pudenda

domenica 25 aprile 2010

di Robert Burton

cosa ho
a che fare
con la medicina?

BINGO!

di Andrea Masotti

Quando sono entrati c'è stato un attimo di imbarazzo. Comprensibile. Io non mi sono fermato, non potevo fermarmi cazzodio, non potevo. Loro l'hanno capito, e adesso mi lasciano stare.
Tutto è cominciato in un inverno degli anni '90, all'Ariston proiettavano "A piedi nudi sul porco". Io sono entrato e ho raggiunto il mio posto in quarta fila, i primi fiati riempivano il buio della sala. Mi sono seduto e ho aspettato che la situazione si scaldasse. Al primo anale ho tirato fuori la verga eretta e dura, e ho cominciato. Da allora non ho più smesso.
La trivellazione del culo ha lasciato posto all'orgia, dall'orgia si è passati ai sadismi in lattice, un tripudio di falli dentro e fuori un tripudio di corpi, senza tregua, coriandoli di sborra disegnavano epicuree traiettorie nel basso cielo del cinema. E io sempre lì, a frizionarmi il cazzo con foga, i muscoli tesi e sudore freddo ai piedi. Mi masturbavo energicamente, l'erezione era granitica, ma qualcosa non andava. Non venivo. Non riuscivo a venire.
Il film è finito, le luci si sono spente, e io rimanevo lì, per ostinazione e per la foga che non cedeva, e lì sono rimasto, da allora.
Quel film è stato l'ultimo dell'Ariston, quell'anno il cinema porno ha chiuso, e quando tempo dopo hanno messo su il bingo mi hanno trovato ancora lì, nel mio posto in quarta fila, a masturbarmi. Operai gentili e pragmatici hanno chiuso la sala, e mi hanno lasciato nella penombra.
I mesi passavano e l'eccitazione non diminuiva, vivevo ogni giorno sempre sul margine del coito, con l'orgasmo in gola, dimenticato dalla fame e dalla sete, i sensi storditi. Forse più magro, più lento nei movimenti, con la schiena rachitica piegata su un pene perennemente fiero e sanguigno, di acciaio, a ripetermi con gli occhi chiusi "A piedi nudi sul porco" e tutti gli altri film, scena per scena.
E poi sono arrivati questi. Non so in che anno siamo, non distinguo il giorno e la notte, ho perso la cognizione del tempo. Quando sono entrati c'è stato un attimo di imbarazzo. Adesso sembrano essersi abituati a me, mi lasciano stare. Io piano piano ho ripreso vigore, tutta questa fervida attività intorno mi ha restituito freschezza, brividi di piacere scuotono lo stanco affanno di prima, solletico lungo la schiena, torno a maneggiare il cazzo con forza, su e giù, aumento il ritmo.
Forse quest'anno vengo.

io mi vergogno!

di Carlo Pigozzi

Dopo ore passate a spendere la mia vita, mi è rimasto solo un profondo senso di vergogna.
Tutto è cominciato ieri, appena nato, vicino alla stufa. Emil, mio padre, rientra dai campi e chiede a mama:
- cos'è questo?
- è tuo figlio Emil!
e fu così che divenni un bambino vero, non più un pezzo di legno, ma con la cane venne anche la vergogna, e da ieri non mi ha più abbandonato.

affittasi

a due passi dall'università
bilocale arredato
finemente ristrutturato
niente haiku

di Valeria Bigardi




EDITORIALE

L'articolo d'apertura è molto importante. Due parole: a che numepro siamo? Mezzo? Numepro? Per ora qualche consiglio attivo per iniziare al meglio l'anno nuovo.
Sul perchè, poco importa. Sul come, quando.
Morgan Freeman è ancora al potere, ma, ciò non ostante. Madonne e cicisbei, rieccoci. Non sarà un monografico. Nell'attesa

CLITOCYBE CLAVIPES

Il cappello di 3-6 cm. di diametro è di colore grigio-bruno, prima a cupola, in seguito diviene piatto con una protuberanza molto netta. I margini sono sottili e ondulati. Le lamelle spesse e spaziate fra loro sono nettamente decorrenti. Il gambo, sottile in alto, è ingrossato alla base. La carne è spugnosa: odora di sapone. È abbastanza comune nelle pinete e fra il muschio da agosto a novembre. Non è commestibile.

di Andrea Masotti


come partire

di Andrea Masotti


PARTE 1

«Secondo alcune teorie, per dissimulare la presenza autoriale e la paternità su idee e posizioni -tentativi di idee e posizioni- che il lettore può ritenere politicamente "compromesse", un buon metodo è metterle in bocca ad un personaggio fittizio, meglio se caratterizzato da tratti che non rimandino prepotentemente all'autore», disse Giacomo lo sciocco, sottolineando -con il gesto apposito- la presenza delle virgolette su "compromesse".
«E meglio ancora, aggiungerei, se queste idee vengono inserite in un dialogo», aggiunse fuor di condizionale Geremia, «un dialogo che sappia dare l'illusione del contraddittorio, ma che sibillinamente spinga verso l'unico esito possibile. Comunque Umberto Tosi è un coglione razzista.»
«Si Chiama Flavio Tosi, razza di sciocco.»

