pudenda

sabato 14 maggio 2005

Concorso di poesia inutile Sergej Šaršun




IL VINCITORE


Veleggiavo

di Andrea Confalonieri

veleggiavo, sotto di me una piccola asse di fronte a me una piccola vela
quattro rotelle in tutto nel mio personal velodromo
e intorno a me
Capre macellate e Macellai incaprettati
Carne andata a male, da quanto il Male si e' fatto carne
Spremitori di limoni spremevano limoni con spremilimoni
Qualcosa di strano?
io lo faccio ogni mattina
e spremo limoni
negliocchinelleferitenellepiaghenellaboccasuperilnaso
E lascio depositare un sottile strato di succo acido sul fondocranico
così da non sentire le urla dei Maiali


siate fondocranici o fonopratici o fonografici o cronografici o mondotraffici
io mi alzo singhiozzo cinque volte e poi vomito.



GLI ALTRI:



La poesia di Felice Mandela

di Riccardo Artoni

La versione del Monti:

Del tempo che passato vuol tornare
Ricordo sol uno spremilimone:
Lo vedo sм volare nel velodromo
Quale ciclista d'incerta nazione
E sbattere la fronte alla parete
Ignaro dell'errata costruzione.
Velodromo dei sogni è questa vita
Turrita d'episodi fondocranici
Che pur ritornano agli stessi passi:
Il povero limon d'esempio è grato.




Gettonai ai gendarmi che saranno state le cinque meno venti

di Bob

Gettonai ai gendarmi che saranno state le cinque meno venti
e scribacchiai con la biro che saranno state le cinque meno venti

Tintinnai l'avvertenza che saranno state le cinque meno venti
e usufruii dello spremilimone che saranno state le cinque meno venti

Mi nutrii del pomo granato che saranno state le cinque meno venti
e fui partecipe della ciclocamperstre che saranno state le cinque meno venti

Proiettai qua e lа lo stabbio che saranno state le cinque meno venti
e dischiusi l'apparato difensivo che saranno state le cinque meno venti

Mi situai i calzerotti che saranno state le cinque meno venti
e spennacchiai il casuario che saranno state le cinque meno venti

Traslai al velodromo che saranno state le cinque meno venti
e azionai la macchina dei calcoli che saranno state le cinque meno venti

Ma te lo sai a che ora diedi principio a questi brusii fondocranici?
Alle quattro e un quarto, mi sa.




L'asfaltagatti

di Ivan Favalezza

Occorre la questione delicata mia…
Posso ammansire io Velo, gatto matto della zia?
Spremo-meningi marroni, spremo sperma color canarino,
pomi d’ottone e spremilimone: che spirali d’uso! Ho trovato!
Scippo i nervetti fondocranici della bestiola che vitale tuttora miagola…
Velo, Velo dico! Velodromo a replicare!
Lobo-stecchito, gatto ammansito!

Ma la questione si fa intricata!
Ammansito si! Ma soffre e fa miao!
Che spappolamento ‘sto smiagolamento!
Ecco gli ingredienti per farli ciao, ciao!
Rullo asfaltatore, calma malata! Velo-citа piщ non ne ha!
Gatto asfaltato e incatramato!



Spremilimone

di john veleno, figlio di madre ignota in data incerta in dubbio luogo

"ve lo do io il velodromo!"il sindaco disse...
"ma che cazzo vi credete,che i soldi li caghiamo!"
"tanto,mica son nostri"gli assessori risero...
lo presero alle spalle
lo misero su un asse
gli incisero la testa
la mente gli frullarono
giu' fino al fondo cranico.



SOGNO

di Caterina Ugoli

Notte.
Sogni fondocranici
Di luoghi panici.
Corse di biciclette
In un velodromo, agrumi a fette
Che ruotano
In uno spremilimoni.
Danzo in un giro
tondo di capriole,
sono il sole.



PENSARE

di Caterina Ugoli

Teschio come bicchiere
Sorseggio fondocranici pensieri
Liquefatti.
Estratti
Di una vita sbucciata
Di cui rimane
Come in uno spremilimone
L’acido succo.
Nessuna cerebrale astrazione
In una mente velodromo
Dove la partenza
è un inesorabile arrivo.



UNA STORIA

di Caterina Ugoli

Avanzi
Di fondocranici ricordi
Giochi di sentimenti sordi
In fibrillazione
Alla statica partenza di un velodromo.
E’ un arrivo.
Vado ma non mi muovo
E spappolo
Stritolo
Mi riduco in poltiglia
Come in uno spremilimone
Della mia vita non resta
Che una buccia giallo arancio.



