha rallentato il passo, come per guardare bene in faccia qualcuno, ha un moto del capo come per
sputare ad altezza d'uomo: un'onda, un rinculo si propaga nella coda, e ritorna a lui in forma di pugno anonimo, che lui schiva tirandosi indietro.
Sono a venti metri dalla scena, comincio a distinguere tra il rimbombo dei corridoi quello che si dicono presumibilmente due o tre persone, tra cui il mio superatore:
"Bastardi democristiani, servi dei padroni, siete sempre la stessa merda fascista..."
"Guardatelo, è un comunista, un mangiapreti! "

La violenza è interpolata tra le pieghe delle città come presunta forza che le tiene insieme, nella forma del diritto. Il diritto è strettamente connesso alla violenza non solo come espressione del potere, ma anche perché esso trova nella violenza (violenza che lo pone e che lo sospende per "salvarlo") un'inscindibile compagna.

"Io ti denuncio, ti ho visto sai! far propaganda davanti al seggio!"
"Si tratta solo di invitare a votare secondo coscienza… "
Mentre io, rallentato il passo, mi trovo a una decina di metri circa dalla scena, il presidente è uscito, lo sento che alza la voce, ma ne riceve male parole e un cazzotto in piena faccia.
"Bastardi democristiani, servi dei padroni..."

Non serve soffermarsi molto sul metodo di controllo variamente espresso nel corso della storia umana, a più livelli, e che va dal "divide et impera", alla "guerra tra poveri", e così via.
In due tipi si possono suddividere approssimativamente le tensioni sociali, ovvero quelle forze che non si traducono necessariamente in flussi, in verticali e orizzontali. Che il mezzo per eccellenza del "controllo sociale" sia anche oggi l'accentuazione delle tensioni orizzontali rispetto a quelle verticali nella società ce lo dice la condizione attuale conseguente alla precarizzazione del mondo
del lavoro, ce lo dicono anche le affermazioni dei cosiddetti professori del "diritto del lavoro" per cui oramai il problema non è più garantire il diritto di sciopero, ma gestire la conflittualità inter-classe.

Il presidente se ne torna dentro col viso sanguinante. La scena si fa sempre più caotica, mentre la rissa si amplia pressoché a tutta la gente in fila per votare:"io voto, ed esprimo il mio diritto!”
"Lei non può dirmi cosa devo votare, ché lo so bene da solo!"
"Non vorrà mica che l'Italia diventi uno stato dell'URSS..."

Il controllo della città ha come fondamentale caratteristica l’eliminazione della verticalità, che si traduce in eliminazione del diverso, soprattutto in quanto diverso sociale.
La diversità, quando non ancorata a questa dimensione, può sempre essere recuperata all’“harmonia mundi” sotto forma di “vedette”; ogni pretesa difesa del decoro non è che una più o meno cosciente adesione a questa linea.

Ora sto correndo a chiamare il rappresentante delle forze dell’ordine che piantona l'ingresso della scuola.
"Presto presto venga, che sta succedendo un putiferio al seggio 213!"
"Cosa?"
"Non c'è tempo venga..." gli dico col fiatone.

Anche questo un corollario valido già ai tempi del Cüdegh, il mantenimento del potere necessita l’eliminazione della storia. Ecco a voi infatti il pubblico amministratore che dice:
“Ascoltate la voce di Behemoth senza origine. Ci apprestiamo a vivere piacevolmente e socievolmente in questa foresta di cui una tomba occupa il centro, e si giocherà a chi sparirà per primo”.
Al limite ci è data una tranquillizzante prospettiva di rimbalzo bipolare, tra il “rigore (naturalmente nell’equità)” e “l’equità (naturalmente con rigore)”.

Girato l'angolo, incespico in una vecchia malconcia per i fatti suoi. Girato l'angolo, resto senza fiato, una volta per tutte. Semi-deserto come gli altri seggi, non c'è traccia né della coda né del tafferuglio, tutti svaniti, fantasmi, ubbie. Il presidente, quando mi precipito a sincerarmi del suo stato di salute, non ha segni di aggressione.
Il carabiniere mi guarda strano, io biascico qualcosa a riguardo della mia prossima pensione, ed esco, tremando.

