pudenda

giovedì 31 luglio 2008

Lacan system v2.0


Finito il corso, gli studenti abbandonano l'aula.
Dal crocchio di persone che lentamente defluiscono si stacca una ragazza che, tenendo in braccio il blocco degli appunti, si avvicina con passo timoroso alla cattedra.
-Professore?- mormora la studentessa abbassando un pò il capo quasi a voler incrociare lo sguardo del docente
-Si?- risponde il Professore alzando gli occhi per un attimo dalla sua borsa aperta
-Volevo farle una domanda...so che può sembrare stupida...- dice lei con voce incerta
-Dica, dica pure- incalza il Professore con tono accomodante
-Beh volevo sapere:...secondo lei...cosa c'è dopo la morte?-
Dopo un attimo di pausa, il Professore alza le sopracciglia, raddrizza la schiena, si gira verso la studentessa:
-Un monolocale, molto stretto.-

mercoledì 30 luglio 2008

Lacan system v1.0

di Enrico Mazzardi


Ecco un gioco di specchi ideato da Jacques Lacan.

















È a tutt'oggi l'unico strumento col quale Giuliano Ferrara riesce a intravedere il suo pene.

lunedì 28 luglio 2008

Senti cos'è il mangiamerda - Take three


Safety Broadsheets


domenica 27 luglio 2008

Sonno


L'otto maggio Helmut andò finalmente dal dottore.
"Credo di avere qualcosa che non va" disse.
"Mi dica."
"Tutti i giorni a una certa ora mi prende una specie di stordimento. Fatico a tenere gli occhi aperti e mi mancano le forze, e a un certo punto perdo completamente i sensi."
"Mmmm.... E quanto tempo è che ha questi sintomi?"
"Beh, praticamente da sempre. Cioè, non ricordo quando sono iniziati. Capita quasi sempre dopocena. E riprendo i sensi solo quando è già mattina, spesso piuttosto stordito."
Il dottore si fece scuro in volto, si avvicinò e prese il polso di Helmut tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal taschino del camice una penna, la puntò negli occhi di Helmut muovendola a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga la maglietta."
Helmut si tolse la maglietta e seguendo un gesto del dottore si sedette sul lettino. Il dottore disse: "Adesso mi dica quando le fa male." e si chinò verso il suo petto, gli prese il capezzolo sinistro tra i denti e cominciò a stringere. "Ahia!" disse a un certo punto Helmut, e il dottore si rialzò.
In silenzio tornò a sedersi alla scrivania. Prese un foglio e cominciò a scrivere.
"Allora? Cos'ho?"
Il dottore lo guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Niente di così grave. Niente di urgente. Ecco." Gli porse il foglio. "Prenda una di queste pastiglie al giorno. E soprattutto prenda aria."
Helmut si alzò e strinse la mano al dottore. Sorrise, cominciava già a sentirsi risollevato.
"Mi raccomando" gli disse il dottore accompagnandolo alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 27 luglio Helmut morì di sonno.

