pudenda

sabato 16 maggio 2009

Tragotto

di Riccardo Artoni

Il signor Merdolinetti si accinge a parlare ad una platea accigliata, in una sessione di un convegno su "Stresses in silos, et universa pecora".

In platea, un Duroc, rosso di faccia e di capelli, triplo mento e viso beota, si china a raccogliere un foglio stropicciato e si appresta a leggerlo, incuriosito per noia.

Le macerie della storia, riciclate spesso a farne nuove macerie, si rapprendono coalescendo attorno a nuclei, l'agglomerazione e la disgregazione dei quali sono processi dinamici concorrenti. Altre forme hanno ancora le interazioni tra questi sistemi, inseparabili dal processo che essi stessi contribuiscono a generare, e pure altre forme di nascita-e-morte sono identificabili. In prima battuta, ci interessa chiarificare che tali viluppi di "macerie" sono le città.

Poi ripartirò verso il Comune, senza fretta. L'ultima sezione, dicevo, è un po' imbucata, occorre fare un giro intorno ad un cortile interno. Mentre con passo calmo mi avvio, un uomo mi supera affrettato, dicendo tra sé e sé qualcosa come:
"Adesso gliela faccio vedere io a quelli là..."

Quante storie sono scritte tra le pieghe di una città? Molte, ma di queste poche sono quelle che hanno, per così dire, una dimensione descrittiva "sociale". Riprendendo Benjamin, "si tratta di fissare il passato come esso si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo". E tale pericolo, tanto per "il patrimonio della tradizione" quanto per "coloro che lo ricevono", consiste nel "ridursi a strumento della classe dominante".
Nel contesto dello spettacolo che concentra ogni sguardo e ogni coscienza, la storia è una ed è scritta dal vincitore. Il caso delle telecamere installate nei cimiteri richiama letteralmente il fatto che "anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere".

Giro l'angolo e vedo una ressa, una coda davanti al seggio. C'è da stupirsi, sembra che siano venuti tutti a quest'ora. Ma poco a poco che la mia miopia lascia apparire una realtà, mi rendo conto che la coda non è per nulla pacifica. L’uomo che mi aveva sorpassato un secondo prima è là davanti, ha rallentato il passo, come per guardare bene in faccia qualcuno, ha un moto del capo come per
sputare ad altezza d'uomo: un'onda, un rinculo si propaga nella coda, e ritorna a lui in forma di pugno anonimo, che lui schiva tirandosi indietro.
Sono a venti metri dalla scena, comincio a distinguere tra il rimbombo dei corridoi quello che si dicono presumibilmente due o tre persone, tra cui il mio superatore:
"Bastardi democristiani, servi dei padroni, siete sempre la stessa merda fascista..."
"Guardatelo, è un comunista, un mangiapreti! "

La violenza è interpolata tra le pieghe delle città come presunta forza che le tiene insieme, nella forma del diritto. Il diritto è strettamente connesso alla violenza non solo come espressione del potere, ma anche perché esso trova nella violenza (violenza che lo pone e che lo sospende per "salvarlo") un'inscindibile compagna.

"Io ti denuncio, ti ho visto sai! far propaganda davanti al seggio!"
"Si tratta solo di invitare a votare secondo coscienza… "
Mentre io, rallentato il passo, mi trovo a una decina di metri circa dalla scena, il presidente è uscito, lo sento che alza la voce, ma ne riceve male parole e un cazzotto in piena faccia.
"Bastardi democristiani, servi dei padroni..."

Non serve soffermarsi molto sul metodo di controllo variamente espresso nel corso della storia umana, a più livelli, e che va dal "divide et impera", alla "guerra tra poveri", e così via.
In due tipi si possono suddividere approssimativamente le tensioni sociali, ovvero quelle forze che non si traducono necessariamente in flussi, in verticali e orizzontali. Che il mezzo per eccellenza del "controllo sociale" sia anche oggi l'accentuazione delle tensioni orizzontali rispetto a quelle verticali nella società ce lo dice la condizione attuale conseguente alla precarizzazione del mondo
del lavoro, ce lo dicono anche le affermazioni dei cosiddetti professori del "diritto del lavoro" per cui oramai il problema non è più garantire il diritto di sciopero, ma gestire la conflittualità inter-classe.