Il letto nell’acqua

di Eugenio Sibona

Perso nel velodromo dei miei pensieri
Vedo tutto ciò che sento
gocciolare in fondo,
come disperso violentemente
Da uno spremilimoni.
Fondocranici oggetti svolazzano
Regolarmente come piccoli pianeti
Nell’universo dei miei pensieri.
Tosto cerco di riordinare la mente
Dopo una notte di follia.



Spremilimone indaffarato

di Marco Leonardo Pieropan

Spremilimone indaffarato
velodromo affollato:
fondocranici meccanismi
d’esistenza operosa.



in fondocranici pensieri

di Marco Leonardo Pieropan

In fondocranici pensieri
La societа spremilimoni
Pare un velodromo in cui
La merda fumante trabocchi.



impazzito velodromo notturno

di Marco Leonardo Pieropan

Impazzito velodromo notturno
d’indefinite stagioni (infantili
forse), tu fondocranico ricordo

hai finalmente il tuo turno.
Ma come marionetta senza fili
giaci inerme e mi dici:-No, non mordo

la mano che ha dato le carezze,
né lo spremilimone di tristezze.



lei mi accarezzava il pene

di bjbi boy

lei mi accarezzava il pene
nudi sul tandem
nel buio del veledromo in disuso,
piu' mi eccitavo piu' pedalavo impazzito d'amore.
gemiti fino all'orgasmo, completo.
in quel mentre caddi gioioso
e la mia testa si spezzo'.
estrasse il suo spremilimone e raccolse i miei fondocranici,
ando' a casa e bevve la spremuta,
e' cosi' che la donna divenne intelligente.



VETERINARIO

di Lorenzo Dotti

Mi trovai al velodromo
per errore di un cosmodromo,
dovevo andare all'ippodromo.

Mi chiamarono d'urgenza:
c'era un cavallo con problemi di flautolenza!
Gli davanno riso patavino
ma ahimè, serviva un canarino.
Cosм accorrevo col mio scooterone
e in mano portavo uno spremilimone.

Giunsi sul posto in poche ore
e affrontai il ronzino col divaricatore,
temevo i suoi gas satanici
per fortuna aveva solo dolori fondocranici.



IRONIA DELLA MORTE

di Marino Artebro

Cavallo da corsa frustrato tenta il suicidio:
era finito per sbaglio in un velodromo.

Famoso scienziato dа la prova matematica
che l'anima si trova nei dintorni fondocranici.
Fanatico satanista fa la fine del Re Sole.

Meringa soggetta a delirio di onnipotenza,
credendosi uno spremilimoni,
si frantuma contro un pompelmo.



Stamattina..

di Cristina Bottini

Stamattina mi sono destata tutta sfatta
aimè mi pento del gelato eri sera tutta crema..
neanche il mio caro e vecchio spremilimone plastificato
è riuscito a concentrare il succo pacato
di quel limone trovato nell’ultimo cassetto del frigo sgangherato.


Eccomi qui allora con questi dolori fondocranici che arrivano al cervello
a dover affrontare questa mattina che non promette nulla di bello
e allora mi vesto, esco e sorrido al mondo
ma non mi pongo nessuna meta visto che la mia pancia balla il girotondo
e canta come le tribщ nel lontano Congo.


Incontro per strada un mio amico che mi dice che il modo migliore
per vincere tanto malore
è andare a correre insieme al velodromo di Bresso
e allora io inizio a pensare che lui sia proprio fesso...



UNA GIORNATA STRA-STRA-SFIGATA

di Daniela Martari e Di Lorenzo Francesca

Mi sono svegliato
tutto sudato
che coglione sono stato
lo spremilimone ho usato.
Oggi piove che Dio la manda
e mi tocca uscire con quella cazzo di panda.
Al velodromo devo andare
ma non mi ricordo che diavolo devo fare.
Prima o poi mi verrа in mente
di certo non sarò cosм deficente.
Per concludere in bellezza una giornata stra-stra-sfigata
vi propongo questa cagata....
di una parola si tratta: fondocranici...
...e adesso che mi dici?????



non pensare

di Giulia Laveto

"non pensare.
fondocranici.
tieni gli occhi chiusi.
velodromo.
gustati i ricordi.
spremilimone.
la notte è giа arrivata
-sssssssssssssssssssssssswh-
la tensione aumenta."