Compito di chi sente e non sopporta la falsificazione è reagire all’ordine e alla violenza che ogni giorno per molte vie si perpetra nelle città.
Eminentemente politica è l’azione che tende a ripristinare quello che l’ordine cancella, dall’occhio e dalla memoria (cosciente).
L’ordine sociale dei fenomeni, che collega arricchendole molte lotte che altrimenti possono apparire lontane tra loro, la prospettiva del conflitto verticale in opposizione al continuo acuirsi delle tensioni orizzontali dentro e fuori il posto di lavoro, la dimensione storica dello sviluppo come esigenza interpretativa e trasformativa della realtà.
Tenendo a mente le parole forse d’altri tempi di Panzieri: “ci sono una serie di tappe e se non le si vede, si finisce nel mistificare le sconfitte in successi e, al limite, si finisce per scambiare come forma di lotta politica di avanguardia il sabotaggio [...] che è l’espressione permanente della sconfitta politica della classe operaia”.
Non che ci sia troppo da sperare in una redenzione, ma se non altro ci si può ripetere:
pochi compagni avrai per l’altra via
tanto ti prego più, gentile spirto
non lassar la magnanima tua impresa.

Mentre mi avvio all'uscita, un tipo evanescente, simile in tutto e per tutto all’uomo che prima avevo visto superarmi e gettarsi nel tafferuglio, mi si accosta e mi fa:
"Che dice, ce la fa il PCI?"
Un secondo dopo è svanito.

Un applauso accompagna la fine del discorso, mentre il Merdolinetti guarda nel vuoto degli occhi degli ascoltatori.

Il Duroc alza la mano per porre una domanda: “Sul problema delle tensioni, ci può dare un'idea dell'ordine di grandezza? Pascal, kilopascal, o cosa?”

risoluzione scientifica delle problematiche concernenti criminalità e sicurezza in una comunità sociale chiusa

di Carlo Michele Pigozzi

Risoluzione scientifica delle problematiche concernenti criminalità e sicurezza in una comunità sociale chiusa


Scienziati che hanno preso parte all’esperimento: dott. Minority, dott. Klakson, dott. Thompson, prof. Ernandes, prof. Alvares, signor Benelli.




Sono stati presi in esame 100 criceti, 50 di sesso maschile e 50 di sesso femminile, inseriti in un ambiente artificiale idoneo alle loro necessità vitali per un periodo temporale non inferiore ai 150 giorni per ciascuna fase sperimentale. Scopo dell’esperimento è individuare quali siano gli elementi esterni che, inseriti in una comunità sociale, ne riducano la criminalità e ne aumentino il livello di sicurezza reale e percepita dalla comunità stessa.


Fase 1: Osservazione neutra

I criceti sono stati osservati per 150 giorni, provvedendo alla somministrazione di cibo e acqua, ma lasciandoli liberi di esprimersi senza alcun vincolo. Alla scadenza del termine si è osservato quanto segue:

Livello di criminalità: 70% (per la maggior parte stupri e omicidi)

Livello di sicurezza reale: 30%

Livello di sicurezza percepito: 5%


Fase 2: Isolamento

Ciascun criceto è stato inserito all’interno di una sfera di vetro allo scopo di consentirgli il movimento e la visione del mondo esterno ma impedendogli di commettere o subire attività delittuose.

Dopo 40 secondi il 30% dei criceti erano morti, dopo 60 secondi il 67%, dopo 90 secondi tutti i criceti erano morti. Si è deciso così di fornire le sfere di vetro di piccoli buchi per permettere ai criceti di respirare. 100 nuovi criceti sono stati inseriti nelle suddette sfere. Dopo tre giorni i criceti presentavano sintomi inspiegabili quali: magrezza, debolezza, lingua gonfia, disidratazione. Il dott. Klakson ha ipotizzato che tali sintomi indicassero una grave crisi depressiva collettiva. Dopo sette giorni tutti i criceti erano morti. Si è quindi osservato quanto segue:

Livello di criminalità: 0%

Livello di sicurezza reale: 100%

Livello di sicurezza percepito: 0% (non essendoci più nessun individuo in grado di percepire)

Se quindi il livello di criminalità e di sicurezza reale sono più che soddisfacenti, la sicurezza percepita è invece disastrosa. Da segnalare inoltre l’effetto collaterale dell’estinzione dell’intera comunità sotto osservazione.