Il presidente se ne torna dentro col viso sanguinante. La scena si fa sempre più caotica, mentre la rissa si amplia pressoché a tutta la gente in fila per votare:"io voto, ed esprimo il mio diritto!”
"Lei non può dirmi cosa devo votare, ché lo so bene da solo!"
"Non vorrà mica che l'Italia diventi uno stato dell'URSS..."

Il controllo della città ha come fondamentale caratteristica l’eliminazione della verticalità, che si traduce in eliminazione del diverso, soprattutto in quanto diverso sociale.
La diversità, quando non ancorata a questa dimensione, può sempre essere recuperata all’“harmonia mundi” sotto forma di “vedette”; ogni pretesa difesa del decoro non è che una più o meno cosciente adesione a questa linea.

Ora sto correndo a chiamare il rappresentante delle forze dell’ordine che piantona l'ingresso della scuola.
"Presto presto venga, che sta succedendo un putiferio al seggio 213!"
"Cosa?"
"Non c'è tempo venga..." gli dico col fiatone.

Anche questo un corollario valido già ai tempi del Cüdegh, il mantenimento del potere necessita l’eliminazione della storia. Ecco a voi infatti il pubblico amministratore che dice:
“Ascoltate la voce di Behemoth senza origine. Ci apprestiamo a vivere piacevolmente e socievolmente in questa foresta di cui una tomba occupa il centro, e si giocherà a chi sparirà per primo”.
Al limite ci è data una tranquillizzante prospettiva di rimbalzo bipolare, tra il “rigore (naturalmente nell’equità)” e “l’equità (naturalmente con rigore)”.

Girato l'angolo, incespico in una vecchia malconcia per i fatti suoi. Girato l'angolo, resto senza fiato, una volta per tutte. Semi-deserto come gli altri seggi, non c'è traccia né della coda né del tafferuglio, tutti svaniti, fantasmi, ubbie. Il presidente, quando mi precipito a sincerarmi del suo stato di salute, non ha segni di aggressione.
Il carabiniere mi guarda strano, io biascico qualcosa a riguardo della mia prossima pensione, ed esco, tremando.

Compito di chi sente e non sopporta la falsificazione è reagire all’ordine e alla violenza che ogni giorno per molte vie si perpetra nelle città.
Eminentemente politica è l’azione che tende a ripristinare quello che l’ordine cancella, dall’occhio e dalla memoria (cosciente).
L’ordine sociale dei fenomeni, che collega arricchendole molte lotte che altrimenti possono apparire lontane tra loro, la prospettiva del conflitto verticale in opposizione al continuo acuirsi delle tensioni orizzontali dentro e fuori il posto di lavoro, la dimensione storica dello sviluppo come esigenza interpretativa e trasformativa della realtà.
Tenendo a mente le parole forse d’altri tempi di Panzieri: “ci sono una serie di tappe e se non le si vede, si finisce nel mistificare le sconfitte in successi e, al limite, si finisce per scambiare come forma di lotta politica di avanguardia il sabotaggio [...] che è l’espressione permanente della sconfitta politica della classe operaia”.
Non che ci sia troppo da sperare in una redenzione, ma se non altro ci si può ripetere:
pochi compagni avrai per l’altra via
tanto ti prego più, gentile spirto
non lassar la magnanima tua impresa.

Mentre mi avvio all'uscita, un tipo evanescente, simile in tutto e per tutto all’uomo che prima avevo visto superarmi e gettarsi nel tafferuglio, mi si accosta e mi fa:
"Che dice, ce la fa il PCI?"
Un secondo dopo è svanito.

Un applauso accompagna la fine del discorso, mentre il Merdolinetti guarda nel vuoto degli occhi degli ascoltatori.

Il Duroc alza la mano per porre una domanda: “Sul problema delle tensioni, ci può dare un'idea dell'ordine di grandezza? Pascal, kilopascal, o cosa?”

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