per i clienti delle prostitute

di Bertrand Cantat

le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
sopra gli inutili pensieri
per trovare la felicitа. (fondocranici).
le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
sopra il velodromo, e
i nostri inutili sforzi
per trovare la velocitа.
le nuvole si giocano
il posto migliore nel cielo
figurando da spremilimone
sopra gli inutili ombrelli
corrosi.



ho il tuo nome scritto

di Lorenzo Mazza

Ho il tuo nome scritto
Sullo spremilimoni,
ci tengo, sai
ai fondocranici impulsi
del mio cervello d’ acciuga.
Fuggito dal velodromo del senso
La televisione accendo.
Così mi muovo in branco,
non penso, faccio come tutti fanno.
Solo che qui non è mare aperto,
anche l’ amore aderisce a un progetto
e nella plastica t’ attendo.



E’ primavera

di Lorenzo Mazza

E’ primavera.
I pollini dei platani sono lo sperma
Fluttuante nel velodromo della terra,
l’ acqua azzurra
per noi che siamo qua in cittа
è merda, è merda.
Dove allora lo spremilimoni
Regalatoti da me
Che non usasti mai
Buttare via
Inacidendo il cuore
Nei labirinti delle nostre droghe da bimbi,
fondocranici rapidi consumismi.



INNAMORARSI IN MENSA

di Fabio Grobberio

innamorarsi in mensa,
non ne so fare senza,
gia' m'innamoro in coda,
ma non la gente m'oda.

innamorarsi in mensa,
nutrire la speranza,
che oltre alla mia pancia
sia sazio, il mio cuore, ad oltranza.

l'amor nasce col primo,
tutto appar assai divino,
ma la pasta che e' gia' scotta,
lascia in me l'amaro in bocca.

un'amor dura un panino,
ma gia' credo al mio intestino,
e' rosetta, e' mantovana,
ma che sia buon, speranza vana.

passo quindi al mio secondo,
che aime' e' sol contorno,
la mia cotta ancor perdura,
non piu' carne, sol verdura.

sto mio pranzo abbagliato m'aveva,
ristorator gia' mi shermiva,
se tanto gentil e fresca pareva,
l'insalaton ch'egli m'offriva,

e nell'istant in alto miro,
femminil meli appesi al cielo,
occhi di donna m'illuminan d'in mensa,
rischiaran del cibo or la valenza.

d'innamorarmi in mensa,
non so ancor farne senza,
ma in grembo ho la sapienza,
d'alimentar intolleranza.

el mio disnar m'er dolce in questa sala,
ma l'ingerir distratto er cosa mala,
el mio vassoio sdrucito io piglio,
tenea tutto il mio pasto el suo travaglio.

giunto il vaneggiar ai carrelli amaramente,
pentersi, e il conoscer tutto, chiaramente,
quanto piaqque in mensa era sogno eccipiente,
el mio amor del di', in mensa, mente.



Il cannone me lo merito

di Giuseppe Trupia

Il cannone me lo merito
di quelli da effetto fondocranici.
Magari non me lo merito ma me lo fumo subito.
Scusa? me lo spremi un limone.
Sparo tutto: scorze, semi, e limoncello sputato.
Un milione di danni...ho il destro facile.
Puntatina al velodromo.
L'atleta tocca il fondo. E' finita.



GLI IRRIDUCIBILI

di Andrea Senzacognome

Fondocranici,
psichedelici,
tragicomici
minchioni
seduti smutandati
sopra uno spremilimoni
fan perno su se stessi
girando intorno
come un ronzino
in un velodròmo:
sempre ultimo,
ma mai domo.



velodromo

di Giacomo Manfrini


velodromo
spremilimone
fondocranici
nell'aere
vespertina.



IL LIMONCINO

di Martina Segre


Vi sarà capitato, almeno una volta;
suvvia! Una giornata storta,
di impugnare con mano decisa
una mezzaluna giallognola e lisa.
Gira e rigira nello spremilimone,
ecco lo schizzo ed il bestemmione.
Fondocranico di un tipo,
hai l'occhio tutto irritato
è inutile che pensi al velodromo,
con quell'occhio martoriato.
Con cordoglio ti sto vicino,
povera vittima del limoncino.

martedì 10 maggio 2005

La riforma De Maio

di Riccardo Artoni

Facciamo dunque morire in noi – disdetta! – lo spettro dell’ignoranza e apriamo una pagina meno idiota, ma forse altrettanto incomprensibile ( e viceversa). Col decreto 270 del 22 ottobre 2004 (Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.), apparso in novembre sulla gazzetta ufficiale, è stata varata la riforma De Maio, o riforma a Y. Di cui Adriano De Maio nega oggi la paternità; ma in questi, come in altri, casi, mater semper certa, pater numquam.