Risultato Fase 2: Non soddisfacente


Fase 3: Comunismo

Ai criceti è stato spiegato con parole chiare e semplici che nella loro comunità tutti sono fratelli e uguali, non esistono leggi ma solo la libertà di fare ciò che si vuole, e che non esiste la proprietà ma solo i beni della comunità. Dopo 150 giorni si è osservato quanto segue:

Livello di criminalità: 80% (per la maggior parte spaccio di droga, prostituzione e incesti)

Livello di sicurezza reale: 0%

Livello di sicurezza percepito: 100% (dato ritenuto comunque non attendibile in quanto i criceti erano tutti sotto l’effetto di droghe)

Risultato Fase 3: Il comunismo non funziona


Fase 4: Autodifesa Armata

A ciascun criceto è stata data una pistola Beretta calibro 45 per provvedere alla propria difesa personale. Il Dott. Thompson ha asserito che eravamo dei pazzi a credere che dei criceti fossero in grado di maneggiare armi da fuoco, ma la sua protesta è stata messa a tacere da un colpo di pistola sparatogli in pieno petto da un criceto maschio di 15 cm di lunghezza dal manto pezzato. Il criceto è stato soprannominato Cz-03. Dopo 150 giorni si è osservato quanto segue:

Livello di criminalità: 60% (per la maggior parte omicidi perfettamente comprensibili)

Livello di sicurezza reale: 80%

Livello di sicurezza percepito: 90% (tutti i criceti erano molto felici di poter sparare ai criminali, in particolar modo Cz-03)

Risultato Fase 4: Non del tutto soddisfacente in quanto Thompson è morto.


Fase 5: Ronda Civica

Ad un gruppo di criceti volontari sono state date delle torce elettriche e dei telefoni cellulari. Si è spiegato ai criceti volontari che il loro compito era quello di sorvegliare gli altri criceti e in caso di crimini telefonare a noi scienziati con il cellulare e attendere il nostro intervento.

Il Prof. Ernandes ha fatto notare che il Dott. Thompson non credeva che un criceto potesse usare un cellulare. Cz-03 ha sparato in testa al Prof. Ernandes. Il signor Benelli ha detto che forse era meglio togliere la pistola a Cz-03. Cz-03 ha sparato in testa anche a lui. Dopo 150 giorni si è osservato quanto segue:

Livello di criminalità: 0%

Livello di sicurezza reale: 100%

Livello di sicurezza percepito: 100%

Risultato Fase 5: Perfezione. Individuata la soluzione ideale alla problematica in esame. Inoltre Ernandes e Benelli stanno bene dopo essersi sciacquati la ferita con un po’ d’acqua fredda.



Dott. Albert Minority

Titoli:
Chi è la strada? Dove è la via?
Perché esiste il vigile?
Come arredarti una strada, manuale pratico.
Psicopatologia dell'arredo urbano.

di Ivan Favalezza


Premessa:
Sulla tazza e sotto la doccia ho avuto un'idea (ho un bagno piccolo) ma non la ricordo bene.

Effetti indesiderati:
Quest'articolo può indurre a sonnolenza, astenia, fotosensibilizzazione o secchezza delle fauci mista a irsutismo .

C'è il separé, la scorza fluida che filtra il bene dal male. È uno scudo naturale dal battito animale e non si tratta proprio di arredo urbano, anche se arreda a sbrega. L'Adige divide il retto dal non retto. I beati dalla feccia, Verona da Veronetta, la qual non è protetta.
Anche le panchine hanno il separé incorporato. Per tenerti sveglio, per tenerti su! Va meglio...peggio... agile scatto nella piazza consumata e disinfettata.
Poi c'è il paracarro elettronico Su e Giù che come separé non sembra un granché. Pensavo servisse a regolare il traffico. Invece filtra le genti, divide i SUV dalle Pande grossomodo. E non arreda bene come l'Adige. Il divieto d'accesso è sempre una questione problematica. I muri sono tanti ed è legittimo erigerne e farne crollare. Il problema è il filtro.

