pudenda

sabato 7 agosto 2010

Un vero duro

Lettera allo zio Carlo che vive in America,
Mi chiamo Lorenzo, tu non mi conosci, ma io sì perché di te mi ha parlato mio cugino Luca, dice che sei una forza della natura, uno grosso che mena tutti, un vero duro. Sai anch'io sono un vero duro. Non ho paura di niente, neanche del buio pesto della casa dei Loredan, che hanno una casa proprio nera, che quando con il Marco vado a saltare vicino al Piganzo, e lì c'è la casa nera dei Loredan, io lo proteggo. Perchè lui il Marco ha una tale paura, che si aggrappa con le unghie alla mia pancia e affonda la sua testolina fifona dentro la mia schiena, lì, sai no, in quella parte del corpo che la mamma quando accusa i dolorini alla schiena, chiama zona lombare. Intanto io faccio da scudo. A parte quella volta che pioveva e per terra c'era un tale paciugamento che mentre proteggevo il Marco, e tiravo fuori dallo zaino l'ombrello della nonna Maria, quello con le macchie di gheopardo, non so come, sono caduto, e sono scivolato sulle foglie impantanate. E sai, come capita spesso in questi casi di cadute, ho perso gli occhiali e non ci vedevo più tanto bene. C'era quasi buio e si sentivano dei rumori paurosi, di vento e pioggia insieme, e qualche lamento che secondo me proveniva dalla casa dei Loredan, anzi ci giurerei. E lì, bhè sai, lì un pò di cagarella l'ho presa pure io. E con il Marco siamo tornati a casa, più veloci della luce, roba da non crederci. E poi io mi sono infilato nel letto della mamma, nel suo petto morbido di pizzi e cotone. Lo so questa non è una cosa da veri duri, comunque è successa solo una volta, non ne ricordo altre.
Perché io, dicevo, sono un vero duro. Per esempio quando io e la Lisetta andiamo al cinema a vedere quei film sentimentali che piacciono alle femmine, bhè, e camminiamo lungo una strada che te la raccomando, ci sono certi malviventi, certi delinquenti. Bhè io sto dritto come un asse da stiro, con gli occhi attenti, e faccio passare il braccio sinistro dietro il collo della Lisetta, per tenerla al sicuro. E se qualcuno si avvicina, li mollo un destro che se lo ricorda per tutta la vita.
E poi bhè quando vado ad aiutare il papà in autofficina, dovresti vedere come sono bravo a riparare le macchine, con l'unto e il grasso dell'olio, che poi è un lavoro di responsabilità, che se non lo fai bene, poi i clienti li senti e tirano certe madonne che il babbo quasi si intimorisce. Io no, io li mando a quel paese, ad ogni modo non capita quasi mai, perché il mio lavoro lo faccio proprio bene.
Il problema zio Carlo, non so come dire, sai, non è una cosa facile a dirsi, ma quando sono solo mi piace piangere, mi godo da matti a farmi lunghi piagnistei che mi rigano le guance, e poi a tirar su lacrime con la lingua, come se la lingua fosse una paletta di plastica con cui i poppanti raccolgono l'acqua del mare. Piango in continuazione quando sono solo: per esempio nel sottoscala, ecco vedi, nel sottoscala, dove la mamma mi manda a prendere il latte, quando nel frigo è finito, mi faccio di quei pianti da far venire la faccia brutta e rossa come un pomodoro. Oppure piango sotto la doccia, che lì non mi vede nessuno perché tiro sempre la tenda. A parte questo io sono un vero duro, proprio come te.

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