Parla il Ministro
"Abbiamo raggiunto un'altra importante tappa per rendere il sistema universitario più efficiente e rispondente alle esigenze di una società in sempre più rapida trasformazione", ha commentato il Ministro Letizia Moratti. "Con la revisione del Decreto che ha istituito il 3+2 sarà garantita una maggiore flessibilità alla progettazione formativa e saranno, al tempo stesso, riqualificate le lauree in modo da potenziare il raccordo con il mondo del lavoro e consentire più opportunità di sbocchi professionali. L'Università italiana", ha concluso il Ministro, "ha ora gli strumenti per assicurare ai nostri giovani sia la qualità dell'offerta formativa sia titoli maggiormente spendibili sul mercato del lavoro".

In sostanza cosa prevede il 270/04
Il 270/04 va oggi a sostituire il 509/99, decreto che rappresentò l’introduzione della riforma detta “del 3+2”. Il nuovo testo modifica il precedente per quanto riguarda la denominazione di corsi e titoli di studio, la definizione dei crediti formativi universitari, i criteri d’accesso alla formazione “superiore” (laurea magistrale), ed introduce la novità da cui viene il nome di “riforma a Y”. In breve analizziamo i punti salienti del decreto legge.

Denominazioni dei corsi e dei titoli
Il 270/04 mantiene la definizione di “corsi di laurea” per i corsi di laurea triennale e rinomina i corsi di laurea specialistica come “corsi di laurea magistrale”, al termine dei quali vengono conferiti rispettivamente i titoli di “dottore” e “dottore magistrale”. Questa definizione è retroattiva, quindi saranno “dottori magistrali” anche tutti i laureati secondo ordinamenti precedenti il 1999 (ovvero tutti i laureati del “vecchio ordinamento”).

Crediti
Con questo decreto viene mutata la definizione dei crediti formativi universitari (CFU); si passa infatti, nel quantificare il valore di un cfu, da “25 ore di lavoro” (509/99) a “25 ore di impegno”. Inoltre il rapporto ore di lezione/ ore di studio che contribuisce ad assegnare i crediti agli insegnamenti è definito attraverso i regolamenti didattici di ateneo, non più per decreto ministeriale.

Percorso a Y
I corsi di laurea afferenti ad una stessa classe, o affini, dovranno introdurre nel manifesto degli studi un anno comune, dopo il quale potrà avvenire la differenziazione (da cui il nome di “Riforma a Y” che è tanto [..] piaciuto ai giornalisti) in due percorsi distinti: un percorso “metodologico-formativo”, costruito per accedere ai corsi di laurea magistrali, ed uno “professionalizzante”, creato per favorire l’ingresso del laureato nel mondo del lavoro; il primo anno comune servirebbe per garantire a tutti conoscenze scientifiche di base.
È assoluta facoltà dell’ateneo, infine, decidere come debba avvenire la separazione nei due percorsi; il decreto non fissa punti di diritto, meccanismi di passaggio dall’uno all’altro orientamento, o criteri di scelta/selezione.
Le classi di corsi di laurea, o le suddivisioni per affinità, verranno decise per decreto ministeriale; per adempiere alle norme transitorie e finali, tra cui questa ridefinizione, sono stati istituiti 7 tavoli tecnici, coordinati da un comitato tecnico-scientifico, i cui lavori dovrebbero concludersi entro marzo 2005. Da ciò che è trapelato i lavori si sono incentrati più sulla definizione delle deroghe al decreto per quanto riguarda la classe delle lauree in giurisprudenza.
Infatti per tali corsi di laurea si prospetta un ordinamento a ciclo "unico", ovvero l'accesso diretto alla magistrale dopo il primo anno comune (in sostanza, "1+4").
Questo è motivato dall'interesse civile di tali corsi (seppure i maligni affermino trattarsi della consueta "simpatia" del ministro per l'area giuridica), che non potrebbero formare figure professionali adeguate in soli tre anni.

Criteri d’accesso
In confronto al precedente decreto, il 270/04 determina la definitiva separazione giuridica di laurea e laurea magistrale, affidando a quest’ultima un curriculum di 120 crediti (non più 300). In merito a questa separazione, viene accentuata la “necessità” di una selezione per l’accesso a tutti i corsi laurea magistrale.
Infatti, per tali corsi vengono previsti criteri d’accesso, da definirsi autonomamente attraverso i regolamenti didattici di ateneo. Inoltre, perfino tutti i corsi di laurea (triennale) devono possedere una qualche forma di valutazione della preparazione dello studente, che comporti anche l’assegnazione di eventuali obblighi / debiti formativi da assolversi nel primo anno di iscrizione.

