pudenda

venerdì 25 luglio 2008

Moonwalking


Mio padre un giorno mi mise una mano sulla spalla e mi disse "vieni figliolo, andiamo fuori a guardare le stelle." Io sulle prime stavo per mettermi a ridere, ne avevo sentite troppe di frasi simili nei telefilm americani, ma poi vidi mio padre che si grattava i coglioni e capii che era autentico, che quello sarebbe stato veramente un momento importante.
Così uscimmo e ci incamminammo, come quand'ero bambino facevo fatica a stare dietro al suo lungo passo, verso il buio dei campi, nella sera. Era una notte limpida, la luna a metà mi sembrava una fetta di torta gigante, il resto del cielo era pieno di stelle.
Vivevo ancora in campagna, allora, e mi piaceva andare scalzo nell'erba, cercando di avvicinarmi ai grilli senza zittirli, mi piaceva salire sugli alberi e togliere le ali alle rondini, ma quella sera ero già grande, camminavo cercando di stare dietro a mio padre, che in quella casa ci era nato, che andava sicuro, nella notte.
Sapevo che si sarebbe messo sotto il noce, si chinò piano come per raccogliere qualcosa e poi mi guardò. "Siediti", mi disse, "Vieni qua."
Mio padre parlava molto raramente, e quando lo faceva stavamo tutti in silenzio. La luce della luna disegnava il contorno chiaro del suo volto, l'altra metà della luna, i suoi grandi occhi neri guardavano me, guardavano il cielo.
"Guarda." mi disse indicando il coperchio di stelle, "Sai quante sono?" Io rimasi in silenzio, era quello che dovevo fare.
"Chiunque direbbe che sono infinite" proseguì, "Incommensurabili." e si accese una paglia.
"Invece no. Sono dieci." Non riuscii a tacere: "Come dieci? In che senso?"
Lui non rispose, controllò l'orologio e puntò il dito alla luna. Io guardai il dito, bianco e magro, lui disse: "Guarda. Vedi dov'è la luna adesso, intorno a lei c'è la stella. L'unica stella, formata dalle uniche dieci."
Io alzai la fronte, senza capire. Il cielo era come al solito una folla indistinta di puntini bianchi, non ero mai stato capace di distinguere le costellazioni, quando mi dicevano Guarda quella è la polare io rispondevo Ah sì, ma il cielo rimaneva una folla indistinta di puntini luminosi. Delle stelle mi interessavano i significati nascosti, come ad esempio quella cosa di Confucio che diceva che le stelle sono buchi attraverso i quali filtra la luce dell'infinito.
"Ci sono dieci stelle" disse mio padre aspirando le ultime boccate di fumo "che corrispondono ai dieci angoli della Grande Stella a cinque punte, quella attorno alla luna proprio adesso." Mio padre si girò e mi guardò negli occhi. "Non conta la loro luminosità, alcune quasi non si vedono. Conta quello che ci possono dire."
Si sdraiò sull'erba, si accese un'altra sigaretta e cominciò a fumarla. "La luna in quel punto tentenna, va più lenta, abbiamo tutto il tempo." Qualcosa mosse le foglie del noce.

"Sai, quando avevo esattamente la tua età un giorno mio padre fece esattamente la stessa cosa con me. Ci sono delle cose che la vita mi ha dato, Blanket, delle cose che ho imparato. E io, come mio padre prima di me, le ho messe nelle stelle. In quelle stelle."
Si grattò i coglioni e cominciò.
"Quella là in alto è Algenib di Pegaso. Guardandola ricordati di questo, figliolo: non ridere mai in presenza di storpi."
"Quella in basso a sinistra è Lucertola 5. Ti insegni ad assumere sempre una posizione aereodinamica. Sempre."
"Quella ancora più a sinistra non è una stella, è la nebulosa Manubrio. Quello che ci dice è che non si è mai troppo vecchi per un pò di karkadè."
"Aldhibah del Dragone, più giù, significa prendere aria. Prendere aria fa bene, figliolo, anche se non c'è il sole."
"Sotto c'è Izar di Boores. Il suo suggerimento è prezioso: annuire a occhi chiusi fa apparire intelligenti."
"Più su, esattamente sotto la luna, c'è Giausar del Dragone. E' una verità da non dimenticare: Topolino è la traduzione di Mickey Mouse, e non viceversa."
"Ancora in basso, vedi là, a destra, quella è Acubens del Cancro. Cozze abbottonate, ricordi?"
"Risalendo, guarda là, accanto alla luna. E' Prijipati di Auriga. Nella sua austera semplicità è scritto questo: di onorare il padre e la madre."
"Quella sopra, ancora più a destra, è Aldebaran del Toro. In lei ritroverai sempre queste mie parole: la terza volta, fatti pure prendere dal panico."
"Infine, sopra la luna, quella è Almach di Andromeda. La sua luce ti ammonisca ogni notte, figlio mio, in ciò che dicono i suoi raggi: il suicidio è molto pericoloso. Molto."
E rimanemmo nel silenzio stellare dei campi.

Quindi mio padre si alzò, e con passo leggero e lungo si avviò verso casa, lunare come quel personaggio di Calvino. Quando fui solo, fissai il cielo ancora per un pò, cercando di ritrovare le stelle che mi aveva indicato. Le avevo già perse tutte.
Solo anni dopo avrei comprato una mappa della volta boreale, quella notte guardavo gli indistinti puntini ripetendomi in bocca nomi e insegnamenti. Sarei mai arrivato anch'io a mettere nelle stelle così grandi verità? Mio padre era grande come la luna, come la luna usciva piano dalla sua stella a cinque punte, sarei mai stato grande come lui, come il re del pop?
Mi distesi a guardare i fili d'erba.
Cozze abbottonate, rimuginavo, che mai vorrà dire?

1 commenti:

Anonimo ha detto...

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