Seduto all'aperto al tavolo di un bar Rama osservava le scarpe di tutti i passanti.
Hai superato i trent'anni, gli diceva Anna, é ora che trovi la tua strada.
Rama ditolse lo sguardo da terra e fissò il tappo di sughero posato accanto alla bottiglia sul tavolo accanto. Per un momento guardò Anna, poi prese il tappo, lo fece scurire sulla fiamma della candela del tavolino al quale erano seduti, traccio col nero del tappo una linea a terra, sull'asfalto, che terminava con una freccia.
Fissò Anna negli occhi, Ci provo, le disse.
Si alzò e inziò a camminare in direzione della freccia appena tracciata, perdendosi nel traffico.
lunedì 25 ottobre 2010
strade
giovedì 21 ottobre 2010
caffè
Anna ogni tanto, dopo minuti di silenzio, mi chiede a cosa penso.
Mi sembra sia rimasto tutto come ai tempi di Gozzano -le dico- le signorine in pasticceria che bevono il ciccolatte e si sciolgono per qualche novello dannunzio, forse con ancor meno arte. I progetti e i programmi futuri, la nuova passerella universitaria dove sbrigarsi e fare in fretta ad arraffare, tenere gli occhi aperti al buon partito. I tavolini pieni, gli spritz malfatti senza il vino fermo, le ballerine nuove e gli stivali di stagione. Le diete per snellire i fianchi, i pantaloni per fasciarli bene, le gonne corte o lunghe, dipende dalle gambe, le mode che cambiano e ritornano. Ci sono i telefoni è vero, le televisioni i computer. Niente più lettere profumate scritte a mano, niente più lacrime a bagnare le pagine o ciocche di capelli come pegno. Qualche messaggio d'amore sul telefonino, che passa di mano in mano sugli smalti colorati che guardo sempre con attenzione maniacale. Non più teatri ma concerti e aperitivi, dove conta ancora esserci e narrarsi, non mancare le occasioni.
Di solito Anna mi interrompe annoiata. E tu, mi chiede, cosa vorresti fare?
Io starei qui al bancone a bere i miei caffè, guardare attorno tutti che si accalcano, annoiarmi un poco, annoiare, per qualche anno almeno.
lunedì 18 ottobre 2010
mercoledì 13 ottobre 2010
lunedì 11 ottobre 2010
Aut Unno Caldo
Ho la finestra di fronte che mi guarda in faccia come se non potessi sfuggirle. Le altre restano spente, forse non se la sentono di spiare. Il suo occhio (di bue) mi penetra nella stanza, scuiando la mia intimità, pelle dopo pelle dopo pelle. Vedo allora le mie budella gettarsi di sotto e l'esplosione che è un controbalzo sordo. Un piccione scuote la testa, un altro vomita sul davanzale, mentre quell'uomo (sempre quello) brucia foglie di carta per dare un ritmo al tempo. Stanno le macchie sull'asfalto a testimoniare le pisciate notturne, forse le avventure di uccelli ubriachi, alla ricerca di angoli bui: per volare. Ho la fronte calda, sarà l'autunno. Ho le mani fredde, sarà che il riscaldamento non è ancora acceso (dov'è quello globale quando serve?). Non c'è più la finestra che mi fissa, l'hanno spenta, allora per solidarietà spengo anche la mia; poi mi spavento, scosto la tenda: nessuno scherzo. Stanno le foglie, come le mie convinzioni, per cadere. L'autunno suda, senza correre il rischio di scaldarsi troppo; noi ci agitiamo, ma l'agitazione non riscalda, è solo uno sbalzo di pressione.