Critiche
Il 270/04 pone forte accento sulla selezione, che deve avvenire soprattutto all'accesso alla laurea magistrale; si vuole far saltare, anche con la separazione dei percorsi, il diritto ad una formazione completa, che comprenda tutti e 5 gli anni del corso di studi. È ragionevole pensare che questo sistema non favorirà tanto i più meritevoli, ma coloro i quali potranno permettersi economicamente lo studio a tempo pieno (non quindi gli studenti lavoratori o i lavoratori studenti).
A tale proposito, non viene più garantita neppure un'equità di contribuzione tra laurea e laurea magistrale; le tasse studentesche potranno essere più elevate per chi si iscrive a quest’ultima, motivate dalla necessità di utilizzare strutture e laboratori specializzati, unitamente al minor numero di studenti, dovuto ai criteri d’accesso.
In aggiunta a ciò, saltano molte garanzie per gli studenti.
In primo luogo, la diversa definizione dei CFU rischia, per la sua ambiguità, di lasciare spazio alle angherie ed allo strapotere dei baroni, a discapito delle ore di studio personali.
Per quanto riguarda la Y, invece, non è chiaro con quali criteri avverrà il travaso nei due percorsi, se si tratterà di una libera scelta dello studente o vi saranno filtri sul merito. Non viene detto neppure con precisione se e come si possa passare da un percorso all'altro. È evidentemente inaccettabile che non si faccia cenno in nessun luogo al diritto di ognuno di iscriversi al percorso desiderato, lasciando anche in questo caso la decisione dei criteri all'autonomia degli atenei.
La definizione delle classi di appartenenza, e l'accorpamento dei corsi al primo anno, possono inoltre giocare a sfavore dei piccoli corsi, che dovranno cambiare il manifesto degli studi senza troppe possibilità di negoziazione.
Per i criteri di accesso alle magistrali, si rischia il far west: differenze di trattamento tra corsi di studio affini, o criteri decisi autonomamente e senza ragioni, motivati solamente da inutili orgogli localistici.
Il fatto, poi, che questi criteri vengano lasciati ai regolamenti didattici di ateneo, può dare spazio ad ingiustizie locali di ogni tipo; è assolutamente indispensabile, perciò, una presenza attiva negli organi di rappresentanza, e comunque uno spirito critico ed attento a ciò che vi si decide. E' pure opportuno ricordare che le limitazioni al diritto allo studio non possono essere stabilite per decreto, ma solo per legge.
Sembra quindi esservi spazio per eventuali - e giusti - ricorsi in caso di esclusioni dai corsi di laurea magistrale.

Questo pare l'ennesimo attacco ai diritti fondamentali degli studenti, cioè al diritto all’accesso, al diritto allo studio ed al diritto al sapere, diritti che ricordiamo espressi nientemeno che dalla Costituzione Italiana; attacco che si può inserire nel disegno operato dal Ministero e dalle lobby trasversali, trasparenti o meno (vedi associazione Treelle), di creazione di una università d'eccellenza e d'elite, a scapito dei suddetti diritti, minacciando qualità e continuità del percorso formativo.

APOCALISSE!

