pudenda

venerdì 5 dicembre 2008

Vie di fuga

Questa mattina mi sono svegliato in un letto non mio, fuori pioveva.
Sono uscito con la pancia piena di sabbia fredda, ho camminato sotto la pioggia fino alla fermata dell'autobus.
Lì mi sono incontrato.
Stavo appoggiato al palo, in piedi, con lo sguardo assorto verso l'attesa del 13. Mi sono avvicinato, non visto, e mi sono tirato il bavero del giaccone.
Mi sono girato, con uno sguardo più infastidito che sorpreso.
"Che cosa ci fai qui?" Ho chiesto, con una certa durezza. "Non dovresti essere a casa?"
"E perchè mai? Comunque te che cazzo vuoi?" Ho risposto, liberando il giaccone dalla stretta.
Avrei replicato, ma in quel momento mi sono accorto che c'era diversa altra gente lì intorno, stavano guardando all'alterco con sguardo sbieco, e cominciavano a mormorare.
Mi sono seduto, l'autobus sarebbe passato di lì a poco.
"Ho fatto un sogno, stanotte" ho detto a un certo punto, interrompendo il muto gocciolare e le mie riflessioni spiraliformi, "un sogno triste."
"Anch'io", ho pensato.
"Non ricordo bene cosa accadeva nel sogno, so che a un certo punto mi sono messo a piangere. Io odio piangere, devo avertelo già detto." (Sì, lo sapevo). "Piangevo, nel sogno, come per una fortissima nostalgia. Mi sono svegliato con lo stomaco chiuso dalla tristezza."
Mi sono guardato le mani, strette per il freddo l'una nell'altra, poi ho risposto.
"Allora non rimane più nemmeno questo. Giusto ieri sera un'amica mi ha chiesto qual'è la mia ultima salvezza, l'estrema. Se tutto ti va di merda, mi ha chiesto, se arrivi al punto che della vita non salvi niente, qual'è la tua via di fuga? Non sapevo cosa rispondere. Lei mi ha detto che se ne andrebbe, in Sudamerica, in Guatemala. Io non so. Una volta, più o meno per scherzo, a chi mi chiedeva dicevo che per sopportare la vita, quando tutto va storto, non ci resta che dormire. Dormire sempre, esistere il meno possibile. Forse anche a te l'ho già fatta, questa battuta." (No, mai sentita.) "Ma ecco, insomma, se la merda si insinua anche nei sogni, se anche il sonno ci tradisce, cosa rimane? Quale via di fuga?"
Si era fermato il 12 e aveva portato via quasi tutti, nel frattempo, era rimasta solo una vecchia signora con un berretto rosso. Non pioveva più.
"Vie di fuga. Anch'io ci ho pensato. La prima possibilità è anche la più immediata. Andarsene, partire. Ma non lo so, non mi convince: ho visto che ovunque tendo a ricostruirmi attorno analoghe reti relazionali, a ritrovare gli stessi problemi, a ricadere nelle stesse dinamiche. Dovrei andarmene da me stesso, e invece mi ritrovo sempre uguale, ogni volta, in ogni nuova geografia. La seconda via, è vero, poteva essere il sonno. L'incoscenza. la non esistenza. Ma è una falsa fuga, come la morte: non ti concede i suoi frutti, o ti restituisce al punto di partenza. Non funziona. Non la prima via, non la seconda."
Sono rimasto a guardare la mia ombra nella pozzanghera, rimuginando sulle mie parole.
"Non so", ho mormorato.
"Neanch'io", ho risposto.
In quella è spuntato l'11 dalla curva, ho visto la vecchia con il berretto rosso fare un passo verso il bordo del marciapiede. L'autobus si stava fermando, la vecchia si è girata e mi ha guardato negli occhi. Mentre le porte si aprivano, salendo, la vecchia mi ha parlato: "Ragazzo, ascolta. La terza, è la via. L'unica possibile. Io lo so, perchè l'ho presa."
Le porte si sono chiuse sulle ultime parole della vecchia, l'autobus è partito.
...
"Grande uscita di scena", ho detto tra i denti, simulando un certo cinismo.
"Cos'è, secondo te scherzava?" ho risposto con un tono che si sforzava di essere ironico e con un sopracciglio alzato.
In quel momento una folata di vento freddo mi è entrata nel collo e ha bloccato ogni cosa per un attimo, spostando le foglie sul marciapiede e scrollando poche goccie dagli alberi. Alla fermata ero rimasto solo io.
Ho infilato le mani in tasca, per scaldarle.
"Ecco il 13. Andiamo."
"Io prendo il 14. Ci vediamo."

1 commenti:

Anonimo ha detto...

dammi tre parole: sole, cuore, amore.

[sagarra]