sabato 26 luglio 2008

Senti cos'è il mangiamerda - Take two


venerdì 25 luglio 2008

Moonwalking


Mio padre un giorno mi mise una mano sulla spalla e mi disse "vieni figliolo, andiamo fuori a guardare le stelle." Io sulle prime stavo per mettermi a ridere, ne avevo sentite troppe di frasi simili nei telefilm americani, ma poi vidi mio padre che si grattava i coglioni e capii che era autentico, che quello sarebbe stato veramente un momento importante.
Così uscimmo e ci incamminammo, come quand'ero bambino facevo fatica a stare dietro al suo lungo passo, verso il buio dei campi, nella sera. Era una notte limpida, la luna a metà mi sembrava una fetta di torta gigante, il resto del cielo era pieno di stelle.
Vivevo ancora in campagna, allora, e mi piaceva andare scalzo nell'erba, cercando di avvicinarmi ai grilli senza zittirli, mi piaceva salire sugli alberi e togliere le ali alle rondini, ma quella sera ero già grande, camminavo cercando di stare dietro a mio padre, che in quella casa ci era nato, che andava sicuro, nella notte.
Sapevo che si sarebbe messo sotto il noce, si chinò piano come per raccogliere qualcosa e poi mi guardò. "Siediti", mi disse, "Vieni qua."
Mio padre parlava molto raramente, e quando lo faceva stavamo tutti in silenzio. La luce della luna disegnava il contorno chiaro del suo volto, l'altra metà della luna, i suoi grandi occhi neri guardavano me, guardavano il cielo.
"Guarda." mi disse indicando il coperchio di stelle, "Sai quante sono?" Io rimasi in silenzio, era quello che dovevo fare.
"Chiunque direbbe che sono infinite" proseguì, "Incommensurabili." e si accese una paglia.
"Invece no. Sono dieci." Non riuscii a tacere: "Come dieci? In che senso?"
Lui non rispose, controllò l'orologio e puntò il dito alla luna. Io guardai il dito, bianco e magro, lui disse: "Guarda. Vedi dov'è la luna adesso, intorno a lei c'è la stella. L'unica stella, formata dalle uniche dieci."
Io alzai la fronte, senza capire. Il cielo era come al solito una folla indistinta di puntini bianchi, non ero mai stato capace di distinguere le costellazioni, quando mi dicevano Guarda quella è la polare io rispondevo Ah sì, ma il cielo rimaneva una folla indistinta di puntini luminosi. Delle stelle mi interessavano i significati nascosti, come ad esempio quella cosa di Confucio che diceva che le stelle sono buchi attraverso i quali filtra la luce dell'infinito.
"Ci sono dieci stelle" disse mio padre aspirando le ultime boccate di fumo "che corrispondono ai dieci angoli della Grande Stella a cinque punte, quella attorno alla luna proprio adesso." Mio padre si girò e mi guardò negli occhi. "Non conta la loro luminosità, alcune quasi non si vedono. Conta quello che ci possono dire."
Si sdraiò sull'erba, si accese un'altra sigaretta e cominciò a fumarla. "La luna in quel punto tentenna, va più lenta, abbiamo tutto il tempo." Qualcosa mosse le foglie del noce.

"Sai, quando avevo esattamente la tua età un giorno mio padre fece esattamente la stessa cosa con me. Ci sono delle cose che la vita mi ha dato, Blanket, delle cose che ho imparato. E io, come mio padre prima di me, le ho messe nelle stelle. In quelle stelle."
Si grattò i coglioni e cominciò.
"Quella là in alto è Algenib di Pegaso. Guardandola ricordati di questo, figliolo: non ridere mai in presenza di storpi."
"Quella in basso a sinistra è Lucertola 5. Ti insegni ad assumere sempre una posizione aereodinamica. Sempre."
"Quella ancora più a sinistra non è una stella, è la nebulosa Manubrio. Quello che ci dice è che non si è mai troppo vecchi per un pò di karkadè."
"Aldhibah del Dragone, più giù, significa prendere aria. Prendere aria fa bene, figliolo, anche se non c'è il sole."
"Sotto c'è Izar di Boores. Il suo suggerimento è prezioso: annuire a occhi chiusi fa apparire intelligenti."
"Più su, esattamente sotto la luna, c'è Giausar del Dragone. E' una verità da non dimenticare: Topolino è la traduzione di Mickey Mouse, e non viceversa."
"Ancora in basso, vedi là, a destra, quella è Acubens del Cancro. Cozze abbottonate, ricordi?"
"Risalendo, guarda là, accanto alla luna. E' Prijipati di Auriga. Nella sua austera semplicità è scritto questo: di onorare il padre e la madre."
"Quella sopra, ancora più a destra, è Aldebaran del Toro. In lei ritroverai sempre queste mie parole: la terza volta, fatti pure prendere dal panico."
"Infine, sopra la luna, quella è Almach di Andromeda. La sua luce ti ammonisca ogni notte, figlio mio, in ciò che dicono i suoi raggi: il suicidio è molto pericoloso. Molto."
E rimanemmo nel silenzio stellare dei campi.