ovvero: della mercificazione del dolore
di Matteo Todeschi

Sparare a zero sulla “cattiva maestra televisione” è diventato fin troppo semplice di questi tempi.
Tacciata di immoralità, di licenziosità, di brutture, siamo tutti contro di lei. Tutti. Nessuno escluso.
Persino i vertici delle dirigenze, conduttori ultra-famosi e veline stupide quanto belle sono capaci di criticarla.
Ma c’è una cosa di cui nessuno sembra accorgersi e che è il maggior pericolo che la televisione può arrecare alla società e al costume…
Ma come?! direte voi. E i culi in primo piano, e gli opinionisti?!
Ebbene sì, rispondo io, ancora più pericolosa delle frotte di anonimi opinionisti che si accalcano
ogni giorno davanti ai microfoni di Studio Aperto.
Ed è sempre Studio Aperto il campione prediletto di questa abominevole tendenza: la mercificazione del dolore.
“APOCALISSE” agonizzava Studio Aperto, ridondando nel doppio mento di Paolo Liguori, quando il tremendo Tsunami investiva il sud est asiatico.
Vero. È un’apocalisse. Ma è questo che dà loro il diritto di sbattere come sfondo l’immagine del cadavere di un bimbo coperto di fango tra le braccia del padre, come una Pietà post-atomica?
Quel bambino ci è stato spacciato come morto. E invece si è salvato.
Quel bambino è diventato il simbolo del regime intrattenitivo che aleggia nell’etere, delle bugie che i telegiornali ci propinano ogni giorno per “intrattenerci” ad ogni costo, per commuoverci ad ogni costo.
E noi siamo diventati schiavi di questa tendenza, orrenda tendenza.
Lacrime, dolore, pianti, strilla compongono il 70% dei servizi che passano i telegiornali delle reti nazionali. E noi ci stiamo assuefacendo. Ci stiamo tramutando in pallidi esseri senza sentimenti propri che hanno bisogno di una canzoncina melò e di quattro parole patetiche di un tigì per emozionarsi.
Ogni fatto di cronaca nera è un’occasione per sparare un polpettone sulla vita, sull’ipotetico futuro e sui sogni della vittima. Sulla RAI intanto Giorgino parla a vanvera di “globalizzazione del dolore”, centrando ignaro il nocciolo della questione.
Manca poco che anche Liguori si metta a piangere in studio.
E così è tutti i giorni. Con Il Piccolo Samuele, La Povera Giusi, L’Eroico Avvocato Taormina.
Pianti strazianti si alternano a servizi sulla moda milanese.
L’inviato che si improvvisa il migliore amico dei parenti delle vittime, che penetra in casa loro, che fa domande agghiaccianti, senza il minimo tatto.
Il giornalista in studio che recita le notizie con tono teatrale, da tragedia attica, ma che con la stessa facilità di Giano volta faccia, e risponde sorrisi finti a lacrime vere, di dolore vero.
La cosa necessaria in questi casi è avere sempre rispetto per il dolore altrui. Studio Aperto invece lo vende. Ne crea confezioni curate, pratiche e ce lo sbatte in faccia. E noi a Bocca Aperta davanti al televisore ne beviamo ogni giorno. Questo è il vero inquinamento delle menti, non il revisionismo, nè la censura, né le veline scollacciate (quelle al massimo potrebbero distrarci dal problema principale), ma il patetico, che rende tutto così patinato, freddo, insensibile e di facciata. Tutto si trasforma in intrattenimento da palcoscenico di secondo livello, quasi dovesse fare a botte a colpi di share con Beautiful.
Faccio il pessimista. In un futuro non troppo lontano saremo esseri che si lasceranno andare al panico quando Godzilla© emergerà dall’oceano per mangiarci tutti. Ma solo quando un giornalista ci darà il via.

Michele Barbolini
g
PO-DÌO
(Invochiamo il Signore nelle sue varie forme perché ci liberi dal male)
h

Enrico Mentana sollevato dal suo incarico al tg5. Gli succede Carlo Rossella direttore di Panorama, gli succede il direttore della gazzetta.

Non pensare che fa male.

Le Lecciso a domenicain a striscialanotizia a portaporta su Repubblica L'unità il Corriere Libero ecc ecc ecc

Non pensare che fa male.

Barbara Palombelli a portaporta difende le Lecciso. C'era anche Crepet, intellettuale di punta della nazione.

Fitta allo stomaco

Il giorno dopo al programma della Palombelli in radio ospite Paolo Crepet.

Dolori al fegato.

Il giorno dopo al programma della Palombelli in radio ospite Bruno Vespa. Che bello il suo libro, che bello il suo libro. Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere consiglia il libro di Vespa. Che bello il suo libro.

Non pensare che fa male.

Giuliano Ferrara è un grande giornalista.

Non pensare che fa male.

Libero è un quotidiano.

Non pensare che fa male.

Emilio fede è un gran Professionista.

Costipazione.

Maurizio Costanzo fa una trasmissione la mattina, una la sera, una la domenica. Al pomeriggio c'è la De Filippi.

Non pensare che fa male.

D'alema alla beatificazione del fondatore dell'opus dei.

Succhi gastrici nella gola.

Lilli Gruber nuovo volto della sinistra.

Non pensare che fa male.

Flavia vento nella Margherita.

Intestino in subbuglio.

L'università italiana è al collasso. Milano Roma Firenze, milioni di euro di debiti.

Non pensare che fa male.

Giorgini invitato all'università come grande giornalista.

Non pensare che fa male.

Raddoppia il numero degli esami, non raddoppiano le sessioni.

