pudenda

sabato 16 maggio 2009

giro turistico

distopia fasciopadana terza

di Andrea Masotti


Hassan aveva cominciato a fare il cocchiere a diciassette anni, e adesso che cominciava a brizzolare ancora stava piegato a cassetta. Canticchiava una nenia che la sua balia gli cantava sempre per farlo dormire, quando era piccolo. In verità non la cantava a lui, ma a suo fratello Saijd, lui la sentiva e si prendeva un sonno non suo.
Canticchiava con la schiena piegata e le mani sulle redini, dondolando piano e fuori tempo il busto, i tre bicchieri di Wiborowa senza i quali non era mai stato capace di affrontare il pomeriggio lo piegavano ancora di più verso le ginocchia, dando alla nenia il potere di un om induista, elevandolo verso chi sa quale abisso.
"Salam aleichem pan, quanto viene un giro?"
Hassan si riscosse piano, come se a svegliarlo fosse stato un aroma, alzando la testa dal petto con la lentezza di un argano, si girò verso la voce e disse: "Buongiorno pan, un giro viene 50 leu. E' il giro standard. Se vuole attraversare Ponte Pietra e arrivare fino a San Giorgio arriviamo a 100 leu. Poi ci sono anche altri giri."
"Il giro standard dove passa?" Hassan alzò le palpebre e guardò il signore in pantaloncini corti che aveva parlato. Lo fece perchè la voce per un momento gli era parsa familiare, di solito non si sforzava di aprire gli occhi più del minimo necessario, invero non li apriva e non li chiudeva mai, li lasciava impostati ad una fenditura mezzana, buona per la veglia e buona per il sonno. No, nessuno che conoscesse: un turista qualunque, pantaloncini corti e berretto, con una moglie su misura e due figlioli, giustamente un bambino e una bambina.
Hassan sospirò. "Il giro standard passa da piazza Bra, fa il giro dell'Arena, risale corso Porta Nuova, ridiscende a Castel Vecchio, arriva fino a Porta Borsari, prosegue verso Piazza Erbe, va fino a Sant'Anastasia, gira alle Arche Scaligere, passa piazza Dante, piazza delle Poste, la casa di Giulietta e poi torna qua." Il suo alito di vodka era arrivato fino al cavallo, che nitrì e scosse il collo, preparandosi a sgranchire le gambe ricoperte di mosche.
"La casa di Giulietta! Uao!" Gridò imprevedibilmente la bambina, guardando la madre e saltando sui calcagni. "Andiamo andiamo andiamo!"
Il padre sorrise con paterna comprensione, mentre la mano saliva verso il portafoglio, imprevedibilmente nella tasca interna della giacca.
"Allora va bene. Facciamo il tour standard." E girandosi verso la famigliola: "Ok, forza, su! Facciamo un bel giretto, e poi un piatto tipico non ce lo leva nessuno. Dai ragazzi! Dai Josef!"
Hassan sospirò ancora. Perchè Pantaloncini Corti ha dovuto dire "tour"? E perchè adesso sente la necessità di salire accanto a lui, e non dietro, a petulare con la famiglia, e perchè lo guarda con sguardo che vorrebbe essere complice, virilmente complice?
Queste domande, con piccole varianti, erano per Hassan una sorta di piccolo rituale, ogni volta, prima di alzare le briglie a sè, prima di dire a Pëtr -il cavallo- "uhuu", e di partire.
Cominciarono a trottare piano sui ciottoli, tra Pëtr e Hassan funzionava ormai una specie di sonnacchiosa telepatia, il primo alzava un mignolo di briglia, il secondo girava piano a sinistra, dava una leggera onda con la coda, e il nostro cocchiere capiva che era il caso di rallentare, trotterellavano lasciando indietro, nell'aria, le domande e le risposte del padre di famiglia, che con sguardo che voleva essere esperto e virile guardava intorno e parlava, guardava Verona e non smetteva di parlare.
Hassan lasciava fare, il beccheggio del corpo era un annuire sufficiente, e intanto i suoi occhi erano tornati al riparo delle palpebre, protetti dal mondo, protetti loro e protetto lui.

"Papà papà, cos'è quello?" A parlare era stata la bambina, dai sedili dietro della carrozza. Il padre si girò, scusandosi con il cocchiere per l'interruzione. "Dove, Annuška, cosa?"
Sì voltò verso la strada -ormai erano a metà di corso Porta Nuova- seguendo con lo sguardo il ditino della figlia. Sul suo volto si dipinse un'espressione a metà tra lo stupore e il disgusto, si rivolse con veemenza al cocchiere: "Ma... Ma.. E' normale quello? Pensavo non ce ne fossero più.. Non è pericoloso?"
Hassan alzò un soppracciglio. Questo proprio non se l'aspettava. Accennò con l'angolo delle labbra un sorriso che poteva essere anche una smorfia di dolore, e senza voltarsi rispose: "Non c'è pericolo. Non dovrebbe. Purtroppo la polizia non fa mai il suo dovere. Quello è un bar all'antica. Sono dei provocatori."
Al tavolino di un bar, all'aria aperta, sulla via, stavano seduti due vecchi. Stavano dove tutti potevano vederli, senza pudore, davanti a loro avevano due bicchieri di vino rosso, e giocavano a carte. Vociavano terribilmente, bestemmiando di tanto in tanto, d'un tratto uno schiacciava una carta al tavolo e urlava qualcosa, facendo traballare i bicchieri e spaventando i passanti.
Si stava già formando un gruppetto di gente -il servizio di ronda spontanea, quello sì, pensò Hassan, quello funziona- una donna con un grosso turbante stava protestando al bancone del bar, appena dentro, e intanto Annuška si sporgeva dalla carrozza, sempre più curiosa. Il piccolo Josef si era messo a piangere.
"Adesso li sistemano. Sapete cosa vi dico?" Hassan ebbe come un momento di vitalità, e con lui il cavallo; ripartì di lena facendo schioccare le corde, si girò verso Pantaloncini Corti: "Sapete cosa vi dico? Facciamo il giro fino all'Arsenale, e poi il lungadige fino a San Giorgio. Stesso prezzo. Per l'imprevisto." Si girò verso i passeggeri, dietro: "Cosa dite, bambini? All'arsenale c'è un grande parco giochi!" E rivolto alla signora: "E da quelle parti il decoro è intatto, non si preoccupi."
Josef singhiozzava ancora, il padre disse alla moglie: "Chu, fallo smettere. Serve che venga dietro?" E si girò di nuovo a cassetta, rimase in silenzio un pò a guardare la schiena magra del cavallo. Erano ormai quasi a Castelvecchio, Hassan fece un cenno con il mento a Pëtr e ritornarono ad un'andatura comoda e sonnecchiante.
Annuška, la bambina, era rimasta in silenzio fino a quel momento.
"Ma mamma, ma allora cos'erano?"
"La mamma avvicinò il volto a quello della bambina, le diede un bacio in fronte e disse: "Erano veronesi, anima mia." Le carezzò i capelli. "Gli ultimi rimasti. Dai, che tra un pò ci fermiamo e mangiamo un gelatino. E poi andiamo a vedere le oche." E a voce più alta, al marito: "Vero, papi, che poi andiamo a vedere le oche?"
"Ma certo che andiamo a vedere le oche!"
Un coro di grida festose si levò dai sedili dietro, il padre sorrise soddisfatto.

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