Quindi mio padre si alzò, e con passo leggero e lungo si avviò verso casa, lunare come quel personaggio di Calvino. Quando fui solo, fissai il cielo ancora per un pò, cercando di ritrovare le stelle che mi aveva indicato. Le avevo già perse tutte.
Solo anni dopo avrei comprato una mappa della volta boreale, quella notte guardavo gli indistinti puntini ripetendomi in bocca nomi e insegnamenti. Sarei mai arrivato anch'io a mettere nelle stelle così grandi verità? Mio padre era grande come la luna, come la luna usciva piano dalla sua stella a cinque punte, sarei mai stato grande come lui, come il re del pop?
Mi distesi a guardare i fili d'erba.
Cozze abbottonate, rimuginavo, che mai vorrà dire?

martedì 22 luglio 2008

Senti cos'è il mangiamerda - Take one


venerdì 18 luglio 2008

Quelli come te

Charles Fiori è un poeta padano che per una scelta stilistica compone solo versi in romanesco macaronico, vale a dire romasceo un po' venuto male, perchè lui a Roma non c'è mai stato, a dire il vero non è mai uscito dal Veneto e per questo lo chiamano anche il Trilussa Padano.Con questo fatto di scrivere poesie in romanesco Charles ha preso pure a parlare in modo simile, un romanesco un po' abbozzato e fuori tono

L'altra sera ero al circolo con Charles a bere birre disperate mentre gli altri avventori parlavano di progetti per le vacanze, montagne dolomitiche o isole remote piene di belle donne e bibite fresche.
Si parlava poco con Charles che ogni tanto si fermava a metà di una birra, mi guardava e sbottava: "mortacci loro, ma li senti 'sti sorci?" e poi tornava a bere fissando un po' il tavolo un po' le facce degli altri avventori che andavano al banco a ordinare da bere.
Alla sesta birra Charles mi ha guardato in faccia per un mezzo minuto buono, poi mi ha detto "Vedi riccè, ar monno ce stanno quelli come quelli là, che so già morti e sepolti cor cemento, poi ce so quelli brutti e senza talento che se danno da fà, se fanno na famija, se mettono apposto, se fanno na vita tranquilla. Poi ce so li ricchi, che je pii un corpo a 'sti stronzi. Poi ce so l'artisti come me, che famo la fame perchè la poesia ce torce le budella. Poi ce so li famosi belli e dannati, che fanno impazzì le regazzette e morono giovani contro n'arbero o giù da un burone".
Qui Charles s'è fermato, ha finito la birra, ha preso la giacca, mi ha guradato fisso negli occhi. " E poi ce so quelli come te" mi ha detto, e se n'è andato senza nemmeno salutare.

martedì 15 luglio 2008

Quanto manca?

Stamattina nel reparto insaccati della coop ho incontrato Dio

Mi scusi- ho chiesto- quanto manca?

venerdì 11 luglio 2008

BIRROMA - Il BIRRA in Capitale





In collaborazione con la Libreria Altroquando e la Santa Sede, il fiume del BIRRA sfocia finalmente a Roma.
Gaudeamus igitur.




DOMENICA 13 Luglio
Dalle 19.45 in poi
Ai Giardini di Castel Sant'Angelo, Roma
La Bagarre Internazionale di Riviste Alternative

Orgogliosi di avere con noi:
L'Accalappiacani
Argo
Eleanore Rigby
FaM
Inutile
Metromorfosi
Mono
Sud
Tabard
Terranullius
Il Traghetto Mangiamerda





