pudenda

lunedì 10 marzo 2008

la vera storia dell'ultima stanza

di Roberto Bussola

Allora m’era arrivata una mail del barbolini che voleva gli mandassi qualcosa per il traghetto
mangiamerda. Sempre ammesso che io li caghi ancora quelli del traghetto mangiamerda. M’ha
detto però che c’è una scadenza perché poi si va subito in stampa. M’ha detto Manda quello che
vuoi: lungo, breve.. quello che vuoi.
Allora adesso qua sono le ventitreeventi del giorno prima della scadenza e posso decidere di
mandare quello che voglio: breve, lungo.. quello che voglio. Sempre ammesso che li caghi ancora
io quegli sfigati del traghetto mangiamerda. Allora quegli sfigati del traghetto mangiamerda che non
son altro che degli sfigati, una volta, si parla di due tre anni fa, hanno indetto una specie di concorso
letterario in cui praticamente c’era da scrivere una cosa rispettando delle regole e che contenesse
quattro particolari parole: velodromo, spremilimone, ciclocampestre e fondocranici, se non mi
ricordo male.
Allora quella volta, come ad esempio qui adesso con questa cosa da inviargli entro domani, sempre
ammesso che li caghi ancora quegli sfigati lì, quella volta mi trovavo a fare le cose di corsa e per
non sforzarmi troppo a pensare, visto che c’avevo poco tempo, avevo pensato a uno scritto che
potesse contenere quelle quattro parole da loro indicate, pur avendo come argomento la prima cosa
che mi veniva in mente.
Non avendo argomenti e avendo poco tempo avevo allora deciso di scrivere una cosa che parlasse
di quanto tempo ci mettevo a scrivere quella stessa cosa che stavo scrivendo mentre trascorreva
quel poco tempo che avevo a disposizione per scriverla. Mi sembrava l’argomento più semplice e
immediato.
Scrissi allora una cosa che all’epoca si intitolava Tentativo di poesia inutile, poi gli ho cambiato
titolo e adesso si chiama molto più semplicemente Tentativo di poesia, anche perché così suona
meglio il titolo, m’han detto e son d’accordo.
Lo scrissi, mi ricordo ancora come fosse ieri, in un sabato pomeriggio, o un venerdì pomeriggio non
mi ricordo bene, e mi ricordo come fosse successo stamattina glielo consegnai di persona, o via
mail non mi ricordo bene, a uno di quegli sfigati lì.
Allora poi, quegli sfigati lì, che non son manco capaci di rendersi conto dell’entità delle cose che
c’han per le mani, quegli sfigati lì per qualche motivo il mio tentativo di poesia è stato scartato,
adesso non mi ricordo bene per quali motivi.
Mi sembra m’han detto che avevo messo una strofa in più del numero massimo previsto dal loro
regolamento da sfigati. Una stanza in più che rendeva l’opera inaccettabile: pensa te che sfigati.
Ehh, le regole sono regole m’han detto. Sfigati.
Anche se, ammetto c’han anche le loro ragioni, quegli sfigati.
Allora fa niente, mica sono uno che se la prende per queste cose. Sfigati.
Allora fa niente tanto che dopo, dopo che era un po’ che io avevo iniziato ad avere altre
frequentazioni, dopo un po’ gli ho mandato quel testo a delle altre persone da un’altra parte e lì in
quell’altra parte, che lì non son mica degli sfigati, lì gli era piaciuto, tanto che, prima l’han messo
sul sito di una famosa casa editrice, poi l’hanno pubblicato anche in cartaceo. Son mica sfigati.
Gli era piaciuto, calma con gli era piaciuto. A dire la verità non è che gli era piaciuto proprio a tutti.
Mi ricordo che un noto critico letterario che nessuno gli aveva chiesto la sua opinione, un noto
critico letterario aveva commentato la cosa con “Che strano il tentativo di poesia di Bussola:
quando quell'ultima stanza fa pensare che sia una parodia di Carcia Lorca, diventa deludente.
Sarebbe più bella come il plagio appassionato e creativo che sembra fin lì” e poi quel noto critico
letterario se l’era presa con una certa Viola Chandra per via che Viola Chandra in un suo romanzo,
suo di Viola Chandra, all’inizio faceva dei ringraziamenti a suo avviso, suo del critico letterario, i
ringraziamenti sono un'espressione interessante della mania di grandezza e dell’ipocrisia, eccetera,
eccetera, eccetera, e tutte le altre cagate che si è messo a di dire.
Certo che “un plagio di Carcia Lorca”, ci vuole un bel coraggio. Carcia Lorca, pensa te. Se non
fossi quello che sono potrei anche offendermi. Carcia Lorca, pensa te. Io un plagio, pensa te.
Tutt’alpiù sarà stato quel tale Carcia Lorca a fare il furbo, che io mica c’ho bisogno dei plagi io.
Che poi gliel’ho chiesto lì al noto critico letterario, chi sarebbe questo Carcia Lorca? Ha pubblicato
qualcosa? Fatemi vedere questo plagio, è una cosa che si trova? Lo sa questo Carcia Lorca che io
mi han messo su un sito? Lo sa almeno? Carcia Lorca, pensa te.
Allora fa niente, mica sono uno che se la prende per queste cose.
Fatto sta, che allora dopo, anche un po’ in difesa di Viola Chandra, ho mandato a quelli lì, non agli
sfigati del traghetto mangiamerda, a quegli altri a quelli che ad alcuni gli piaceva Tentativo di
poesia, a quelli lì gli ho mandato uno scritto che partiva con tutta una serie di dediche, pensieri e
ringraziamenti e alla fine si concludeva che finiva con una breve cosa finale che si intitolava
L’ultima stanza. L’ultima stanza è strutturata come un ossimoro moltiplicato per pi-greco mezzi.
Allora adesso io glielo mando a quegli sfigati lì, ma mi chiedo Che gli vada bene a quegli sfigati
del traghetto mangiamerda un’ossimoro moltiplicato per π/2 ? O c’hanno qualche problema con i
numeri reali? O c’hanno qualche problema con gli ossimori?
Allora fa niente, mica sono uno che se la prende per queste cose.
Io, intanto gliela mando, basta non la diano in mano a qualche noto critico letterario, perché
altrimenti si rischia che poi non se ne esce più con La vera storia dell’ultima stanza.

L’ultima stanza

nell’ultima stanza, il sole ventiquattrore nel buio più totale;
solo un abbaglio di tanto in tanto.

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