Tachicardia

Raddoppia il numero dei corsi, non raddoppiano i professori.

Non pensare che fa male.

Gerry Calà all'università.

Non pensare che fa male.

Non possiamo non dirci americani.

Dolori alla milza.
Le cinque giornate di Milano è una fiction antifederalista.

Non pensare che fa male.

Il grande fratello l'isola dei famosi campioni la fattoria.

Se bestemmi sei fuori.

APOTROPAICA CUCINA

di Marta Menditti

Terapia d’urto contro ansia avvilimento disillusione
Apertura a momenti di contemplazione maturazione illuminazione zen
Riscoperta, recupero di misture tinture alambicchi ricettacoli pozioni
Insomma ANTIDEPRESSIVA. ANTISSETICA ALCHEMICA CUCINA
Per riequilibrare estremi funambolismi, risvegliare ardenti umori e combattere cibi pronti, organismi non meglio identificati ma abilmente chiamati additivi correttori d’acidità taftà quaquaraquà e gustare fragranti bocconi di amabile PANE.
La ricetta che vi propongo me l’ha passata la nonna che a sua volta ha ricevuto dalla mamma che le è stata insegnata dalla nonna.
Insomma la ricetta sforna signori Pani grazie a un segreto tramandato da generazioni, frutto della ricchezza sapienzale che stiamo furbescamente perdendo che saggia racconta di attenzioni e intuizioni che hanno trasformate necessità in virtù!
A voi l’esperimento e la deguastazione!!!

INGREDIENTI:
1Kg di farina possibilmente di tipo 0
1 cubetto di lievito di birra
1cucchiaio di sale fino
1 cucchiaino di zucchero
acqua tiepida quanto basta
e l’ingrediente a sorpresa: 1 patata lessata

Versate a fontana la farina, se possibile setacciata, aggiungete il sale, lo zucchero e la patata lessata e schiacciata. Sciogliete il lievito in una tazza con dell’acqua tiepida, attenzione che acqua troppo calda uccide i fermenti e fredda non li risveglia. Unite il tutto con altra acqua sempre tiepida e impastate fino ad ottenere un impasto elastico lavorandolo con energia e lanciandolo come boomerang per accertarvi dell’elasticità ottenuta. Coprite l’impasto e tenetelo in un ambiente familiare lontano da correnti d’aria e perturbazioni. I fermenti sono metereopatici. Lasciatelo riposare e voi con lui per un’ora. Rimpastate e fate lievitare per un’altra ora magari concedendovi altrettanta lievitazione. Accendete il forno a circa 220 gradi,a raggiunta la temperatura infornate per un’ora finché non raggiunge il colore desiderato.
La patata lo manterrà morbido per alcuni giorni.
Se lo preferite più sfizioso potete aggiungere all’impasto prima di far levitare olive, rosmarino,uvetta sultanina, cipolle caffè karkadè…pensaci te.

ELOGIO DELLA CAPRA

di Andrea Masotti
a
a
a
"Siamo figli dell'epoca,
l'epoca è politica."
Wislawa Szymborska

Vertigine. Non esattamente paura, piuttosto primordiale attrazione che su di noi esercita il vuoto, atavico istinto che ci spinge oltre l’egida di apollineo Apollo, quello degli strali come pensieri - o forse, più prosaicamente, accidiosa pulsione all’autodistruzione che chiude gli occhi e apre il cuore, e ci fa dimentichi di noi stessi. E, certo, paura di questa stessa pulsione.
Qualcosa di analogo provo ogni volta davanti al foglio bianco, incorrotto, anche solo per un momento, prima di scrivere. Poi torno a scorgermi: la metafora ha fatto il suo dovere, l’analogia dovrebbe cadere.
Ma stavolta per un po’ voglio restare, accoccolarmi nella metafora: esiste una non sottile linea di confine, momento di poesis estrema, fugace condizione che precede la razionalizzazione del nulla, Kant ancora non è intervenuto col suo rassicurante sguardo, il baratro non ha un nome e l’ebrezza non conosce la paura di sé, la vertigine.
Mi fermo qui, sul ciglio del precipizio: con le capre. E come capra sto, sapendo di me e dello spazio verticale sotto con quella conoscenza che ancora non approda al soglio di umana ratio, che chiameremo fascinazione, concessa per così dire soltanto al corpo, ai sensi.
Ma non è facile essere capra di questi tempi.
Questo momento passa, è un istante. Poi mi abbandono all’abisso, lancio nel vuoto la mia riflessione - che solo da questo picco, il più alto, può essere lanciata.
Mi lascio andare con goffo volo, e temo sempre di sbagliarmi. Del resto, nel tuffarmi nell’unicum che l’altro da sé comporta, rischio in ogni momento di perdere il filo che mi lega a me stesso, e mi tocca affidarmi all’istinto. Ma so di non sbagliarmi.
Avverto una paura. C’è una paura nell’aria, un diffuso timore che non si manifesta se non lo si nomina, che non saprei come nominare
esattamente; che mi provo a descrivere, cominciando da ciò che dall’acqua affiora.