martedì 8 luglio 2008

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domenica 6 luglio 2008

Amici di famiglia


Arrivano già chiassando, che io sono ancora in camera, a studiare, gli amici di famiglia. Amici di famiglia. Amici di chi, esattamente? Resisto più che posso, chino sui libri, aspetto il clangore dei piatti, aspetto fino alla terza chiamata, poi inevitabilmente scendo. Ciao Andrea Ciao Eccolo qua 'l studioso Hai esami? Sì. La mamma che fa avanti indietro dalla cucina al tavolo il papà che cura le pentole Tre coppiette al tavolo, tre coppiette più io, grissini e salame.
Poi arriva il pentolone, capretto. Oohh il capo, qua se maja mejo de i siori, varda ti che ghe la femo anca ancò, complimenti a la coga, ci ela la coga, Andrea vuoi tu la testa? Io mi alzo, prendo il mio piatto, vado alla panca nell'angolo. Andrea, cosa fai? Stiamo stretti, sto nel tavolino dei piccoli, rispondo. Ma va la, su E va in cucina. Io rimango lì, a inforcare boccone per boccone la capra e mettermela in bocca, guardo gli Amici di Famiglia cercando di pensare alle cose più lontane possibili, lancio il mio pensiero nell'emisfero australe e intanto li guardo, e vedo che nei rari momenti di silenzio anche loro mi guardano, mi lanciano occhiate provinciali e svelte, i miei genitori quando se ne accorgono alzano il discorso, mia madre è visibilmente imbarazzata
"L'è strano, quel butel" sta pensando il Gianni "Troppo studio" sta pensando il Mario "Poarin" sta pensando il Tonio
"Chissà perchè fa così" sta pensando la Pina "Che originale" sta pensando la Maria "Mi sa tanto che è gay" sta pensando la Anna
Io nel frattempo sto camminando su dei grandi roccioni scuri appena fuori Punta Arenas, nella Terra del Fuoco. Mi faccio strada verso il roco rumbare del mare, che non si vede ancora, l'aria mi punge la gola, le pietre si fanno più piccole, si sgretolano, si sente il sapore del sale, il vento porta una specie di richiamo. Scavalco l'ultima erta, il mare è disteso in tutte le direzioni, scendo veloce sulla spiaggia, vorrei togliermi le scarpe ma c'è freddo, i gabbiani sono piccole ombre nere contro le nuvole altissime. Lontano, su una riva, c'è una foca. Un cucciolo di foca, era suo il pianto che sentivo.
Faccio per avvicinarmi ma mi chiamano per il dolce.
Il dolce lo mangio anche volentieri.

XXX fottide di tessaglia bella fica mora maialona dice porcate pussy fuck lolita college suck first anal sex.avi


"Nam si te vel modice meus ingiculus afflaverit, ureris intime nec ullus extinguet ardorem tuum nisi ego, quae dulce condiens et ollam et lectulum suave quatere novi"

[Apuleio, Metamorphoseon libri XI]

Il pre-puzio di Cristo



Allorché in Roma nel maggio del 1527 scorreva la baldanza dell'esercito di Carlo Di Borbone, un soldato penetrò nella Sacta Sanctorum e, rubbatane una piccola cassettina in cui custodivasi il Sacro Prepuzio di Gesù, se ne fuggì da Roma… ma appena giunto in Calcata, fu confinato in un sotterraneo. Quivi sotterrò la cassettina e quivi fu costretto a lasciarla essendogli resa la libertà, di cui però molto godere non potè per una grave infermità. Tornato a Roma, vistosi alla fine dei suoi giorni, confidò ad un sacerdote il luogo ove nascosto aveva il sacro pegno. Del fatto ragguagliato il papa, benché dasse a Giambattista Anguillara Signore del luogo, l’incombenza di ritrovare la reliquia, riuscì vana ogni diligenza…

Nel 1577 un Sacerdote della Chiesa di Calcata, rinvenuta l’involata cassettina, immantinente portola a Madalena Strozza moglie di Flaminio Anguillara, allora Signore della Terra. Aprì la Signora la cassettina, presenti il Sacerdote, la suocera Lucrezia vedova e Clarice Fanciulla figlia di Madalena, e vi ritrovò tre piccoli involti, ricoperti con drappi di seta, legati con filo. Si sciolsero i primi due, e si rinvennero diverse reliquie … si venne a sciogliere il terzo, sopra di cui leggeasi JESUS. Ma la Nobil Donna nell’intraprender l’opera, sentì divenire stupide le mani, il che insieme stropicciatele, tornò di nuovo a provare; ma coll’istessa sorte di prima; onde sollevata la mente al Cielo, proruppe nelle parole: Signore benchè sia peccatrice, e indegnissima di toccare cose sante, non di meno la mia conscienza mi assicura di far ciò per devozione...

Tentò per la terza volta di aprire il piccolo Sacchetto, ma di bel nuovo fù sorpresa da maggior stupidità nelle mani. Riflettendo Lucrezia a questo accidente e alle cose passate, disse: Io mi dò a credere, che in questo involto contengasi il Prepuzio di Nostro Signore di cui scrisse già il Pontefice a mio marito… Appena proferite tali parole, uscì dal piccolo involto un maraviglioso odore, che per tutta la casa si sparse in maniera, che Flaminio marito di Madalena mandò un servo per sapere che odore fosse quello che dalla camera della Consorte usciva … I presenti, temendo incorrere nella Divina indignazione se più oltre tentato avessero di aprire l’involto, cedettero l’onore di scioglierlo alla Fanciulla Clarice, dato che per l’innocenza dell’età parea non demeritasse la sofferenza del Cielo. Si accinse la Verginella al pio uffizio, e sciolto il gruppetto, fù rinvenuto appunto quello si pensava , il Sagratissimo Pre-puzio di Gesù Cristo, crespo, e duretto, e per grandezza, e colore simile ad un cece rosso…

