pudenda

mercoledì 29 settembre 2010

Poi ci ho pensato su

domenica 26 settembre 2010

Una giornata a Venezia

La città senza strisce pedonali.
La Firenze eternamente allagata.
L’Amsterdam del sud Europa.
La città del Mose.
Mosè.
Che la divise dalle acque.
Col Mose.
Acqua alta.
Gondole ovunque.
Taxi senza ruote.
Umidità del manto stradale.
Turisti americani.
Bella pizza.
Bello Lido.
Bello George Clooney.
Ancora acqua.
Chiesette qua e là.
Edifici storti.
Persone diritte.
Sotoporteghi sporchi di carnevale.
Fragole marce.
Morti a Venezia.
Nebbia grigia.
Acqua verde.
Calli.
Calli strette.
Turisti tedeschi.
Turisti tedeschi obesi.
Turisti tedeschi obesi incastrati in calli strette.
Acqua in abbondanza.
Pesce nell’acqua.
Puzza di pesce.
Pesce nell’aria.
Frasi piene di ics (x).
Il serenissimo campanile.
Turisti giapponesi.
La guida con l’ombrellino rosso.
Le fotografie.
Becchime a peso d’oro.
Da tutto il giorno loro ti scrutano dall’alto.
È il pianeta dei piccioni.

sabato 11 settembre 2010

Balconing

Salve a tutti, approfitto di questo blog per raccontarvi la mia storia. È una storia un po' triste, ve lo dico così prima di procedere -suggerisco- potrete prepararvi un drink ristoratore. Un whisky, suggerisco.

Ero un ricercatore (primo sorso). Da ricercatore, ho passato i miei anni migliori a cercare un modo per permettere anche ai ciechi di ascoltare la musica. Quando mi sono accorto del mio sciocco errore1, nell'esatto istante in cui me ne sono reso conto, ho sentito chiudersi dietro di me la porta dei miei anni migliori ("clack!", non "sbam!": il che ha aggiunto una sottile beffa al danno).
Ho chiuso gli occhi per un attimo, ho fatto un respiro profondo, e ho raccolto la caparbietà che mi rimaneva sotto le unghie. Bene amico mio, mi sono detto2, vediamo cosa abbiamo qua. I miei anni peggiori, questo avevo davanti, questo mi rimaneva.

Quando ti rendi conto di aver toccato l'apice -lo senti, o per pigrizia decidi che ok, può bastare- è avvilente la consapevolezza che tutto il resto è china discendente3, e a quel punto capisci che il suicidio non è un'ipotesi così marrana. Andarsene, senza disperazione, senza tragedia, suvvia non siamo patetici, che mai sarà. Senza cordoglio. (Cordoglio, figlioletto, estremisti, strage annunciata: un giorno ci sarà da scrivere qualcosa sulla terminologia delle 20 e 30. Per adesso ci limitiamo a notare che è il secondo post di fila in cui in un modo o nell'altro fa capolino il suicidio. Amici miei, non vi starò forse lanciando un segnale? Forse no.)

Quindi mi sono avvicinato al balcone.
Un anonimo balcone4 di un modesto hotel di Ibiza. Mi ero rifugiato su quell'isola dopo aver visto Broken Flowers di Jim Jarmush, in barba ai nessi causali, a Ibiza forse avrei trovato momentaneo sollievo dalla frustrazione dentro qualche facile coito. Ma no, i miei trentanove anni di precariato sprecato mi premevano le spalle come un massaggiatore insolente, lo scoramento era inesorabile, non vedevo via d'uscita. Il balcone.
Mi sono sporto, l'aria di mare arrivava fino a lì, ah che inutile ebrezza, ah quanta gioventù persa -amico mio- a correre dietro ad un sogno sciocco, ho guardato in alto, il cielo senza stelle mi parlava in qualche modo di dio, sono salito sul parapetto del balcone e ho chiuso gli occhi.

Un urlo me li ha fatti riaprire, rompendo l'incanto che come si sa sempre precede il momento del suicidio. Niente tragedia, certo, era nei patti. Ma un minimo di teatralità è di dovere, in questi momenti. E invece un urlo sguaiato interveniva a rovinare tutto quanto. Ho dovuto fermarmi. Mi sono girato, e sono rimasto come si dice a bocca aperta5: dagli altri balconi, suicidi come se piovesse.

