pudenda

venerdì 26 settembre 2008

esplicare espletare espellere

son del giusto umore
per sentir dei bottoncini il'rumore

come zampette di bruchetti ammattiti al passaggio su distese d'erba secca;
insieme di lettere dalla testa di un confuso Giove per nulla divino:
profondità ancestrali dell'animo.

un giorno qualcuno poco importante mi chiese:
cosa manca, cosa ho dimenticato, cosa?
qualcosa sicuramente ha ribattuto l'altro
[ancor meno importante];
giunsi quindi alla conclusione che
non riuscendo a distorcere la linea delle ordinate
dovevo concentrarmi su quella delle ascisse;
la linea che finisce dietro alla cascata
per poter vedere cosa cela di così importante
da dover essere tenuto nascosto
dietro all'impeto naturale della forza delle correnti.

mi incamminai perciò verso quell'avventura,
nuove emozioni mi attendevano al varco;
così passato ch'io l'ebbi, il varco s'intende,
un'enorme vuoto mi si stagliò dinanzi,
un'infinita distesa di nulla,
quel silenzio assordante
che i timpani si rifiutavano persino di continuare a pulsare,
ammorbidendosi fino a colare come oro fuso
fuoriuscire dalle mie orecchie!
questo è il resoconto di ciò che mi capitò
durante il mio soggiorno a Reykjavík nel '39;

ciò che successe nei 5 anni successivi,
è storia ormai nota anche ai meno informati;
fortunati, i meno informati:
deficienza di pensieri, deficienza di problemi!
diceva quel saggio
rannicchiato sullo spuntone di roccia
che fiero spuntava su quel picco montano [sì, proprio quello!]
prima che gli olandesi
con le loro ruspe ed il loro progesso
arrivassero a fare mambassa
di ciò che rimaneva
dello spuntone di roccia
dal quale il saggio s'ergeva.

maledetti pensieri, non avrete il mio scalpo!
dalle vostre menzogne scalzo scappo
e ritorno ad ascoltare il violino di un passante...

martedì 23 settembre 2008

Andante patafisico

Gli uccelli sono responsabili di almeno tre grandi maledizioni che pesano sull'uomo. Gli hanno fatto venire il desiderio di arrampicarsi sugli alberi, di Volare, di cantare... Dunque, quando si pensa all'Everest, ai razzi e ai prolungamenti naturali di queste suggestioni abilmente introdotte nel cervello di alcuni primitivi dal becco appuntito come un acheopterix che chioccia, ce la prendiamo un po' con gli uccelli, e vorremmo che fossero muti, non si staccassero dal suolo e nidificassero sotto le pietre. (Per nostra disperazione, la natura ha pensato a tutto. Ci sono esseri che rispondono a questi requisiti. Sono uccelli di una specie particolare: i rospi).

[Boris Vian, Musica & dollaroni,Stampa Alternativa]

lunedì 22 settembre 2008

Tubercolosi

Il 13 settembre Jason Loveboat ruppe gli indugi e finalmente andò dal dottore.
"Sto male, dottore" disse.
"Mi dica."
"Vomito sangue. E sono pieno di macchie nere. E poi da qualche tempo mi fa male respirare."
"Mmmm.... E quanto tempo è che ha questi sintomi?"
"Da qualche settimana. E' cominciato con una tosse molto forte, prendevo latte con miele. Adesso ho sempre la febbre, non mangio più."
Il dottore si fece scuro in volto, si avvicinò e prese il polso di Helmut tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal taschino del camice uno stiletto, lo puntò negli occhi di Jason muovendolo a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga il pullover."
Jason Loveboat si tolse il pullover e seguendo un gesto del dottore si sedette sul lettino. Il dottore disse: "Adesso mi dica quando le fa male", alzò un braccio verso di lui e cominciò ad accarezzargli i capelli. "Ahia!" disse a un certo punto Jason, e il dottore si scostò.
In silenzio tornò a sedersi alla scrivania. Prese un foglio e cominciò a scrivere.
"Allora? Cos'ho?"
Il dottore lo guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Niente di così grave. Niente di urgente. Ecco." Gli porse il foglio. "Prenda questo foglio, dietro è ancora bianco. Può farci un disegno. E soprattutto prenda aria."
Jason si alzò e strinse la mano al dottore. In quel momento fu preso da un violento attacco di tosse, a stento riuscì a non vomitare, si sentì svenire ma una fitta lancinante al petto glielo impedì. Sorrise.
"Mi raccomando" gli disse il dottore accompagnandolo alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 2 novembre Jason Loveboat morì di tubercolosi polmonare.

sabato 20 settembre 2008

Esattamente

Vado al baretto con gli amici
a un certo punto un amico di amici mi si avvicina
Ma tu sei uno di quelli della rivista? mi chiede
Eh, dico, dipende
Ma sì dai, fa lui, come si chiama
sto per dirglielo ma mi blocca con un gesto No non dirmelo, ora mi viene
Lo guardo in attesa un po' imbarazzato, poi esplode
Ma sì! Cagare in barca, si chiama così giusto?

