pudenda

martedì 31 agosto 2010

Per fortuna che Angelino c'è

Tu-tuuu.
tu-tuuu.

Pronto?

L'altra sera, devo dire la verità, mi sono finalmente sentita RESTITUITA AL TRANQUILLO VIVERE QUOTIDIANO.
Vicino a casa mia, accanto ai cassonetti della spazzatura è cresciuto alla velocità di un fungo atomico un nuovo sistema di videosorveglianza.
Facendo attenzione ad assumere la camminata e lo sguardo tipico degli abitanti della mia via ho buttato con gesto atletico il sacchetto della carta e quello della plastica, il sacchetto dell'umido nell'umido cassonetto e una alla volta diciotto bottiglie di vetro nella verde campana.
Ho fatto un cenno d'intesa all'occhio sintetico ma, a dire la verità, giusto per essere sicura di non essere scambiata per qualcuno che vive nella via accanto, ho detto a voce alta PERDINDIRINDINA!
Ah, che bello abitare nella mia via,con tutti questi STRUMENTI MIGLIORATIVI DELLA QUALITA' DELLA VITA!
Tra i cassonetti della mia via e casa mia (che sta sempre nella mia via) ci sono poi circa trentacinque metri. Non molti, a dire la verità, ma che sollievo quando mi sono resa conto che la TELECAMERA BRANDEGGIABILE del NUOVO UFFICIO MOBILE DI PROSSIMITA' mi stava proteggendo con il suo sguardo indiscreto.
Devo dire la verità, le mie anche si sono un po' pavoneggiate: il fatto che I CONFINI FISICI DEL CORPO UMANO dei videosorveglianti siano stati SUPERATI non li rende certo meno umani, no?

Clic.





Le parti in CARATTERI MAIUSCOLI sono liberamente tratte dal sito del Comune di Verona alla voce VIDEOSORVEGLIANZA.

venerdì 27 agosto 2010

ai Kirillov

Questo annuncio è rivolto a tutti i suicidi, ovvero agli aspiranti tali.
Mi presento. Sono una persona "malata", secondo i canoni di questa società: amo uccidere.
Più esatto dire che non posso fare a meno di farlo, il che fa di questa pulsione a tutti gli effetti una malattia. Io per primo me ne rendo conto e lo ammetto, non senza sforzo.
Al razionale riconoscimento dell'impraticabilità sociale di questa inclinazione -e a fare più rotonda la mia presentazione a voi tutti-, si aggiunge un'innata e profonda sensibilità nei confronti del prossimo mio: pur quotidianamente spinto all'omicidio da qualche bizzarria della psiche, non potrei farlo, assolutamente, nella consapevolezza di rovinare in tal modo un'esistenza.

Avrete capito dove voglio arrivare. Suicidi cari -ovvero aspiranti tali-, con voi il discorso vivaddio cambia! Passo quindi ad un registro più veloce e pratico, non voglio con le mie parole far convinto nessuno che già non lo sia.


Suicida.
Ovvero aspirante tale.
Novello Seneca.
Mi rivolgo a te!

TU che stanco di questa stanca vita,
TU che per questo o per quello hai scelto di indossare l'estrema cravatta,
TU la cui mano trema, pietrificata dal terrore, sul grilletto.
Ci sono qua io!

per morti indolori o morti strazianti
ardite soluzioni sceniche
massima igiene e cura nei dettagli
all'occorrenza, un tocco di ironia!

astenersi mitomani ed esibizionisti
e labrador


mercoledì 25 agosto 2010

Segnalo: Premio Formiche Rosse


Mi permetto di segnalare:
PREMIO DI NARRATIVA ESSENZIALE FORMICHE ROSSE

Come questa qua sopra.

lunedì 23 agosto 2010

?

sabato 21 agosto 2010

Il Grande Gioco delle Catene Associative presenta: Rosso.

Rosso
Libretto
Mao
Maramao perchè sei morto
Cossiga
Flaccidume
Marciume
Putrido
Porchetta
Viali
Peripatetica
Aristotele
Motore primo
Frizione
Freno
Incidente
Semaforo
Rosso.