PARTE 2

Il raccontino poteva anche finire lì, incisivo e banale come una barzelletta. Ma a quel punto una voce baritonale si levò dal fondo del vagone (siamo in un treno):
«Siete patetici. Pa-te-ti-ci.»
Geremia e Giacomo lo sciocco si guardarono vicendevolmente negli occhi, interdetti. La voce continuò: «La metaletteratura ha rotto il cazzo! Basta! È ora di finirla!»
A parlare era stato Gregorio, il quale subito dopo si alzò in piedi e morì soffrendo tantissimo.

di Carlo Pigozzi e Valeria Bigardi


sabato 24 aprile 2010

LECCORNIE

di Andrea Masotti

Ieri mi si avvicina un amico di vecchia data (il 1983, era vecchia già allora. Che capodanno stanco, quell'anno), mi si accosta questo mio vecchio amico -il Teo Limone- e mi esplode nell'orecchio una panzana.
È nel suo stile, è sempre stato nel suo stile esplodere panzane, lì per lì (lì²) non ci ho nemmeno fatto più di tanto caso. Poi ci ho pensato su.

Esiste una tribù, nel sud della Nigeria, dove lo status sociale è determinato dagli sguardi. Una determinata occhiata può farti salire al vertice della piramide, un aggrottarsi di ciglia può comportare la morte.

Ho invitato il Teo Limone in cucina. Non ho detto niente, mi sono alzato, e l'ho invitato a seguirmi in cucina. Su ogni superficie ancora non piegata al diabolico gioco dell'entropia, chilometri e chilometri di leccornie.
"MANGIA", ho detto. ("Mangia!", ho tuonato.)
Il povero Teo Limone ha spalancato gli occhi,
e ci piace ricordarlo così.
Io sono uscito, con le mie ormai proverbiali scarpe.
Sono andato in via Pallone.

come fare ginnastica rimanendo (imobili) immobili

di Carlo Pigozzi


A) provate a correre
B) pensate un sacco a voi che sudate, finchè non sudate
C) cercate di mangiarvi la lingua
D) provate ancora a correre
E) contate mentalmente fino a dieci
F) cercate di toccarvi il naso con la lingua
G) correte
H) portate le lancette dell'orologio alle 15:37
I) rostitute
L) andate a casa
M) usate delle pile
N)

il paritetico

- lei ha questa malattia
- quale, questa?
- non proprio, ma le somiglia
- non la voglio
- poteva pensarci prima
- non accettiamo rimborsi
- la merce pagata...
- ape!
- due di queste dopo cena
- e se non ceno?
- si adatti
- la ringrazio gentile estraneo
...
poco dopo bussano alla porta

di Valeria Bigardi


di Valeria Bigardi


firenze (W. P.)

di Carlo Pigozzi

tre giorni sono lunghi
il trucco è non pensarci.
basta inzuppare un dito
nello joghurt, e lasciar
passare i secondi e poi
i minuti.
classificazione dei nani
prima viene eolo
e poi via tutti gli altri
a seguire, fino all'ultimo
nano
hitler

sabato 17 aprile 2010

La politica del parafango

Destra si prende una rivincita.
E pazienza per i graffi, i cerotti, il male pulsante.
Non avrà lo stesso sorriso disarmante di Sinistra,
spalancato come voragine,
affamato di indiscrezione,
bianco come un foglio senza righe.
Potrà cibarsi di analgesici però.
Reclamare attenzione.
Decidere su quale lato dovranno appoggiarsi i sogni.
E trascinarsi svogliatamente accompagnata dal ritmico tap-tap.
Destra si veste di blu.
Per farmi perdere la metropolitana.

domenica 11 aprile 2010

Alloro

Osservo una siepe d'alloro, non sono Leopardi, non vedo niente oltre la siepe. C'è il cielo sopra, ne sono sicuro, anche se per poco, poi scompare. Forse me lo metterei in testa l'alloro, ma non sono Dante, nemmeno Petrarca, nemmeno il terzo con la corona: non me lo meriterei, questo è certo. L'alloro ha un buon profumo, le mie lenzuola no, non le cambio da mesi. Mi viene sempre in mente il pollo arrosto quando annuso l'alloro, che non ci posso proprio fare nulla, mi viene sempre l'acquolina in bocca e, se sono al mercato, mi dirigo automaticamente verso il camion con i polli allo spiedo e ne compro uno. Questi tagliano la siepe, come se fosse burro, ma con il decespugliatore. L'alloro non canta come quelli che lo portano in testa, forse piange, ma io non lo sento. Oltre la siepe forse c'è il buio, la zuppa, i cavoli a merenda, ma io che ne so? Non sono mica Leopardi, nemmeno Giulio Cesare, nemmeno un cuoco. Io con l'alloro non ci faccio niente, me lo posso anche mettere in testa, così faccio l'albero come nelle recite alle elementari (mi veniva davvero bene). Annuso l'aria, la siepe è tagliata, ora vedo un po' meglio di là: ci sono le macchine parcheggiate, i motorini anche. Qui non siamo a Recanati, l'infinito non fa per noi, nemmeno l'alloro, a noi ci basta il pollo arrosto con le patate, anche quando siamo pessimisti. Ho una corona d'alloro secca in camera, era la mia, quando mi credevo ancora laureato, ora non lo sono più: taglio la siepe.