A dire la verità, non avevano la guisa che ci si aspetta da un suicida: nessun silenzio, nessun incanto, decine e decine di ragazzi si lanciavano nell'aria della notte gridando e ridendo. Un gioco, ah ah.
Ho guardato giù, dieci piani più in basso c'era una piscina. Dentro, risate e sguazzi. Al bordo, intorno, tre o quattro corpi, nel sangue. Ah ah. E ancora, in continuazione, dai balconi e dalle finestre, corpi e corpi. Ah ah, molto simpatico: lemmings.

Guardandoli, il primo istinto è stato di desistere.
Poi improvvisamente6 ho capito: l'apice della mia esistenza non era ancora raggiunto. Il picco, la gloria, era proprio in quel frangente: il salto, il volo, l'impatto. L'ho capito guardandoli, l'ultima lezione -chi l'avrebbe detto- l'ho subita così, da questi sbarbini zeppi di sostanze psicotrope e noia altoborghese, l'ho capito guardando loro. La maestosità della vita concentrata nell'arco che precede lo schianto, nel momento che precede il lancio, nello schianto stesso.
Sono tornato nella stanza, mi sono sistemato i capelli con un pettine, sono uscito di nuovo e mi sono lanciato.

Ovviamente7 ho centrato la piscina: è per questo che ora potete leggere queste righe.
Scendendo, più o meno all'altezza del settimo piano, ho pensato con un sorriso a quanto fosse in fin dei conti perfetto il contesto, ironica la situazione: un quarantenne rispettabile, in palandrana e pantofole, senza alcolici o allucinogeni nel sangue e con 18 punture di zanzara sulle gambe bianchicce, spiaccicato al suolo in mezzo a una massa di giovinastri perduti, le mie carni confuse alle loro, identità biografie e intime ragioni, tutto mischiato nel sangue, ho pensato cadendo. E ho visto, con gli occhi che vedono all'indietro, all'interno -immaginazione aperta, spazio rubato a quello che dicono dovrebbe essere lo scorrere veloce di tutta l'esistenza- ho visto cadendo l'immagine di me che cadevo, dal basso, al rallentatore, un vecchio in palandrana e pantofole e sguardo assorto, come una stella filante in mezzo ad altre stelle filanti, l'unico silenzioso, tra le urla, il solo vero suicida, ho pensato cadendo, con un sorriso.
Ma ho centrato la piscina.

Di quello che è successo poi che dire, come dirlo, è presto detto. Da lì la mia vita ha preso una piega inaspettata: sono diventato una specie di eroe per quei ragazzi, ho imparato i rudimenti del parkour e della noia altoborghese, i ciechi e la ricerca non mi interessano più8, e da allora ho capito. Ho capito che forse è vero che l'apice lo si tocca una volta sola, e più su non si va: ma è anche vero che vi si può rimanere attaccati, all'apice, facendo della determinazione una ventosa.
Ora passo le mie serate al bar con il gruppo, ci diamo fuoco alle braccia, guardiamo le partite, parliamo di Foucault. E io da qua non scendo.
Ieri il Fuz è morto mangiando una cesoia.





1 i ciechi non capiscono niente di musica.

2 io sono mio amico.
3 l'inchiostro, nel tragitto dal pennino al foglio.
4 in realtà il suo nome era Giorgio -il nome vero, primordiale, che precede e elude la nominazione- e la sua storia è invero interessantissima. Sedetevi, ve la racconto: Giorgio all'epoca del nostro racconto era un balcone schivo e taciturno, ma non era sempre stato così.
5 qua si inciampa in una domanda, mal formulata e probabilmente ubriaca: il meccanismo del riflesso concepisce la bidirezionalità? Ovvero: se muovo la coda ad un cane lo rendo felice? Se inumidisco una vagina (con una spugna, ad esempio) la rendo felice? Io stupisco ad ogni boccone, ma sono un'anima bella, non faccio testo.
6 c'è qualcosa di maledettamente triviale in questo avverbio. Quando scopro cos'è, son cazzi amari per tutti.
7 ovviamente no, dai. Ben più prevedibile è il topos della voce narrante che poi si scopre appartenere ad un morto. O tempora, se per racimolare un tozzo di stupore bisogna ricorre all'ovvio! Notabile l'impacciato ricorso a due latinismi e il riferimento allo stupore nel giro di poche righe: attenzione compagni, la spirale si fa sempre più stretta.
8 la spirale si fa sempre più stretta, il whisky spero per voi ne sia rimasta almeno una goccia.