Sia la luce. E luce futile. E tutto illuminato che fai la notte in verde...'sti lampioni! Vapori di sodio ad altissima pressione a temperatura colore bassissima ma quel tanto per vegliare, per vedere, per proteggersi. La luce di chi si difende e di chi inquina. Si difendono col petrolio e uccidono la notte, mi inquino al loro potere. È arredo, è arredo? Si. I parchi buuui se li chiudono perché c'è la droga e non possono telecamerare. Divieto d'entrata. È arredo, è arredo? Si iiii.

Poi c'è l'occhio di Sauron, che qualcuno chiama dispositivo di controllo sociale e qualcun'altro “ufficio mobile di prossimità”. Vedono da lontano come falchi e magari non cercano niente ma registrano, microfonano? Rondano. Ronzano. Vagano. Prevengono. Costano. Telecamere, aree adibite alla loro video sorveglianza, yo! Intercettano. È arredo, è arredo? Mah.“È un’unità operativa di ultima generazione, con tecnologie moderne ed efficaci per l’attività di polizia. Sul tetto è montato un palo telescopico con una speciale telecamera in grado di filmare e registrare quanto avviene nel raggio d'azione della struttura mobile. Gli agenti potranno perciò stare a bordo del veicolo e controllare una zona ben più ampia di quanto la loro presenza fisica consentirebbe. È questo il primo esempio di videosorveglianza mobile a Verona, utile per vigilare nelle piazze e nei siti più critici della città, in funzione anche di prevenzione e di deterrenza contro la criminalità.” (www.portale.comune.verona.it)

Poi ci sono le ammonizioni, che come dei bei quadretti ti appaiono un po'ovunque. La grafica è dappertutto e arreda*. (* arredare significa configurare uno spazio con artefatti preesistenti. L'operazione non riesce quasi mai.)
I poster che intimano, i divieti, i cartelli, le paline, pericolo, stop, attenzione, passo carrabile, linee blu, pallini rossi. Un fragore cosmico. Non sono contro la regolamentazione del traffico ma contro la regolamentazione del decoro. Non voglio che uno spazio urbano venga arredato sotto la direzione artistica della chiesa cattolica. Non voglio i punteruoli che ti si infilano in culo quando mangi la piada alle 3. Non voglio che Giove diventi una nana bianca.

C'è un piano? Forse. Si crede ancora la piazza come il centro di aggregazione sociale mentre sono delle cristallerie vuote, con panchine monodose, fari verdi, occhi indiscreti. Sento freddo. Ah il parco è chiuso di notte così son tutti sottocoperta, al sicuro, senza puttane, droga o chessoio. È arredo, è arredo?

i

PEZZA Episodio 20: Speciale fiabe - Volume II




Ricorda il giuramento di Ippocrate.






Bip, Bip, Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.

martedì 12 maggio 2009

iL TRAghetto a BrUTTICAratteri


questo sabato, 16 maggio,
due giorni dopo il compleanno del pigoz,
il verve dei redazione a piazza isolo nelle 19,30 fa.


C'E' CHI DORME, C'E' CHI SOGNA

Verona. Ore 22.

E' arrivata l'estate nera. Tosi rimpatria il sole.
Ordinanza fascista: guai a chi strimpella una sera d'estate!
Dichiarazione di guerra a chi è tornato a vivere le piazze del centro.





La questione ci pare molto semplice. L'accordo tra il diritto di chi ad una certa vuol dormire con il diritto di altri di stare in piazza a suonare e cantare è sufficientemente garantito dalle leggi che definiscono e sanzionano il disturbo alla quiete pubblica.

