pudenda

martedì 10 maggio 2005

La riforma De Maio

di Riccardo Artoni

Facciamo dunque morire in noi – disdetta! – lo spettro dell’ignoranza e apriamo una pagina meno idiota, ma forse altrettanto incomprensibile ( e viceversa). Col decreto 270 del 22 ottobre 2004 (Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.), apparso in novembre sulla gazzetta ufficiale, è stata varata la riforma De Maio, o riforma a Y. Di cui Adriano De Maio nega oggi la paternità; ma in questi, come in altri, casi, mater semper certa, pater numquam.

Parla il Ministro
"Abbiamo raggiunto un'altra importante tappa per rendere il sistema universitario più efficiente e rispondente alle esigenze di una società in sempre più rapida trasformazione", ha commentato il Ministro Letizia Moratti. "Con la revisione del Decreto che ha istituito il 3+2 sarà garantita una maggiore flessibilità alla progettazione formativa e saranno, al tempo stesso, riqualificate le lauree in modo da potenziare il raccordo con il mondo del lavoro e consentire più opportunità di sbocchi professionali. L'Università italiana", ha concluso il Ministro, "ha ora gli strumenti per assicurare ai nostri giovani sia la qualità dell'offerta formativa sia titoli maggiormente spendibili sul mercato del lavoro".

In sostanza cosa prevede il 270/04
Il 270/04 va oggi a sostituire il 509/99, decreto che rappresentò l’introduzione della riforma detta “del 3+2”. Il nuovo testo modifica il precedente per quanto riguarda la denominazione di corsi e titoli di studio, la definizione dei crediti formativi universitari, i criteri d’accesso alla formazione “superiore” (laurea magistrale), ed introduce la novità da cui viene il nome di “riforma a Y”. In breve analizziamo i punti salienti del decreto legge.

Denominazioni dei corsi e dei titoli
Il 270/04 mantiene la definizione di “corsi di laurea” per i corsi di laurea triennale e rinomina i corsi di laurea specialistica come “corsi di laurea magistrale”, al termine dei quali vengono conferiti rispettivamente i titoli di “dottore” e “dottore magistrale”. Questa definizione è retroattiva, quindi saranno “dottori magistrali” anche tutti i laureati secondo ordinamenti precedenti il 1999 (ovvero tutti i laureati del “vecchio ordinamento”).

Crediti
Con questo decreto viene mutata la definizione dei crediti formativi universitari (CFU); si passa infatti, nel quantificare il valore di un cfu, da “25 ore di lavoro” (509/99) a “25 ore di impegno”. Inoltre il rapporto ore di lezione/ ore di studio che contribuisce ad assegnare i crediti agli insegnamenti è definito attraverso i regolamenti didattici di ateneo, non più per decreto ministeriale.

Percorso a Y
I corsi di laurea afferenti ad una stessa classe, o affini, dovranno introdurre nel manifesto degli studi un anno comune, dopo il quale potrà avvenire la differenziazione (da cui il nome di “Riforma a Y” che è tanto [..] piaciuto ai giornalisti) in due percorsi distinti: un percorso “metodologico-formativo”, costruito per accedere ai corsi di laurea magistrali, ed uno “professionalizzante”, creato per favorire l’ingresso del laureato nel mondo del lavoro; il primo anno comune servirebbe per garantire a tutti conoscenze scientifiche di base.
È assoluta facoltà dell’ateneo, infine, decidere come debba avvenire la separazione nei due percorsi; il decreto non fissa punti di diritto, meccanismi di passaggio dall’uno all’altro orientamento, o criteri di scelta/selezione.
Le classi di corsi di laurea, o le suddivisioni per affinità, verranno decise per decreto ministeriale; per adempiere alle norme transitorie e finali, tra cui questa ridefinizione, sono stati istituiti 7 tavoli tecnici, coordinati da un comitato tecnico-scientifico, i cui lavori dovrebbero concludersi entro marzo 2005. Da ciò che è trapelato i lavori si sono incentrati più sulla definizione delle deroghe al decreto per quanto riguarda la classe delle lauree in giurisprudenza.
Infatti per tali corsi di laurea si prospetta un ordinamento a ciclo "unico", ovvero l'accesso diretto alla magistrale dopo il primo anno comune (in sostanza, "1+4").
Questo è motivato dall'interesse civile di tali corsi (seppure i maligni affermino trattarsi della consueta "simpatia" del ministro per l'area giuridica), che non potrebbero formare figure professionali adeguate in soli tre anni.

