pudenda

martedì 22 marzo 2011

MARTA LA CAPRA vs L'ITALIA

IPOLOGIA DEL PATRIOTTISMO



Ad un certo punto intervenne nella conversazione Marta, rompendo un silenzio che durava ormai da diversi mesi:
"Non so", esordì, costringendo me e Mario a girarci.
"Non so, davvero, a me pare tutto molto assurdo."
"Cosa, Marta?" Le chiese il sempre serafico Mario.
Sempre serafico e paziente il Mario, io no, non riuscivo ad abituarmi all'idea che una capra parlasse, sia pur raramente, e la cosa -lo ammetto non senza vergogna- mi disturbava profondamente, mi procurava un'inquietudine che nascondevo a pena.
"Cosa, cosa… È presto detto. Non trovate incongruo questa specie di neonazionalismo, questo inedito amor di patria, da parte di chi -senza nemmeno cambiare cravatta- si professa di sinistra? Che cosa vorrà poi dire "di sinistra", a questo punto, solo iddio lo sa."
"Marta, vedi" provai ad interloquire, consapevole di costituire solo un escamotage letterario, pressoché inutile ai fini della vera dialettica "vedi, so di non poter portare vere argomentazioni, come ha fatto testé notare l'autore nell'inciso, ma solo una parvenza di esse buona giusto a dare l'idea di un contraddittorio, e a far spiccare ancora di più la giustezza delle tue. Lo so. Cionondimeno, non so se per colpa dell'autore o di questa bella brezza marzolina, ci tengo a farti notare che devi considerare il contesto: sei ancora convinta che esista una "sinistrezza" assoluta? Una posizione solida e imperitura, che prescinde da tutto quello che le accade intorno? Occorre fare i conti con la realtà, Marta: la destra attuale, in Italia, si sposta verso la merda più totale, e noi dobbiamo occupare le sole posizioni che possono costituire "opposizione", opposizione reale."
"Ma di che stiamo parlando?" belò Marta, "Veniamo schiacciati su posizioni che non ci appartengono, solo per inseguire chi sprofonda nell'immondo? Diventiamo nazionalisti, solo per contrastare i secessionisti? Ma stiamo scherzando? Questa è una reazione viscerale, impulsiva, in una parola: stupida. E finiamo per chiamare "estrema sinistra" Vendola o Di Pietro. Mario, almeno tu ti rendi conto?"
"Eh...", il sempre laconico Mario.
"E non è la sola trappola in cui siamo caduti ultimamente: diventiamo legalisti più del più becero dei fascisti, solo per contrastare la deriva criminale di questo governo; diventiamo pecoroni alla ricerca di un leader carismatico -Vendola, Grillo, Obama, Zorro…- solo perché quello che c'è sullo scranno non ci piace; diventiamo ecologisti… No dai, ecologisti è ok. Voglio dire, forse non so più bene cosa sia la sinistra -io bruco l'erba, fondamentalmente- però, suvvia, l'idea che si possa prender posizione solo per contrasto, di riflesso, in controbattuta, mah, è avvilente. E poi, tornando all'Amata Patria, c'è pur sempre la logica, che non è che noi capre la amiamo troppo, ma sto giro non ci si scappa."
"Cosa intendi dire, Marta?"
"Voglio dire.."
"Aspetta aspetta. Ti rendi conto che non ho nemmeno più un'argomentazione? Che l'autore mi ha tolto perfino il diritto ad avere un nome? Chi è che sta parlando in questo momento? Lo sa, il lettore? Lo so io? Sono ridotto ad essere una muta replica, solo un mero rimbalzo, porco cane!"
"Me ne rendo conto", rispose Marta rosicchiando un vecchio stivale che spuntava dalla terra, "Me ne rendo conto, ma adesso ascoltami."
Con misurata poderigia, lentamente, Marta si mosse verso la cima di un piccolo dosso, a fianco dell'ulivo. Marzo soffiava da ovest delle nuvole rosa e ancora fredde, il sole delle sei torceva le foglie delle viti, nell'aria dei campi si intuiva la necessità di velocizzare la narrazione.
"Signori miei, vado a spiegarvi perché il patriottismo è sciocco. Procederò per elenchi. Tre punti, tanto per cominciare:

1 Si suole associare al patriottismo (in tutte le sue declinazioni: amor di patria, campanilismo, nazionalismo…) la nozione di "orgoglio", o di "fierezza". Ebbene, non ha senso. Non ha senso dirsi (sentirsi, perfino) orgogliosi di qualcosa di cui non si ha diretta o indiretta responsabilità. Non vi è merito -né vi è colpa, peraltro- nell'essere nati dentro un determinato confine -siamo figli dell'accidente- né nel condividere la (provvisoria) nazionalità con, che so, un Leonardo, un Calvino, un Dante. Per non parlare di ciò che di questa patria -o di costoro- si ammira: merito tuo? Ne sai qualcosa, tu?
(Mario sputò per terra)

2 Esiste davvero l'Italia? Cioè, cos'è questa cosa di cui stiamo parlando, questa cosa che ci unirebbe tutti, l'"italianità"? Se la tagliamo a fettine un po' più sottili, ci rendiamo conto quanto sia una nozione ineffabile, inconsistente. La lingua? Allontaniamoci un attimo dalla televisione -megafono e fucina di un impasto padanomilanese che del lavaggio in Arno chi sa cosa ricorda-, ci accorgeremo che la realtà italiana è molto più frammentata di come ce la servono, i dialetti sono vere e proprie lingue, e se per assurdo provassimo a muoverci camminando -metro per metro, a noi capre riesce abbastanza naturale- verso un qualsiasi confine (che so, da Dobbiaco verso l'Austria), vediamo che la lingua cambia impercettibilmente con l'avanzare dei passi, fluida e graduale, strada facendo. La cultura? Territorio ancora più impervio, tanta è la ricchezza, tanta è la diversità, nel tempo e nello spazio, sia al livello della cosiddetta "cultura popolare" (le tradizioni, diciamo), sia al livello di quella "alta" (cosa condividiamo io e il Dante di cui sopra? Abitava dove abito io? Non parlo della stalla, ma non credo comunque…).
Questa l'Italia: è l'Italia stessa a dimostrare che l'Italia non esiste, così come la vogliamo ridurre, semplificare, stereotipizzare.
Questa l'Italia. E noi? Noi individui? Ah, noi siamo territorio ancora più caleidoscopio, volendo. Non voglio certo negare indiscutibili elementi di "italianità" in me, pezzetti dell'identità più o meno esattamente riconducibili alla "cultura italiana" -sentite le a questo punto doverose virgolette nel tono in cui lo dico-, sia essa figlia della storia o dell'attualità. Ma c'è molto altro: sono anche veronese, europea, mediterranea, americana: mi compone un diorama di cose, tra cui non ho l'ardire di stabilire una gerarchia né quantitativa né qualitativa.
L'unica cosa (per ora) ineccepibile è la cittadinanza. Tutto il resto è gioiosamente discutibilissimo.