Con la recente ordinanza (n. 39 - 7 Maggio 2009) si vanno ad irrigidire le norme esistenti imponendo nuovi assurdi divieti e nuove sanzioni, le cui entità fanno pensare sia ben altra l'intenzione rispetto a quella di garantire il sonno tranquillo dei cittadini. Più che l’effettivo disturbo infatti, con il provvedimento emanato dal
sindaco si vanno a colpire e sanzionare un comportamento, un gesto, un’estetica. Il limite delle ore 22.00 esteso anche al finesettimana per chi anche solo solletica tranquillo una chitarra in un angolino di una piazza ne è chiara prova. La quiete pubblica, così come il decoro o la sicurezza, non sembrano essere un fine, quanto piuttosto il pretesto utilizzato per castigare comportamenti, relazioni, soggetti
estranei alla cultura politica che governa la città, per colpire in questo caso una forma di socialità libera, vitale e felice che insinua una crepa in quel sistema mortifero, incentrato sulla paura, la diffidenza, il sospetto reciproco su cui certa classe politica ha costruito la propria carriera.

Il mercoledì sera Piazza Dante è diventato per molti un appuntamento fisso.
Ci si incontra e si sta insieme. Ognuno porta la sua differenza, la sua storia. Ognuno porta i suoi difetti, la sua vita e si comunica, si stringono legami, si chiacchera, si canta, si gioca, si balla.
Studentesse e studenti, lavoratori e lavoratrici, veronesi e bresciani, polentoni e teroni, rumeni e somali, turisti di passaggio, freakettoni, fighetti, rappers, punks, poeti, giocolieri, musicisti...
Il mercoledì sera Piazza Dante è sicura perchè piena di vita, a riprova che chi sta puntando su telecamere, ronde e militari sta andando nella direzione sbagliata. La tranquillità che tutte e tutti vogliamo avere passeggiando per le strade della nostra città può nascere solo nella cultura della vita, della relazione, del riconoscimento reciproco e del confronto continuo, aperto, libero dalla psicosi del sospetto, dalla paura. Desertificando le piazze a forza di divieti e ordinanze, militarizzando le strade e propagandando ignoranza e razzismo ci stanno trascinando in strade buie e
pericolose.

Una cosa deve essere chiara: nessuno sta pretendendo la libertà di "fare casino" ad oltranza sotto la finestra di qualcuno. Se il comportamento irrispettoso di alcuni impedisce effettivamente il riposo a qualche cittadina o cittadino è giusto che si intervenga in qualche modo, ma la responsabilità crediamo sia e debba rimanere
individuale. Non è accettabile un’ordinanza che limita la libertà di tutte e tutti per punire l’eventuale maleducazione del singolo. Nel caso di Piazza Dante, come chiunque può verificare, qualche chitarra e qualche cembalo che suonano non recano alcun disturbo alle case che ci sono nei dintorni. Certo non più degli schiamazzi che arrivano dai plateatici dei locali della adiacente Piazza Erbe, ben più a ridosso
delle abitazioni.

Vorremmo semplicemente meno autoritarismo e più buonsenso, ma ci pare ormai chiaro che aspettarsi aperture ed intelligenza da parte di questa amministrazione e di questo sindaco.. non ne vale la pena. Non ci resta che unirci e fare resistenza. Aprire con fermezza e consapevolezza un conflitto contro l'ordinanza n.39 e chi l'ha promossa fino a quando non verrà ritirata.

Non abbiamo alcuna intenzione di rinunciare alla libertà di stare insieme e di vivere le piazze della nostra città come meglio crediamo.
Nel rispetto delle altre cittadine e degli altri cittadini, ma di nessun stupido divieto. Continueremo a suonare e sognare una città diversa.

butele e butei di piazza dante
in direzione ostinata e contraria
(ogni mercoledì sera)




Uso di strumenti musicali: limitazioni >>> http://portale.comune.verona.it/nqcontent.cfm?a_id=18599

Testo dell'ordinanza >>> http://portale.comune.verona.it/media//_ComVR/Cdr/PoliziaMunicipale/Allegati/ordinanza_musica_39-2009.pdf

La barricata >>> vietatalavita.noblogs.org

sabato 9 maggio 2009

PEZZA Episodio 19: Non c'è rosa

Veramente brutto ma propio tanto.






giovedì 7 maggio 2009

Semitono

Al termine del nostro reciproco elenco di amarezze J mi dice:
"chiudiamola con una nota positiva"
Apro lo sportello della macchina controllando di avere nella tasca le chiavi del cancello.
Guardo J al volante. "Si" gli dico.
E lo vedo partire nella notte.