Sleeping bag

l'uomo dorme con la testa appoggiata alle sue scarpe da tennis rosse perfettamente allineate.
le sue gambe ranicchiate sembrano sorridere mentre affermano risolute la conquista del marciapiede.
carla in piedi sulle punte sbircia dalla finestra della torretta.

giovedì 19 agosto 2010

Cossiga?

sabato 7 agosto 2010

Un vero duro

Lettera allo zio Carlo che vive in America,
Mi chiamo Lorenzo, tu non mi conosci, ma io sì perché di te mi ha parlato mio cugino Luca, dice che sei una forza della natura, uno grosso che mena tutti, un vero duro. Sai anch'io sono un vero duro. Non ho paura di niente, neanche del buio pesto della casa dei Loredan, che hanno una casa proprio nera, che quando con il Marco vado a saltare vicino al Piganzo, e lì c'è la casa nera dei Loredan, io lo proteggo. Perchè lui il Marco ha una tale paura, che si aggrappa con le unghie alla mia pancia e affonda la sua testolina fifona dentro la mia schiena, lì, sai no, in quella parte del corpo che la mamma quando accusa i dolorini alla schiena, chiama zona lombare. Intanto io faccio da scudo. A parte quella volta che pioveva e per terra c'era un tale paciugamento che mentre proteggevo il Marco, e tiravo fuori dallo zaino l'ombrello della nonna Maria, quello con le macchie di gheopardo, non so come, sono caduto, e sono scivolato sulle foglie impantanate. E sai, come capita spesso in questi casi di cadute, ho perso gli occhiali e non ci vedevo più tanto bene. C'era quasi buio e si sentivano dei rumori paurosi, di vento e pioggia insieme, e qualche lamento che secondo me proveniva dalla casa dei Loredan, anzi ci giurerei. E lì, bhè sai, lì un pò di cagarella l'ho presa pure io. E con il Marco siamo tornati a casa, più veloci della luce, roba da non crederci. E poi io mi sono infilato nel letto della mamma, nel suo petto morbido di pizzi e cotone. Lo so questa non è una cosa da veri duri, comunque è successa solo una volta, non ne ricordo altre.
Perché io, dicevo, sono un vero duro. Per esempio quando io e la Lisetta andiamo al cinema a vedere quei film sentimentali che piacciono alle femmine, bhè, e camminiamo lungo una strada che te la raccomando, ci sono certi malviventi, certi delinquenti. Bhè io sto dritto come un asse da stiro, con gli occhi attenti, e faccio passare il braccio sinistro dietro il collo della Lisetta, per tenerla al sicuro. E se qualcuno si avvicina, li mollo un destro che se lo ricorda per tutta la vita.
E poi bhè quando vado ad aiutare il papà in autofficina, dovresti vedere come sono bravo a riparare le macchine, con l'unto e il grasso dell'olio, che poi è un lavoro di responsabilità, che se non lo fai bene, poi i clienti li senti e tirano certe madonne che il babbo quasi si intimorisce. Io no, io li mando a quel paese, ad ogni modo non capita quasi mai, perché il mio lavoro lo faccio proprio bene.
Il problema zio Carlo, non so come dire, sai, non è una cosa facile a dirsi, ma quando sono solo mi piace piangere, mi godo da matti a farmi lunghi piagnistei che mi rigano le guance, e poi a tirar su lacrime con la lingua, come se la lingua fosse una paletta di plastica con cui i poppanti raccolgono l'acqua del mare. Piango in continuazione quando sono solo: per esempio nel sottoscala, ecco vedi, nel sottoscala, dove la mamma mi manda a prendere il latte, quando nel frigo è finito, mi faccio di quei pianti da far venire la faccia brutta e rossa come un pomodoro. Oppure piango sotto la doccia, che lì non mi vede nessuno perché tiro sempre la tenda. A parte questo io sono un vero duro, proprio come te.