Esattamente

MasonanismO

Cento consigli per raggiungere l'umiliazione da soli, senza sporcare.


Non è un godere facile. Consigliata almeno due volte alla settimana, l'umiliazione va ricercata con sincerità, a piccole dosi, senza esagerare: il rischio è di raggiungere troppo presto l'assuefazione, col risultato -diametralmente opposto- di arrivare a sentirsi uberuomini intoccabili, incapaci di qualsiasi imbarazzo; oppure, viceversa, di abituare la società a voi, di farle scoprire il vostro gioco, finendo col farvi categorizzare in una nicchia al di là dell'imbarazzo, tra i folli e gli stupidi.
Invece, se saprete giocarvi bene l'incontro con l'umiliazione, arriverete a non poterne farne a meno. Il piacere sofisticato della cosiddetta "figura di merda" ha un che di catartico, è un potente mezzo per ridisegnare i rapporti con la società e per ristrutturare l'immagine di voi stessi davanti a voi stessi. Alla lunga imparerete a raffinare la ricerca della situazione imbarazzante, arrivando a sviluppare automatismi oltre la volontarietà, sorprendendo spiacevolmente voi stessi, come sempre dovrebbe essere.
Col passare del tempo proverete timore nell'uscire tra la gente, disgusto nel guardarvi allo specchio, sempre meno persone riusciranno a guardarvi senza sentire disagio o malevola pietà, rimarrete senza amici, l'autostima si ridurrà al punto di rinunciare a mangiare. Non è un godere facile: riuscire a cogliere il brivido che sta sull'altra faccia di questa curva discendente, i piccoli attimi di piacere nei giornalieri passi di questo calvario -quando tentammo di baciare quella ragazzina in mezzo alla classe, quando lasciammo andare quel sonoro peto durante la messa, quando ci sedemmo sopra il paraplegico in carrozzella- godere con dolore della propria umiliazione, sempre più simile a una merda, inesorabilmente verso il fondo.
Ecco a voi quindi alcuni pratici consigli, un rapido compendio per umiliazioni basilari o di livello avanzato, da sperimentare a piacere. Benvengano i vostri suggerimenti, cari lettori, tanto più graditi se suffragati dalla vostra esperienza diretta.

_ Studiare cinque anni in una qualsiasi facoltà universitaria. Arrivati al momento della laurea, di fronte alla commissione esaminatrice e con amici e parenti alle spalle, ad un certo punto schiarirsi la voce e pronunciare una o più fra le seguenti frasi, senza urlare ma facendo in modo che tutti possano sentire:
"Non so nulla. Sono un cavallo goloso."
"Il presidente di commissione è gay, chiedo che sia messo a verbale."
"Cagare il cazzo è un'espressione quantomeno ambigua. Non trova anche lei, Mario?" (rivolgendosi ad una professoressa)
"Lecco la patata a mia madre/succhio il pene a mio padre ogni sera. Sì, avete capito bene. Ogni santa sera."

_ A cena con la famiglia. Sedersi a tavola, evitando per un pò il coinvolgimento in qualsiasi discussione. Ad un certo punto tirare fuori da sotto la maglia un giornaletto porno (o Panorama), scostare di poco la sedia dal tavolo, e cominciare a masturbarsi. L'imbarazzo dovrebbe salire progressivamente e contemporaneamente anche, in voi, la voglia di essere in tutt'altro posto, di non aver mai seguito queste istruzioni, oppure di morire. Ad ogni modo a quel punto potrete solo portare a termine quanto state facendo, per poi gustarvi la terribile umiliazione, mentre vi ripulite con la tovaglia.

_ Portare una ragazza/un ragazzo di pelle nera al cinema, oppure a teatro.