3 Se proprio voglio scegliere un gruppo cui appartenere, perché gli italiani? Se qualcosa da celebrare, perché la nazione? Voglio dire, e il fatto che sono bionda? Che sono studente, pescivendolo, capra? Secondo quali parametri dovrebbe essere meno importante? O l'insieme che si crea, meno nobile? Che poi, lasciate dire una minchiata a questa vecchia capra caprina, cos'è questa specie di horror libertatis che ci porta a riunirci a tutti i costi agli altri, a rinchiuderci in rassicuranti (e miseramente semplificatorie, sintetizzanti) categorie, a catalogarci secondo insiemi tanto facili al pregiudizio? Lasciamo che siano gli altri a farlo con noi, se credono. Ma almeno noi, al nostro stesso cospetto, siamo (esortativo) individui, innanzitutto! Non italiani, non biondi, non eterosessuali, non pecore: c'est à dire, anche italiani, e anche tutto il resto.
Piuttosto, nel dubbio, troverei molto più simpatico celebrare ciò che patentemente non siamo: domani vado ad un corteo di oche. Tedesche, more.
Che dite?"
"Non fai una grinza. Bene tutto quello che dici, molto logico, ma fatto sta che il sentimento di unità con gli altri mi piace, credere in qualcosa mi piace, mi fa stare bene, e per me amare la mia patria vuol dire anche curarsi di lei, contro le brutture della politica, contro chi la inquina, contro chi ne fa una brutta cosa. Questo è il mio patriottismo."
"Sì, concordo" disse Mario, riappropriandosi per un attimo del nome, "non si tratta di ritenersi migliori di altre nazioni: si tratta di voler difendere la propria. In questa specie di nazionalismo -se vuoi chiamarlo così- sento di fare del bene, e se proprio vuoi saperlo, beh, mi sento una persona migliore."
Marta la capra lasciò cadere un po' di perle caprine dal culo.
"Ok. Va bene. Mi avete convinto, adesso appendo una bandiera al frassino.
Ma prima se non vi dispiace farei la cacca. Allontanatevi, per piacere, non riesco a concentrarmi."
Ci allontanammo, Mario bofonchiando qualcosa di inintelligibile, io con gli occhi sempre fissi sul mandorlo, come mi ha insegnato a fare mio padre nei momenti di impasse.
Non avevamo fatto che pochi metri, un colpo secco e poderoso fece cadere il Mario lungo disteso sull'erba, una violenta scornata di Marta la capra, che pure non ha le corna ma una testa indubbiamente dura.
"Chiedo scusa, rimando ancora un attimo la cacca. Ancora una cosa devo dirvela."
Il sempre placido Mario si rialzò gemendo, io tolsi gli occhi dal mandorlo a malincuore. "Sentiamo", dissi.
"Sedetevi, prima."
"No."
"Sedetevi, vi dico"
"No."
"Forza, sedetevi."
Ci sedemmo.
"Ecco, niente.. È che non mi torna una cosa. Dite che -stringi stringi- bandiere, inni, mani sul cuore, cortei e coccarde al petto.. Tutto ciò bene o male non è che un simbolo, un richiamo e un segnale: di questo concreto amore per la vostra terra. Bene, mi sta bene. Ma ancora: perché mai l'Italia? Perché gli italiani? Mi sembra, nella sua facilona buona volontà, che sia allo stesso tempo poco e troppo ambizioso. Solo perché è comodo. Voglio dire, perché mai la voglia di tutelare la natura, gli sforzi per migliorare le cose, diciamo genericamente l'"impegno", ecco mi spiegate perché tutto questo deve finire dove finisce il confine della nazione? Esiste un perimetro dell'ideale? Una geografia che contorna la polis del cuore?
È poco ambizioso, quando possiamo puntare -a dir poco- al mondo. A dir poco.
È troppo ambizioso, quando ci rendiamo conto che il reale raggio della nostra influenza politica -nel migliore dei casi- non supera i confini delle nostre conoscenze. Nel migliore dei casi. Ovviamente parlo della politica relazionale, non tiratemi in ballo per piacere le elezioni o in generale la democrazia rappresentativa, ah ah ah, me la rido."
"E chi ti dice che il nostro impegno è solo riferito all'Italia? Ci preoccupiamo e ci occupiamo di tutto quello di cui ci si può occupare, fuori e dentro i confini, senza stabilire priorità -se non contestualmente."
"Sì, infatti", incalzai io, "e anche quella che tu chiami "politica relazionale", ovvio che la facciamo, la stiamo facendo anche qui adesso, con te."
"Ma allora, vedete. Torniamo all'inizio della fiera: perché l'Italia? Perché la bandiera italiana? E non qualsiasi altra cosa, che sappia ugualmente rendere l'idea simbolica di questo amore sempre un po' fuori bersaglio?"
Io e Mario non parlavamo più. Forse avremmo anche avuto delle cose da dire, ma non potevamo, perché il nostro silenzio serviva a creare una pausa ottimale per la battuta finale di Marta la capra. E anche perché eravamo inspiegabilmente occupati a masticarci l'un l'altro i piedi.
"Bene ragazzi, vado a cacare. A questo punto la cosa è improcrastinabile."
La sera imbruniva la campagna, i campanili si perdevano nel buio della valle, eravamo tre ombre sole, io ero un'ombra, Mario era un'ombra, Marta -che si allontanava- era l'ombra più scura.
"Mi troverete sotto al frassino. E quando verrete" disse la sua voce già lontana "dovrete alzare gli occhi a ciò che sul frassino garrisce. Vi stupirò, ragazzi. Vi stupirò."


Il giorno dopo -triste e breve epilogo, per niente significativo- io e Mario andammo al frassino. Marta era lì, appesa per il collo ad un ramo, immobile, leggermente mossa dall'aria della mattina. Ma a dire la verità non si riusciva a capire se fosse davvero lei o un fantoccio, neanche avvicinandosi, neanche toccandola.