pudenda

sabato 28 settembre 2013

milf

Credevi che il fallimento fosse più appassionante?
Ah, ora vieni qua, su, avvicinati, siediti sui miei galloni, accosta il tuo intelletto alle mie labbra.
Non ti spiegherò nulla.

Credevi che fallire fosse molto meno appassionante di così.
Io mi accoccolo qui, tu mi metti qualcosa di umido nell'orecchio, questo è il patto.
Dovranno passare parecchi anni perché, insieme all'imbarazzo, arrivino le risposte cui aneli.

Nel frattempo, ti siano unguento gli acrostici
ti siano talismano
toccasana
apotropea
shampoo

Io tocco la finestra e guardo le colline
- più o meno questo è il patto -
e mi accorgo che sto per accorgermi di qualcosa
e invece no.

sabato 26 gennaio 2013

Remo Bodei

Il chitarrista ebbe un momento di esitazione, fu un attimo, non ebbe tempo di pentirsene. La folla si riversò sul palco con un unico ruggito, e lo divorò. E sì, in mezzo a quella folla c'ero anch'io. Gli ho mangiato la guancia sinistra. Cosa mi è preso?
Sono fatto così, sono un impulsivo, vivo in una fattoria piena di landraci e non di rado vado a sassi nelle conifere intorno. Mi chiamo Diodojo, e questa è la mia storia. Sedetevi, se credete.
Mi sono svegliato circa un anno fa dentro un corpo non mio, come a volte capita nei racconti. Mi spiego meglio: mi sono svegliato ed ero dentro il corpo di un'altra persona, e non parlo di transfert mentali, ero proprio con tutto il mio corpo dentro un altro corpo, un altro corpo mi avvolgeva come una muta da sub. Naturalmente non ho capito subito cosa stesse accadendo, mi sono svegliato e ho sentito le palpebre sfregare contro qualcosa, aprendosi, un peso morbido e umido mi premeva in ogni punto, mi schiacchiava la bocca, mi è venuto naturale cominciare a dimenarmi, cercare la luce, l'aria. Mi ricordo ancora quei terribili istanti, mi divincolavo annaspando dentro quella specie di armatura che si opponeva ai miei movimenti, il corpo che mi conteneva faceva resistenza, piegavo il collo all'indietro e lo sentivo tornare in avanti, aprivo le braccia nel tentativo di trovare una breccia, i muscoli intorno ai miei muscoli mi stringevano in una morsa, finché a un certo punto devo aver penetrato una feritoia, un'uscita, ho sentito un ginocchio cedere, il rumore di qualcosa che si lacerava, e non so di preciso, all'improvviso ero fuori. Una situazione senza aggettivi: io respiravo a fatica, piegato in due, ricoperto di brani di carne e sangue. Dietro di me, intorno a me, ai miei piedi, il corpo smembrato che fino a pochi secondi prima mi conteneva. Ho alzato lo sguardo. Almeno una ventina di persone, eleganti, in piedi davanti ad una tavolata imbandita, nei loro poveri occhi il terrore.
Ecco, lì è cominciata la mia lunga fuga.
Ho attraversato Vicenza in otto mesi, prendendo qualsiasi mezzo, soprattutto autobus.