venerdì 6 agosto 2010

Pompage

Accadeva sempre nella stessa maniera, e anche quella sera, come quasi tutte, aveva spento le luci intorno, si era sdraiata sul largo letto pieno di cuscini e aveva cominciato a leggere. Il rumore delle prime pagine che si sfogliavano erano un muto reclamo, e lui dalla scrivania si era avvicinato al bordo della sua lettura -Requiem, di Tabucchi- le aveva preso i piedi sulle ginocchia, e aveva cominciato a massaggiarli. Prima il sinistro, lentamente, con forza, premendo la pianta con i polpastrelli, lentezza artigiana, piedi come pasta di pane. Così funzionava, quasi ogni sera: lui la guardava, le intuiva il volto nascosto dietro al libro aperto, e con le mani continuava il paziente premere e allentare, scandendo movimenti e respiro come una nenia antica, come un rituale.
Ma quella sera accadde qualcosa. Ad un certo punto, da dietro l'ipnosi della carezza, lui sentì tra le dita uno strano scioglimento della tensione, ogni rigidità all'improvviso cadde, il piede non faceva più resistenza. Abbassò lo sguardo e per un attimo non poté credere a quello che vide: si era staccato. Il piede di lei si era staccato, e gli era rimasto in mano, grondante sangue. Lo sconcerto gli tolse la parola, e nel tempo del silenzio -brevissimi istanti- la reazione fu convulsa: guardò lei dietro al libro, lei continuava a leggere, non si era accorta di nulla, lui non pensò all'incongruità di ciò, non ne ebbe il tempo, nel suo petto salì un moto di paura mista a vergogna, deglutì, tremò, si guardò intorno, la sua mano libera trovò brancolando -chi sa come- un rotolo di scotch per terra, e con una rapidità e una precisione non umane glielo riattaccò, le riattaccò il piede, dieci giri decisi attorno alla caviglia.
A quel punto si fermò, immobile, guardando lei ancora assorta nella lettura, trattenendo il fiato. Sentiva che l'incredulità cominciava a risvegliarsi, guardava lei immobile e contemporaneamente gli tornavano alla mente le Lezioni americane di Calvino, vai a capire gli strani voli del pensiero in certi frangenti.
Poi, piano, adagiò gamba e piede sul letto. Si tirò su fino a poggiare la testa sul cuscino, a fianco di quella di lei. Le baciò la tempia, le disse "dormiamo adesso", e senza aspettare risposta spense la luce. Riuscì a prender sonno.
Il giorno dopo lei si era svegliata prima ed era andata via, il primo impulso fu di telefonarle, guardò per terra, lo scotch era ancora lì, quasi finito, il fondo del letto era imbrattato di sangue scuro, non era stato un sogno. Al telefono non riuscì a chiederle nulla di diretto, la voce era serena, no, non ho niente che non va, sì, ho dormito bene, perché non avrei dovuto? E anche dopo, a pranzo, quando la incontrò pareva non avere niente di strano, stava bene. Fecero insieme una lunga passeggiata, e quando finalmente si sedettero su una panchina lui raccolse il coraggio necessario, decise che ne aveva abbastanza di stare in un racconto assurdo, e glielo disse: "Colette, senti, stanotte ti ho staccato un piede."
"Eh?"
"Il sinistro, massaggiandotelo. Mi è rimasto in mano."
"..."
"E te l'ho riattaccato, pulendolo un pò dal sangue. Con lo scotch."
"Ma... Ma che cazzo dici?"
La reazione di lei fu furiosa. Si alzò il pantalone, si tolse lo stivaletto, e anche lei vide: il piede era attaccato alla gamba da diversi giri di nastro adesivo, tutto era sporco di sangue. Alzò gli occhi su di lui, con violenza.
"Ma sei un coglione! Dobbiamo andare al pronto soccorso! Lo scotch! Ma porcodio, lo scotch!"
Lui rimase, atterrito, balbettò qualche giustificazione mentre lei chiamava un'ambulanza con il cellulare. Lei non gli parlò più, l'ambulanza arrivò e li portò in ospedale, tentarono un'operazione ma era troppo tardi, l'infezione si era propagata e aveva mandato la gamba in cancrena, dovettero amputargliela fino a sopra il ginocchio. Povera Colette.

mercoledì 4 agosto 2010

zeppe

Lo vedi? Anche i piatti ormai sono quadrati, Dico a Lucia che continua a fissarmi in silenzio.
Poi si alza e accende una sigaretta. Per questo hai scritto mille volte sul muro ODIO LE SCARPE CON LA ZEPPA ?
No, le rispondo sorpreso. Ma preferisco i sandali intrecciati.