Politica. Fastidio, disagio, inadeguatezza, forse noia. O, appunto, paura. E’ un tremore sensibile quello che si respira al solo pronunciare questa parola, si è costretti a stare attenti, a non usarla se non in caso di estrema necessità. I motivi sono diversi, e in buona misura legittimi: all’idea di politica riesce più immediato associare il modello democratico in uso - come si è visto, fallace e ottimizzabile - con speciale riferimento ai giochi di potere che sono quanto di più lontano dall’interesse e dall’effettiva conoscenza del cittadino, quando non perfino la politica particolare di questo governo - e in questo caso una presa di distanza derivata dal disgusto sarebbe quantomeno comprensibile.
Ma più a fondo questo pavido e accidioso arretrare credo denoti una fuga di responsabilità (che rivela - nonostante tutto - sussunto il concetto di politica come abitazione della polis, contratto di relazione con il sociale), che è a sua volta indizio di qualcosa di ben più grave e radicato, direi patologico: il rifiuto - nonché la difficoltà oggettiva – di riflettere (soffermarsi a riflettere) sulla propria condizione. Questo accade quando per l’individuo l’introspezione si muta in utilitaristica endoscopia, quando il sistema lavora contro con inesorabile disegno, quando non c’è tempo.
Ci immergiamo. Nuotiamo trattenendo il fiato nel sempre meno poliforme e colorato fondale dell’istruzione: scorgiamo, come pesci dalla vista scissa, giovani studenti che attraversano umbratili le università italiane, sgusciano via. Entrano il mattino, escono la sera, seguono qualche lezione e nel breve giro di tre, cinque anni la risacca li lascia a riva - e non so dire se evoluti anfibi zamputi, o riversi su un lato, boccheggianti.
Essere studente significa vivere una convalescenza o un accidente di privilegio che prima o poi finirà, una fase sentita - non a torto - come transitoria. Non a torto. Ma la conseguenza più deteriore è appunto la perdita di un’occasione di intelligenza di sé e dell’epoca, attraversati per così dire a testa bassa, come muli da soma.
Io preferisco la capra. Fiera, ostinata, con un destino di saggezza scritto nella barbetta ispida, la capra si staglia con petto impavido davanti al vuoto, davanti al vuoto per tutta la sua vita caprina, e non ha paura di abitare quello stato dell’animo che ho chiamato fascinazione: è questo stato dell’animo che ci è privato, che rifuggiamo con viltà, questo intervallo fra la percezione del vuoto e il suo concetto. Così il vuoto smette di esistere, ma solo perché ne viene meno il sentimento, è un’illusoria ninna-nanna che ci lascia sul viso un disimpegnato sorriso di soddisfazione, beati dormienti.
Avvertire lo scarto fra sé e il reale dovrebbe essere l’unico viatico possibile per un’azione che ci restituisca un peso sociale, che ci renda presenti a noi stessi con coscienza, con voglia. Ma a noi stessi siamo lasciati, vittime prime di un’idea (e di una prassi) di cultura che si vuole necessariamente settoriale e utilitaristica, idea che porta a limitare la nostra libertà all’orizzonte che solo ci deve competere, una cultura dalle spalle strette ed esili, che non dà gli strumenti per farsi abitatori della polis fin da studenti, e che educa al minuto operare per l’immediato e solipsistico ritorno.
Come riuscire a riflettere sulla propria condizione, dove trovare la forze? Perché farlo?
Non è facile affrancarsi dall’abitudine di un pensiero dal fiato corto, alzarsi ad alta quota, di questi tempi: non è facile essere capra.
Ma possiamo tentare - questo giornale è un tentativo, non sarà il solo - con la forza e la debolezza che attingiamo dall’essere in qualche modo maieuti di noi stessi, consapevoli di abitare una società che si modella anche sul calco della nostra presenza.
Rifiutare di essere solo padroni del nostro destino, cominciare ad essere padroni del nostro presente, fin da ora: questo vogliamo, come capre.