Sparsasi la fama del felice ritrovamento, alcune donne di Mazzano, s’inviarono in processione con candele accese alla Chiesa di Calcata, e ad esse si accompagnarono molti uomini, e fanciulli. Giunti a vista della Chiesa, si gettarono a terra, e così in ginocchioni entrarono in essa. Come ebbe il Rettore posta la Sacra Reliquia sull’Altare, si riempì la Chiesa di una splendida nube, che tutto ricoperse per ben quattr’ore, senza che i divoti astanti altro mirar potessero, che nuvole, stelle, e piccole fiammelle che per la Chiesa andavano scorrendo…

Da Breve racconto della reliquia del ss. Prepuzio di n.s. Gesù Cristo, edito in Roma nel 1728.

sabato 5 luglio 2008

Poesia in boccia

Sono come l'acqua, nella boccia, del pesce

quando il pesce è fuori.


non esco. sto dentro il mio involucro,

da me, non esco anche se lui non c'è.


è andato fuori, dove? da qualche parte chissà perché

e non torna.


Nessun abbandono, le sigarette, si tratta solo di sigarette:

"Vado a prendere le sigarette, tesoro!"


ora sono solo, lui è fuori, là dove? fuori

dove non siamo insieme, perché lui, forse,

si sentiva di troppo.


Quando il pesce è come fuor d'acqua, allora, solo allora,

comincia a fumare, comincia un vizio come un altro.


Ma io non esco, resto, anzi resisto, insisto, sullo stesso cerchio,

la boccia, senza che il tempo diventi attesa.


Non ho neppure un vizio, io. Non fumo, non bevo, non vado a puttane.

Sto dentro la forma, la forma che mi dà, la boccia.


Fuori il pesce forse si diverte, forse si è perso,

forse è a disagio e vorrebbe riavermi, io, sua acqua.

Zygaena Ephialtes


Quando Diomede, il padre, mise il piede fuori dalla Passat, una brezza montana entrò a insinuarsi tra i sedili, portando al naso del piccolo Helmut odore di funghi.
"Aahh. Bene. Giù gli zaini che ci sgranchiamo un pò le gambe. Eh, Helmut, che dici, ci sgranchiamo le gambette?"
Helmut il piccolo non rispose. Letizia, la madre, gli sistemò il berretto sulla folta capigliatura nera, e si avviò verso il bosco. Helmut appena dentro le labbra era un bambino molto gioviale.
Diomede il padre saliva di buona lena i ripidi pendii sottoboschivi, una giovinezza nelle Pratiche Moffette gli aveva dato gamba e polmone. Letizia la madre procedeva con più lentezza, tenendo in equilibrio la caraffa e le tazze. Helmut si era fermato a guardare un nido di cuculo abbandonato, quando all'improvviso, nel poco cielo tra i rami secchi di una conifera, passò la bianca scia di un aereo.
Helmut guardava verso il basso, nel cielo limpido, e dal finestrino vicino all'ala si vide, tra la pianura gialla e la macchia più scura del monte. Si girò verso la ragazza seduta accanto a lui: "da piccolo una volta sono andato proprio laggiù, a funghi mi pare. Quel bosco là, vedi. E' stato quel giorno che i miei genitori sono andati in frantumi. Proprio là."
Sul nido del cuculo si appoggiò una falena, e il piccolo Helmut corse verso una roccia.

venerdì 4 luglio 2008

Antibiotico


Romanzetto picaresco autoreferenziale


martedì 1 luglio 2008

Helmut


-Quei piccoli bastardi!-
-Cosa, Helmut?-
-Lo hanno fatto ancora!-
Il professore mostrò a sua moglie la giacchetta di tweed. Al centro, sulla schiena, stava appiccicato un bigliettino: "sono felice", diceva il bigliettino.
-Su, Helmut, non prendertela. Sono solo dei ragazzini.-
-Altro che ragazzini. Basta con questa storia. Domani gli faccio vedere io.-
Il giorno dopo il professor Helmut ebbe il suo riscatto.