_ Andare a fare la vendemmia, o un altro di questi lavori stagionali, lavorare di buona lena ogni giorno, raccogliendo per bene quello che c'è da raccogliere. Alla prima occasione di convivialità con gli altri lavoratori, avvicinarsi ad uno di loro che stia tenendo un bicchiere di vino in mano -ce n'è sempre uno- indicarlo e gridare con ilarità: "Ah! Ah! Guardate! Guardatelo! Questo non sa chi sia Shakespeare! Che sfigato buzzurro!"

_ Fare carriera, arrivare a far parte del consiglio di amministrazione di un'importante azienda. Ad una riunione con tutti i colleghi, gli azionisti e i rappresentanti di grosse aziende sorelle, ad un certo punto verrete chiamati a parlare sul palco. Alzarsi, e procedere verso i microfoni tra gli applausi. Avrete in precedenza slacciato la cintola, i pantaloni cadranno a metà del percorso. Niente mutande. Con i pantaloni alle caviglie avanzare comunque, a passi stenti, anche cadendo e trascinandosi. Arrivati al palco, salire nel punto più visibile e dire una barzelletta di quelle che di solito si raccontano per sciogliere il ghiaccio.

_ Uscire in strada con una maglietta con una grande scritta: "Yes, we can! Anch'io ho votato Veltroni!", meglio se con la faccia di Veltroni sorridente sulla schiena.

_ Scrivere un articolo con delle istruzioni su come raggiungere l'umiliazione, tentando di fare il simpatico e di scrivere cose ironiche ma scadendo anche in razzismi gratuiti e banali volgarità. Ad un certo punto tentare anche il mezzuccio dell'autoironia, ad esempio scrivendo di quello che si sta facendo. Infine provare con il non-sense.

_ Iscriversi ad una squadra di calcio amatoriale. Dopo la prima partita, mentre vi fate una doccia nello spogliatoio, uscire gocciolante davanti agli altri continuando ad insaponarsi e proferire, nello stretto dialetto della vostra zona: "Ragazzi, quante ne abbiamo oggi?"


Nel sottotitolo ci sono due errori. In questa frase tre.
Nell'eventuale mia morte violenta, nessuno.
Vado a succhiare il pene a mia madre.

Andrea Masotti

mercoledì 17 settembre 2008

Omaggio non richiesto


lunedì 15 settembre 2008

Saggio

sabato 13 settembre 2008

Il ciclo


Il 27 luglio la signora Helene finalmente si decise e andò dalla ginecologa.
"Ho un problema, dottoressa" disse.
"Mi dica."
"E' un pò imbarazzante. Ecco, mi succede che mi sanguina la patata."
"Prego?"
"La fica, perdo sangue dalla fica. Mi succede ogni mese. E fa male."
"Mmmm.... Vediamo. Si appoggi a quel trespolo. Da quanto tempo le succede?"
"Beh, praticamente da sempre. Solo che mi sono sempre vergognata. Comincio a perdere sangue e a volte non smette per giorni. Ho paura di morire, ogni volta. E divento cattiva."
La dottoressa si fece scura in volto, si avvicinò e prese il polso di Helene tra l'indice e il pollice, controllando contemporaneamente l'orologio. Ancora senza parlare, estrasse dal camice un'armonica a bocca, la puntò negli occhi di Helene muovendola a destra e a sinistra.
Poi parlò: "Come mai ha aspettato così tanto tempo a venire?" E senza aspettare risposta: "Si tolga il paletò."
Helene si tolse il paletò e seguendo un gesto della dottoressa si sedette sul lettino. La dottoressa disse: "Adesso mi dica quando le fa male", si chinò verso il suo viso, le prese il lobo sinistro tra i denti e cominciò a stringere. "Ahia!" disse a un certo punto Helene, e la dottoressa si rialzò.
In silenzio tornò a sdraiarsi sul pianoforte. Prese uno spartito e cominciò a scrivere.
"Allora? E' grave?"
La dottoressa la guardò, si tolse gli occhiali e prese a parlare: "Sì. C'è poco da fare." Le porse il foglio. "Prenda una di queste pastiglie al giorno. E soprattutto prenda aria."
Helene si alzò e strinse la mano alla ginecologa. Sorrise, avrebbe voluto chiedere ancora, ma le tremava la bocca, non riusciva più a parlare.
"Mi raccomando" le disse la dottoressa accompagnandola alla porta, "Prendere aria fa bene. Anche se non c'è il sole."
Il 13 settembre Helene morì, massacrata a bastonate da un folle.