sabato 2 maggio 2009

GEN-2 Persona





Mi svegliai ricoperto di saliva. Accanto a me il mio cane, sgozzato come un cane. Libri ovunque, sparsi in maledizione. MALEDIZIONE. Le finestre erano ancora aperte, chiunque avesse trinciato quello scempio non doveva essere lontano, o perlomeno doveva aver lasciato le finestre aperte. Annusai la lampadina.
Non potevo indugiare, andai all'armadio e indossai il mio costume, guardai per l'ultima volta Tiboer Più Elle -Sarai vendicato, mio fedele amico-, e mi lanciai dalla finestra.
Sono Pierrot, e non so volare. Me ne resi conto al piano del lounge pub, il 52, e mi preparai all'impatto. No che invece, guarda te alle volte, no che passa Dumbo! Mi raccoglie in volo con la sua spocchiosa proboscide e mi deposita sulla sua groppa. Quanto è cresciuto, mi dico volando nella notte di Chicago, da come lo ricordo nel cartone! Un signor elefantone! Mentre vola mi permetto di lasciar scivolare una mano fino al buco del suo culo, infilo il dito e comincio a stimolarlo, tirandolo dentro e fuori sempre più veloce.
Atterriamo male, con un cerchio alla testa e la bocca impastata. MALEDIZIONE, mi dico, MALEDIZIONE. Lo abbraccio e ricomincio a correre.
Sto arrivando dolce amore aspettami mia stella.
Ed è a questo punto che la storia si fa strana.
Sotto un gran lampione incontro una puttana
dal peso del lampione schiacciata poverella
quanto è gracilina lo ben vedo, ma è pur bella
e noi la si conosce la natura umana:
sopra la sua palpebra sfoggio il mio bukkake
contro il suo nasino esplodo una panzana
dentro le sue scapole preparo una cheesecake
lungo la sua guancia un banale manrovescio
acchè per ricordo eterno stampo lì le lascio
e un solco nella gamba più profondo del Klondike
perchè sono Pierrot, l'eroino del Klondike.
La puttana mi guarda, sputa un flute di sangue e riesce a dirmi, con un filo di voce: pe-e-erchè?
Signora mia bella, perchè sono l'eroe poeta, che quel che fa mette in rimatatata.
Mi riferivo alle percosse, prova a dirmi, ma io non la sento già più, sono ormai lontano, corro nella notte, salvezza dei disperati, speranza dei deboli, riscossa degli afflitti.
Così è accaduto, e ci tenevo a raccontarvelo, che ad un certo punto della mia vita sono passato dal passato remoto al presente, per poi assestarmi su un'agile alternanza tra passato prossimo e imperfetto.


PEZZA Episodio 18: Senz'arte

Questo non.



S.c.u.d.o.

venerdì 1 maggio 2009

Homo Facebook

Adesso mi siedo e aspetto la telefonata, o magari il messaggio. Aspetto davanti al computer e nel frattempo vedo cosa scrive la gente su Facebook. Vedo che ci sono i quiz, non li faccio, che poi se mi chiamano lo devo finire in fretta e mi esce fuori un risultato che non mi piace. Metto i Rosolina, la canzone dura sei minuti, non so se riesco a finirla prima che mi chiamano, perdo due minuti a scegliere una canzone di 3 minuti, che alla fine sono gli Smashing Pumpkins. Non mi chiamano, ma non mi irrito, forse sono in anticipo, in effetti non è nemmeno detto che mi chiamino, metto su la canzone dei Rosolina e visto che forse sono in anticipo mi verso un grappino, prima lo respiro perché mi piace l'odore. Poi la canzone finisce. Ora vorrei vedere Scrubs ma dura venti minuti e se mi chiamano mentre sto guardando devo interrompere.
Può essere che non mi chiamino, in effetti siamo rimasti che ci saremmo sentiti con calma. Va bé, chiamo io, anzi mando un messaggio e nel frattempo scrivo qualcosa sul traghetto.
Mentre scrivo l'immagine del topolino che muove la coda a lato della pagina del blog mi ipnotizza.
La luce del telefono si illumina di blu, ma non è arrivato niente. C'è una mia amica che quando mi si illumina il telefono mi dice "Sei Blu". L'amicizia non è poi questa gran cosa.