Criteri d’accesso
In confronto al precedente decreto, il 270/04 determina la definitiva separazione giuridica di laurea e laurea magistrale, affidando a quest’ultima un curriculum di 120 crediti (non più 300). In merito a questa separazione, viene accentuata la “necessità” di una selezione per l’accesso a tutti i corsi laurea magistrale.
Infatti, per tali corsi vengono previsti criteri d’accesso, da definirsi autonomamente attraverso i regolamenti didattici di ateneo. Inoltre, perfino tutti i corsi di laurea (triennale) devono possedere una qualche forma di valutazione della preparazione dello studente, che comporti anche l’assegnazione di eventuali obblighi / debiti formativi da assolversi nel primo anno di iscrizione.

Critiche
Il 270/04 pone forte accento sulla selezione, che deve avvenire soprattutto all'accesso alla laurea magistrale; si vuole far saltare, anche con la separazione dei percorsi, il diritto ad una formazione completa, che comprenda tutti e 5 gli anni del corso di studi. È ragionevole pensare che questo sistema non favorirà tanto i più meritevoli, ma coloro i quali potranno permettersi economicamente lo studio a tempo pieno (non quindi gli studenti lavoratori o i lavoratori studenti).
A tale proposito, non viene più garantita neppure un'equità di contribuzione tra laurea e laurea magistrale; le tasse studentesche potranno essere più elevate per chi si iscrive a quest’ultima, motivate dalla necessità di utilizzare strutture e laboratori specializzati, unitamente al minor numero di studenti, dovuto ai criteri d’accesso.
In aggiunta a ciò, saltano molte garanzie per gli studenti.
In primo luogo, la diversa definizione dei CFU rischia, per la sua ambiguità, di lasciare spazio alle angherie ed allo strapotere dei baroni, a discapito delle ore di studio personali.
Per quanto riguarda la Y, invece, non è chiaro con quali criteri avverrà il travaso nei due percorsi, se si tratterà di una libera scelta dello studente o vi saranno filtri sul merito. Non viene detto neppure con precisione se e come si possa passare da un percorso all'altro. È evidentemente inaccettabile che non si faccia cenno in nessun luogo al diritto di ognuno di iscriversi al percorso desiderato, lasciando anche in questo caso la decisione dei criteri all'autonomia degli atenei.
La definizione delle classi di appartenenza, e l'accorpamento dei corsi al primo anno, possono inoltre giocare a sfavore dei piccoli corsi, che dovranno cambiare il manifesto degli studi senza troppe possibilità di negoziazione.
Per i criteri di accesso alle magistrali, si rischia il far west: differenze di trattamento tra corsi di studio affini, o criteri decisi autonomamente e senza ragioni, motivati solamente da inutili orgogli localistici.
Il fatto, poi, che questi criteri vengano lasciati ai regolamenti didattici di ateneo, può dare spazio ad ingiustizie locali di ogni tipo; è assolutamente indispensabile, perciò, una presenza attiva negli organi di rappresentanza, e comunque uno spirito critico ed attento a ciò che vi si decide. E' pure opportuno ricordare che le limitazioni al diritto allo studio non possono essere stabilite per decreto, ma solo per legge.
Sembra quindi esservi spazio per eventuali - e giusti - ricorsi in caso di esclusioni dai corsi di laurea magistrale.

Questo pare l'ennesimo attacco ai diritti fondamentali degli studenti, cioè al diritto all’accesso, al diritto allo studio ed al diritto al sapere, diritti che ricordiamo espressi nientemeno che dalla Costituzione Italiana; attacco che si può inserire nel disegno operato dal Ministero e dalle lobby trasversali, trasparenti o meno (vedi associazione Treelle), di creazione di una università d'eccellenza e d'elite, a scapito dei suddetti diritti, minacciando qualità e continuità del percorso formativo.

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